Ricorso per  la  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 presidente   della   Giunta   provinciale   pro-tempore  dott.  Carlo
 Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale  n.
 9861  del 4 settembre 1997 (all. 1), rappresentata e difesa - come da
 procura speciale del 9 settembre 1997 (rep. n.  21073)  rogata  dalla
 dott.ssa  Gianna  Scopel  capo  ufficio  del servizio affari generali
 della stessa provincia, esercitante le funzioni di ufficiale  rogante
 (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi
 di  Roma,  con  domicilio  eletto  in Roma presso lo studio dell'avv.
 Manzi, via Confalonieri 5, contro il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  per  la  dichiarazione di illegittimita' costituzionale del
 d.-l. 20 giugno 1997, n. 175, convertito  senza  modificazioni  nella
 legge  7  agosto  1997,  n.  272,  Disposizioni urgenti in materia di
 attivita' libero-professionale della dirigenza sanitaria del servizio
 sanitario nazionale, pubblicata in  Gazzetta Ufficiale n. 188 del  13
 agosto  1997,  e  precisamente  degli  articoli: 2, in quanto dispone
 l'applicazione nella provincia autonoma di Trento dei commi 5, 8, 10,
 11, 12, 13, 14, 16 (secondo periodo), 28, 29 e 33 dell'art.  1  della
 legge  n. 662 del 1996; 1; 4, comma 1; per violazione dell'art. 9, n.
 10), nonche' dell'art.  8, n. 1) dello statuto;  dell'art.  16  dello
 statuto; delle norme di attuazione, e in particolare di quelle di cui
 al d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, (come mod. dal d.lgs. 16 marzo 1992,
 n.  267), e al d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; per i profili e nei modi
 di seguito illustrati.
                               F a t t o
   La ricorrente provincia e' titolare di potesta'  legislativa  e  di
 potesta'  amministrativa  in  materia  di  igiene  e sanita', secondo
 quanto previsto dall'art. 9, n. 10) e dall'art. 16,  comma  1,  dello
 statuto  speciale  di  autonomia.  Le  disposizioni  statutarie  sono
 completate e precisate dalle norme  di  attuazione.  In  particolare,
 l'art.  2  del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, (come mod. dal d.lgs. 16
 marzo 1992, n. 267 dispone che "alle province autonome  competono  le
 potesta'  legislative ed amministrative attinenti al funzionamento ed
 alla  gestione  delle  istituzioni  ed  enti  sanitari"  (comma   2),
 riconoscendo  altresi'  (comma 3) "le competenze provinciali relative
 allo  stato  giuridico  ed  economico  del  personale  addetto   alle
 istituzioni  ed  enti" sanitari, competenze da esercitarsi ai sensi e
 nei limiti dello statuto.
   Essendo il servizio sanitario nella provincia di Trento organizzato
 nella  forma  di  un'unica  Azienda  sanitaria  costituente  un  ente
 provinciale,  va  ricordato  che la provincia autonoma ha altresi' la
 competenza statutaria alla disciplina del proprio personale (art.  8,
 n.  1,  st.), competenza che si estende alla disciplina del personale
 degli enti provinciali.
   Infine, i rapporti tra la legislazione statale  e  la  legislazione
 provinciale  nelle materie di competenza statutaria sono disciplinati
 come e' noto dall'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, secondo il
 quale la sopravveniente normativa statale non entra  direttamente  in
 vigore nella provincia, ma determina l'obbligo di adeguamento secondo
 le  regole statutarie proprie della potesta' legislativa considerata;
 mentre per quanto riguarda i poteri amministrativi sintetizzati nella
 funzione statale di indirizzo e  coordinamento  l'art.  3,  comma  2,
 dello stesso decreto dispone che i relativi atti vincolano la regione
 e  le  province  autonome  "solo  al conseguimento degli obbiettivi o
 risultati in essi  stabiliti"  mentre  l'emanazione  delle  norme  di
 organizzazione eventualmente occorrenti per l'attuazione di tali atti
 "riservata,  per quanto di rispettiva competenza, alla regione o alle
 province autonome".
   E' in questo quadro  di  regole  e  garanzie  che  va  valutato  il
 sopravvenire  della  disciplina legislativa del d.-l. 20 giugno 1997,
 n. 175 (convertito senza modificazioni nella legge 7 agosto 1997,  n.
 272),   recante   Disposizioni   urgenti   in  materia  di  attivita'
 libero-professionale della dirigenza sanitaria del servizio sanitario
 nazionale, dl cui con il presente ricorso si chiede la  dichiarazione
 di illegittimita' costituzionale.
   In  effetti tali disposizioni sotto piu' profili interferiscono con
 il predetto sistema di garanzie,  contraddicendone  ad  avviso  della
 provincia autonoma di Trento le regole.
   In  primo  luogo  l'art.  2  introduce  profonde  innovazioni nella
 relazione tra la legislazione sanitaria statale e le competenze della
 provincia,   restringendo   drasticamente   l'area   delle   liberta'
 legislative  statutarie  ad  essa  riconosciuta.  Infatti, laddove il
 testo originario del comma 143 dell'art. 1 della  legge  23  dicembre
 1996,  n.  662,  statuiva, in ragione del regime di autofinanziamento
 provinciale del servizio sanitario locale, la  non  applicazione  nel
 territorio  provinciale  delle disposizioni di cui ai commi da 1 a 44
 dello stesso articolo, la normativa del decreto-legge stabilisce  ora
 (sostituendo  la  precedente  disposizione)  che  "a  decorrere dal 1
 gennaio 1997, non si applicano alla  regione  Valle  d'Aosta  e  alle
 province autonome di Trento e Bolzano le disposizioni di cui ai commi
 1,  2,  3,  4, 16, primo periodo, 17, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 27,
 30, 32, 34, 36, 37 e 38 dell'art.  1".
   Per differenza, risulta dunque  disposta  la  diretta  applicazione
 delle  disposizioni che prima non si applicavano, e delle quali viene
 ora invece implicitamente ma con  certezza  disposta  l'applicazione,
 senza affatto preoccuparsi dei meccanismi statutari sopra descritti.
   Talune  di tali disposizioni - e precisamente i commi 5, 8, 10, 11,
 12, 13, 14, 16 (secondo periodo) 28, 29 e 33  -  riguardano  in  modo
 particolare  le  materie di competenza provinciale, sia disciplinando
 un aspetto importante  dello  stato  giuridico  del  personale  quale
 quello  della  possibilita'  di  esercitare la libera professione sia
 disciplinando altri aspetti organizzativi  connessi  o  non  connessi
 alla libera professione.
   Inoltre,  talune  di tali disposizioni - e segnatamente i commi 12,
 14 e 33, attribuiscono nelle materie provinciali compiti di indirizzo
 e normativi ad organi politico-amministrativi statali. L'applicazione
 di tali disposizioni viene cosi ad introdurre la  provincia  autonoma
 di  Trento  nel  "sistema"  statale  della  disciplina dell'attivita'
 libero-  professionale  della  dirigenza   sanitaria   del   servizio
 sanitario nazionale senza alcuna mediazione del legislatore locale.
   Allo stesso modo operano inoltre le nuove disposizioni dell'art.  1
 e  dell'art.  4,  comma 1, del d.-l. 20 giugno 1997, n. 175, le quali
 entrambe conferiscono al Ministro della sanita' poteri normativi o di
 indirizzo. L'art. 1 infatti - estendendo i poteri gia'  previsti  dal
 comma  14  dell'art.  1  legge  n.  662/1996 - assegna al Ministro il
 compito   di   individuare   le    "caratteristiche    dell'attivita'
 libero-professionale  intramuraria del personale medico e delle altre
 professionalita' delle dirigenza  sanitaria  del  Servizio  sanitario
 nazionale",  le  "categorie  professionali  e  gli enti o soggetti ai
 quali  si  applicano  le  disposizini  sull'attivita'  intramuraria",
 nonche',  inoltre,  la  "opzione  tra  attivita' libero-professionale
 intramuraria ed extramuraria, le modalita' del controllo del rispetto
 delle disposizioni sull'incompatibilita', le attivita' di  consulenza
 e  consulto";  mentre  l'art.  4,  comma 1, assegna al Ministro della
 sanita' il compito di emanare  le  "linee  guida  dell'organizzazione
 dell'attivita' libero-professionale intramuraria".
   Sennonche',  tali  disposizioni, che inseriscono la provincia in un
 sistema   di   potesta'   legislative   ed   amministrative   statali
 incompatibili  con  le  accennate  regole statutarie e di attuazione,
 appaiono violare l'autonomia ad  essa  costituzionalmente  garantita,
 per le seguenti ragioni di
                             D i r i t t o
   Illegittimita'   costituzionale  delle  disposizioni  impugnate  in
 quanto in violazione delle  regole  statutarie  rendono  direttamente
 applicabile  nel  territorio  provinciale  la  disciplina  statale  e
 stabiliscono poteri normativi e di indirizzo in via amministrativa.
   Come accennato in  narrativa,  l'originario  testo  del  comma  143
 dell'art.  1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, disponeva che "non
 si  applicano, alla regione Valle d'Aosta e alle province autonome di
 Trento e di Bolzano, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 44" dello
 stesso articolo. Cio' accadeva anche in relazione ad un  ragionamento
 e ad una logica esplicitate nello stesso comma 143, ove era precisato
 che  "la  regione Valle d'Aosta e le province autonome di Trento e di
 Bolzano provvedono al finanziamento del Servizio sanitario  nazionale
 nei  rispettivi  territori  ...  senza  alcun  apporto  a  carico del
 bilancio dello Stato", e che "di conseguenza"  si  disponeva  la  non
 applicazione delle disposizioni sopra indicate.
   La  nuova  disposizione  dell'art.  2  del d.-l. 20 giugno 1997, n.
 175, rappresenta dunque  un  parziale  ripensamento  del  legislatore
 statale:  il  quale,  pur  mantenendo immutato lo stesso ragionamento
 quale premessa, dispone ora la "non applicazione" di un  numero  piu'
 ridotto di commi dell'art. 1 della legge n. 662/1996.
   Ora,  non  si  vuole  qui  certo  sostenere  che  la  generale  non
 applicazione di commi da 1 a 44 corrispondesse integralmente  ad  una
 rigida   necessita'   di  ordine  costituzionale,  e  che  dunque  il
 legislatore statale non potesse in nessuna misura ritornare sulle sue
 scelte: ma e' evidente tuttavia che - mentre  la  "non  applicazione"
 delle   disposizioni   in  questione  non  poneva  alcun  particolare
 problema,  ma corrispondeva semplicemente ad un radicale "lasciare al
 di fuori" dalla normativa  in  questione  la  provincia  autonoma  di
 Trento  e le altre istituzioni interessate senza neppure un dovere di
 adeguantento entro i limiti statutari, il  far  rientrare  invece  le
 province  autonome  nell'ambito  generale  della  disciplina  pone il
 problema della compatibilita' di tale disciplina e del  suo  modo  di
 operare con le disposizioni statutarie e di attuazione poste a tutela
 dell'autonomia delle istituzioni del Trentino-Alto Adige.
   Il  decreto-legge  qui impugnato invece non affronta affatto questo
 problema, e si limita a ridurre drasticamente  l'area  dell'"esonero"
 precedentemente  disposto  dall'applicazione della normativa statale,
 lasciando supporre che le  disposizioni  per  le  quali  ora  non  e'
 disposto  e  rinnovato  l'esonero sono destinate ad applicarsi hic et
 nunc immediatamente ed in  tutti  i  loro  dettagli,  nel  territorio
 provinciale,   in   violazione   delle   garanzie  statutarie  ed  in
 particolare di quanto disposto sia in relazione al rapporto tra legge
 statale e leggi locali, sia in relazione al  rapporto  tra  indirizzi
 statali  ed  attuazione  locale,  dagli  artt.  2  e  3  del  decreto
 legislativo n. 266 del 1992.  Per vero, occorre sottolineare  che  la
 disposizione  qui  impugnata testualmente non esclude la possibilita'
 di  intendere   il   senso   complessivo   delle   disposizioni   del
 decreto-legge  e  delle  disposizioni della legge n. 662 del 1996 ora
 "non eccettuate" in modo conforme alle garanzie statutarie.  Dovrebbe
 dirsi,  allora,  che  la  riduzione  dell'area  della  radicale  "non
 applicazione" delle disposizioni dell'art. 1 della legge n.  662  non
 implica  affatto che le disposizioni ora non eccettuate si applichino
 direttamente  ed  immediatamente,  e  non  attraverso  i   meccanismi
 statutari.    Dovrebbe  dirsi,  in  altre  parole, che il senso della
 "applicazione" ora disposta di talune disposizioni, e precisamente  -
 per  quanto  concerne  la presente impugnazione - dei commi 5, 8, 10,
 11, 12, 13, 14, 16 (secondo periodo), 28, 29 e 33, non e'  quello  di
 stabilirne  la  diretta  applicazione,  ma  quello di far scattare il
 caratteristico dovere di adeguamento della legislazione  provinciale,
 ai  sensi dell'art.   2 del decreto legislativo n. 266/1992, nei soli
 limiti (dei principi generali dell'ordinamento, delle riforme,  degli
 obblighi  internazionali,  ecc.)  in  cui tale adeguamento e' imposto
 dallo statuto in relazione alla materia di cui trattasi.  E  dovrebbe
 dirsi  altresi'  che  anche i poteri "amministrativi", o piuttosto di
 integrazione normativa e di  indirizzo,  stabiliti  sia  dall'art.  1
 della  legge  n. 662 del 1996 (in particolare commi 12, 14 e 33), sia
 quelli previsti dallo stesso decreto-legge n. 175 del 1997 agli artt.
 1 e 4, comma 1, al di la' del contenuto  stesso  ad  essi  attribuito
 dalle  disposizioni  legislative che li prevedono (in larga misura di
 carare normativo, e non suscettibile  di  essere  ricondotto  ad  una
 funzione di indirizzo), non estendono la loro capacita' di vincolo al
 di  la'  di quanto disposto per gli atti di indirizzo e coordinamento
 dall'art 3, commi 2, 3 e 7, del decreto legislativo n. 266 del 1992.
   In  sintesi,  tale  "interpretazione  costituzionalmente  conforme"
 muoverebbe dalla considerazione che la normativa statale e' nella sua
 redazione  letterale  influenzata  dal fatto che essa si riferisce in
 definitiva a realta' istituzionali diverse (per materie di competenza
 e per garanzie) da quella propria  del  Trentino-Alto  Adige,  e  che
 pertanto  la sua "applicazione" a tale realta' istituzionale non puo'
 avvenire sulla base del tenore letterale delle  disposizioni  statali
 (sia  sostanziali che attributive di poteri ad altri organi statali),
 ma sulla base di un "adeguamento interpretativo  ed  applicativo"  di
 tali  disposizioni ai meccanismi propri delle garanzie statutarie del
 Trentino-Alto Adige.
   Ove diversamente intesa, invece, la normativa statale si  manifesta
 costituzionalmente illegittima per le ragioni indicate, che risultano
 confermate   anche   da   un   piu'  analitico  esame  delle  singole
 disposizioni impugnate.   L'esame deve in  primo  luogo  concentrarsi
 sulle  disposizioni  legislative  direttamente  interferenti  con  la
 competenza della provincia autonoma di Trento, ora applicabili  anche
 nel  territorio  provinciale  in  quanto  non escluse dall'art. 2 del
 decreto-legge n. 175 del 1997.
   Un  gruppo  di   tali   disposizioni   riguardano   la   disciplina
 dell'esercizio della libera professione intramuraria e della relativa
 opzione.  Esse  si  riferiscono  -  non  sempre distinguendo - sia ad
 aspetti  che  potrebbero  dirsi  di  principio,  sia  ad  aspetti  di
 dettaglio,  sia infine ad aspetti piu' marcatamente organizzativi; ma
 in tutti i modi esse riguardano materie  di  competenza  provinciale,
 tanto in relazione alla disciplina del personale, quanto in relazione
 agli  aspetti  organizzativi.  Per  gli  uni  e  gli altri infatti la
 competenza  provinciale  e'  espressamente  e  chiaramente   disposta
 dall'art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474.  Cosi' il comma 5 parte
 da  una  disposizione  che  puo'  dirsi  di  principio,  secondo  cui
 l'opzione per l'esercizio della libera professione  intramuraria  "e'
 incompatibile  con  l'esercizio  di  attivita' libero professionale":
 disposizione che per altro e'  subito  accompagnata  da  un'altra  di
 rango  molto meno elevato, di tipo prettamente organizzativo, secondo
 cui l'attivita' consentita sarebbe comunque "da espletare  dopo  aver
 assolto  al debito orario". Vi e' poi il divieto, non certo di grande
 principio ed anzi opinabile per la sua  assolutezza,  di  svolgimento
 dell'attivita'  presso  strutture  diverse da quella di appartenenza:
 cosa che potrebbe anche  essere  organizzativamente  controproducente
 rispetto   alle  esigenze  di  un  adeguato  utilizzo  delle  risorse
 professionali  interne.  Vi  e'  infine  una  disposizione  di   pura
 competenza  organizzativa,  la'  dove  si dispone che "l'accertamento
 delle incompatibilita' compete, anche su iniziativa  di  chiunque  vi
 abbia  interesse,  al  direttore  generale dell'azienda ospedaliera o
 dell'unita' sanitaria locale".
   Il comma 8 dispone  in  modo  diretto  altre  norme  organizzative:
 stabilendo    la   responsabilita'   dei   direttori   generali   per
 l'attivazione  e  l'organizzazione   "d'i'ntesa   con   le   regioni"
 dell'attivita'  libero professionale intramuraria, ponendo ad essi il
 dovere di "comunicare alle regioni il  quantitativo  e  la  tipologia
 delle  strutture attivate nonche' il numero di operatori sanitari che
 possono potenzialmente operare in tali strutture", nonche' il compito
 di   individuare   "nell'ambito   dell'applicazione    delle    norme
 contrattuali,  istituti incentivanti l'attivita' libero professionale
 intramuraria".
   Il comma 10 prevede in una data precisa, immodificabile ed identica
 per tutto il paese - precisamente il "31 marzo 1997" - il termine per
 la  comunicazione  dell'opzione  nelle   strutture   ove   l'attvita'
 intramuraria  risulti  gia'  organizzata,  disponendo altresi' che il
 silenzio si presume opzione per tale  attivita',  ed  aggiunendo  che
 l'opzione   vale  per  tre  anni.  A  prescindere  dal  carattere  di
 dettaglio, e di per se' arbitrario, di tale periodo in relazione alle
 esigenze organizzative (che potrebbero portare a preferire un vincolo
 piu'  breve  o  piu'  lungo), non si comprende che valore possa avere
 l'estensione  alla  ricorrente  provincia  di  un  termine  non  solo
 arbitrariamente  fissato  ma  addirittura  gia'  scaduto  nel momento
 dell'estensione.
   Il comma 11 contiene anch'esso norme  organizzative  di  dettaglio,
 fissando  il  termine  per  l'opzione  presso  le  strutture  in  cui
 l'attivita' intramuraria non risulti gia' organizzata  in  30  giorni
 dalla comunicazione dell'attivazione da parte del direttore generale.
 Il  comma  12  contiene  norme  eterogenee,  da  un lato affidando al
 Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di indicare all'ARAN
 "i criteri per l'attribuzione di un trattamento economico  aggiuntivo
 al   personale   che   abbia  optato  per  l'esercizio  della  libera
 professione   intramuraria",   dall'altro   stabilendo   in   termini
 organizzativi   che   la  relativa  opzione  costituisca  "titolo  di
 preferenza per il conferimento di incarichi comportanti direzioni  di
 struttura  ovvero per l'accesso agli incarichi di dirigenti del ruolo
 sanitario di secondo livello".
   Il comma 13 pone un vincolo alla negoziazione per il rinnovo  della
 convenzione  di  medicina  generale, stabilendo che in essa "si tiene
 conto dei principi stabiliti dal  presente  articolo"  e  non  meglio
 precisati  (nonostante  che  l'articolo  abbia  un  abnorme numero di
 commi).  Il comma 14 conferisce al Ministro della sanita', in spregio
 di ogni principio di autonomia, addirittura il compito di "fissare  i
 termini  per l'attuazione dei commi 8, 11 e 12" ed inoltre di fissare
 "le modalita' per il controllo del rispetto delle disposizioni  sulla
 incompatibilita',   nonche'   la  disciplina  dei  consulti  e  delle
 consulenze".  Come si dira' tali  poteri  prettamente  normativi,  ad
 avviso  della ricorrente provincia gia' abnormi e privi di fondamento
 costituzionale, sono stati ulteriormente aumentati dal  decreto-legge
 qui impugnato.  Il comma 16, secondo periodo, fa obbligo alle regioni
 di    tenere    conto   dell'organizzazione   dell'attivita'   libero
 professionale  intramuraria  "in  sede  di  verifica  dei   risultati
 amministrativi   e   di  gestione  ottenuti  dal  direttore  generale
 dell'unita' sanitaria locale e  dell'azienda  ospedaliera",  sia  "ai
 sensi  dell'art.  1,  comma  6  del  d.-l.  27  agosto  1994, n. 512"
 (verifica dei  risultati  ad  un  anno  dalla  nomina,  ed  eventuale
 revoca),  sia  anche  ai  fini  della  corresponsione  di  una  quota
 integrativa del trattamento economico, interferendo nella  disciplina
 generale del rapporto tra azienda sanitaria e direttore generale.  Si
 consideri,  d'altronde,  da  un lato che l'art. 1, comma 6 del citato
 decreto-legge e' gia' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo
 da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la  sentenza  n.  373  del
 1995 in relazione alla provincia autonoma di Bolzano, per ragioni che
 trovano  perfetta  corrispondenza  anche per la provincia autonoma di
 Trento (onde l'illegittimita' costituzionale  non  solo  della  norma
 richiamata  ma  di  ogni  suo  ulteriore richiamo); dall'altro che il
 riferimento  alla  quota  integrativa   del   trattamento   economico
 spettante  ai  direttori  generali in base alla normativa statale non
 puo'  essere  esteso  alle  province  autonome,  dotate  di   propria
 specifica   disciplina   in   materia  (disciplinata  in  particolare
 dall'art. 16 della legge provinciale 1 aprile 1993, n. 10).
   Ora,  un  simile  complesso  di  disposizioni,  con  il suo confuso
 intreccio di ogni tipo di norme,  mostra  di  per  se'  su  un  piano
 generale  (e  non  solo  in  relazione  alla ricorrente provincia) la
 cronica incapacita' del legislatore statale - e  prima  ancora  degli
 apparati  ministeriali  che  di  fatto  determinano i contenuti della
 legislazione, soprattutto per quanto riguarda le leggi finanziarie  -
 di  rispettare  il  ruolo  loro  proprio  nello  "Stato regionale" di
 determinazione dei principi e dei criteri destinati  ad  orientare  e
 vincolare  i  legislatori locali, che dovrebbero pur sempre restare i
 diretti ed autorevoli creatori della disciplina dell'organizzazione e
 dell'azione degli apparati amministrativi destinati a dare corpo alle
 loro responsabilita' costituzionali.
   E' evidente infatti che una simile legislazione riduce  le  regioni
 al    rango    di    amministrazione    disciplinata,    degradandone
 l'autorevolezza  di  fronte  alla   comunita'   regionale   ed   alle
 amministrazioni  infraregionali,  e distruggendone in definitiva ogni
 autonoma  responsabilita'.    Ma  non  e'  qui  il  luogo   per   una
 considerazione  generale  di  questo fenomeno: e' invece il luogo per
 rilevare che le speciali  garanzie  statuite  per  le  autonomie  del
 Trentino-Alto  Adige,  in  particolare  con  le  norme  di attuazione
 contenute nel decreto legislativo  n.  266  del  1992,  sono  rivolte
 proprio  ad  evitare  un siffatto continuo ingresso e sovrapposizione
 della normazione statale nell'ordinamento locale e ad assicurare, pur
 nei limiti e nel rispetto dei vincoli  statutari,  l'autonomia  e  la
 responsabilita' del legislatore locale e delle scelte amministrative.
   Accanto   al  gruppo  di  disposizioni  concernenti  la  disciplina
 dell'attivita' professionale intramuraria l'art. 2 del  decreto-legge
 qui  impugnato  rende  applicabili  nella  provincia  di Trento altre
 disposizioni.
   Tra queste, il comma 28 introduce  il  vincolo  per  i  medici  del
 servizio  sanitario al rispetto di percorsi diagnostici e terapeutici
 determinati in sede ministeriale e tecnica. Si noti che tale  vincolo
 ha   una   funzione   puramente  finanziaria,  essendo  espressamente
 finalizzato "allo scopo di assicurare l'uso appropriato delle risorse
 sanitarie  e  garantire  l'equilibrio  delle  gestioni".  In   questi
 termini,     sembra     chiaro    che    proprio    il    presupposto
 dell'autofinanziamento  provinciale  del  servizio  sanitario  locale
 avrebbe   dovuto   portare   il   legislatore  statale  a  rispettare
 l'autonomia provinciale nella decisione sulla  opportunita'  di  tale
 vincolo.  La  sua  estensione  alla  provincia  di Trento contraddice
 dunque - oltre alle regole sui rapporti tra legislazioni - la  stessa
 autonomia  finanziaria  locale  in  relazione  al  servizio sanitario
 provinciale pure a parole riconosciuta dal legislatore.
   Inoltre, tali percorsi diagnostici, che dovrebbero importi anche al
 servizio sanitario provinciale, sono  determinati  in  sede  centrale
 senza  alcuna  partecipazione  locale, dato che essi sono, secondo la
 legge, "individuati ed adeguati sistematicamente dal  Ministro  della
 sanita',  avvalendosi  dell'Istituto superiore di sanita', sentite la
 Federazione  nazionale  dell'ordine  dei  medici  chirurghi  e  degli
 odontoiatri e le societa' scientifiche interessate". Dunque in questo
 procedimento  pur  sotto  altri  profili  "partecipativo"  (si  pensi
 appunto alle societa' scientifiche interessate, di cui e' addirittura
 obbligatoria la consultazione) le articolazioni locali  del  servizio
 sanitario,  e  le  regioni  e province autonome che le esprimono, non
 sono neppure sentite.
   Ne'  varrebbe  obbiettare  che  si tratta di decisioni di carattere
 "tecnico", dato che l'intera attivita' del servizio sanitario, di cui
 le  regioni  e  province   autonome   sono   pure   le   responsabili
 costituzionali,  ha  appunto  carattere  tecnico,  e  dato che quelle
 esperienze, sulla cui base soltanto  effettivi  percorsi  terapeutici
 localmente  significativi  - che non siano la mera riproduzione degli
 standard internazionali - possono essere determinati. Senza dire  che
 le  scelte  sui  percorsi  terapeutici non hanno in realta' carattere
 puramente tecnico, essendo ovviamente influenzate da fattori di costo
 e di impiego delle risorse nelle diverse metodologie, problemi su cui
 e' primariamente impegnata la responsabilita' locale.
   Ed infatti il seguente  comma  29  si  preoccupa  di  stabilire  un
 sistema  informativo  per "acquisire" al centro le conoscenze locali;
 ma  cio'  viene  fatto  in  pratica  "saltando"  il   livello   delle
 istituzioni responsabili del servizio sanitario ed in termini di pura
 acquisizione di conoscenze e non di partecipazione alle scelte.
   Illegittima  appare  percio' l'esclusiva riserva allo Stato di tali
 determinazioni, senza  neppure  la  partecipazione  della  ricorrente
 provincia.
   Infine,  lo  stesso  comma  28  prevede  che  sia il Ministro della
 sanita' a fissare - sia pure stavolta  "d'intesa  con  la  Conferenza
 permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province
 autonome di Trento e di Bolzano" - a  stabilire  "gli  indirizzi  per
 l'uniforme  applicazione  dei  percorsi  stessi in ambito locale e le
 misure da  adottare  in  caso  di  mancato  rispetto  dei  protocolli
 medesimi  ivi  comprese  le  sanzioni  a  carico del sanitario che si
 discosti dal percorso diagnostico senza giustificati motivi".
   Ora, mentre da un lato - come meglio si dira' -  l'attribuzione  al
 Ministro  della  sanita'  di  un  potere  di normazione secondaria in
 materia (quale ovviamente e' il potere di stabilire le  sanzioni)  e'
 radicalmente   incostituzionale,   anche  l'attribuzione  al  singolo
 Ministro della funzione di  indirizzo  risulta  contrastante  con  il
 principio  di  collegialita'  governativa  della funzione e della non
 sottoposizione delle autonomie a diretti poteri ministeriali.  Rimane
 comunque  fermo  che  l'atto  di  indirizzo  - in quanto rivolto alla
 ricorrente  provincia  -  dovrebbe   altresi'   seguire   le   regole
 sostanziali  e  procedurali di cui all'art. 3 del decreto legislativo
 n.  266  del  1992.    Il  comma  29  disciplina,   come   accennato,
 l'attivazione  dei  sistemi  informativi  per la rilevazione dei dati
 necessari  ai  "fini  di  programmazione,  controllo  e   valutazione
 dell'attivita'  assistenziale  e prescrittiva facente capo ai singoli
 medici e per la valutazione dei percorsi", nonche'  della  "fornitura
 dei  dati alle regioni e al Ministero della sanita'". Di cio' vengono
 resi responsabili i direttori generali, sulla base  "degli  indirizzi
 del  livello  centrale e regionale".  E' palese l'invasivita' di tali
 disposizioni, in quanto riferite alla ricorrente provincia.  A  parte
 il  cenno  ad "indirizzi" del tutto atipici, che non si sa neppure da
 quali autorita' dovrebbero venire, volti  soltanto  a  stabilire  una
 sorta   di  raccordo  gerarchico  tra  i  direttori  generali  ed  il
 Ministero, la normativa statale si sostituisce direttamente a  quella
 locale,  che  risulterebbe  persino  inutile,  nella  disciplina  dei
 compiti e delle responsabilita' dei direttori generali in relazione a
 quelli delle autorita'  provinciali  o  di  altre  articolazioni  del
 servizio sanitario provinciale, secondo le determinazioni da assumere
 con legge provinciale.
   Non  meno  illegittima  ed invasiva appare l'ulteriore disposizione
 dello stesso comma, seondo cui  il  Ministero  puo'  attivare  "forme
 campionarie  di rilevazione" - evidentemente al livello locale, senza
 neppure dover necessariamente stringere a questo scopo accordi con la
 provincia.
   Il comma 33 dispone che "con decreto del Ministro della sanita'  da
 emanare entro il 2 febbraio 1997 sono fissati i termini e le sanzioni
 per  eventuali  inadempienze  degli  amministratori,  per la completa
 attuazione delle disposizioni di cui all'art. 5, commi  4  e  5,  del
 d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502".
   In  attuazione  di tale disposizione e' stato emanato il decreto 25
 febbraio 1997, il quale e' stato impugnato dalla  provincia  autonoma
 di  Trento  con  ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni.  Infatti,
 nonostante che per il precedente disposto del comma 143  dell'art.  1
 legge  n.    662/1996  il  comma  33  non si applicasse alle province
 autonome, esse erano state ugualmente incluse tra i  destinatari  del
 provvedimento statale.
   La  cessazione  della condizione di "non applicazione" ora disposta
 per il comma 33 verrebbe  a  fornire  ex  post  all'inclusione  della
 provincia  autonoma  di Trento tra i destinatari del d.m. 25 febbraio
 1997  quella  base  legislativa  che  prima   radicalmente   mancava.
 Senonche'  ad  avviso  della  ricorrente  provincia l'estensione alle
 province  autonome  dell'ambito  di  operativita'  del  comma  33  e'
 costituzionalmente  illegittima  sia per ragioni che attengono ad una
 illegittimita' per cosi' dire generale della  previsione  del  potere
 ministeriale,  sia  per  ragioni  che  attengono in modo specifico al
 regime  particolare  dell'autonomia  disposta  per  il  Trentino-Alto
 Adige.
   Sotto il primo profilo non spetta e non puo' spettare al Ministro -
 e  la  legge ordinaria non puo' attribuire il corrispondente potere -
 ne' il compito di fissare  i  termini  temporali  entro  i  quali  le
 regioni   debbano  emanare  le  proprie  leggi,  ne'  il  compito  di
 disciplinare con atto di normazione  secondaria  ed  in  sostituzione
 dell'esercizio  della  potesta'  legislativa  e  normativa locale, le
 sanzioni cui eventualmente debbano incorrere gli amministratori delle
 unita' sanitarie per inadempimenti  di  compiti  gestionali  ad  essi
 spettanti.   Sotto il secondo profilo, appare evidente da un lato che
 la pretesa di attribuire al Ministro il compito di stabilire  termini
 per  il  legislatore  regionale  contraddice  l'art.  2  del  decreto
 legislativo n. 266 del 1992, laddove esso assegna al solo legislatore
 statale il  compito  di  determinare  il  termine  per  l'adeguamento
 provinciale  alla legislazione statale; dall'altro che non puo' certo
 spettare al Ministro di  disciplinare  direttamente  in  luogo  della
 provincia  gli  inadempimenti  e  le sanzioni dei direttori generali,
 cosa che non  spetterebbe  neppure  al  legislatore  statale  per  il
 disposto   dello   stesso   art.   2  sopra  citato.     Si  e'  gia'
 nell'esposizione  dei   motivi   sottolineata   in   modo   specifico
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'applicazione  alla  ricorrente
 provincia delle disposizioni che, come il comma 14  ed  il  comma  33
 della  legge n. 662 del 1996, attribuiscono al Ministro della sanita'
 funzioni di carattere prettamente normativo.  Ma il  legislatore  del
 decreto-legge  qui  impugnato non solo ha disposto tale applicazione,
 ma  ha  anche  ulteriormente  rafforzato   tali   poteri   normativi,
 estendendoli ad oggetti prima non previsti.
   In effetti, l'art. 1 di tale decreto estende i poteri gia' previsti
 dal  comma  14  dell'art.  1  legge  n.  662/1996,  ed assegna ora al
 Ministro il compito di individuare le "caratteristiche dell'attivita'
 libero-professionale intramuraria del personale medico e delle  altre
 professionalita'  della  dirigenza  sanitaria  del Servizio sanitario
 nazionale", le "categorie professionali e  gli  enti  o  soggetti  ai
 quali  si  applicano  le  disposizioni  sull'attivita' intramuraria",
 nonche', inoltre,  la  "opzione  tra  attivita'  libero-professionale
 intramuraria ed extramuraria, le modalita' del controllo del rispetto
 delle  disposizioni sull'incompatibilita', le attivita' di consulenza
 e consulto" mentre l'art.  4  comma  1,  assegna  al  Ministro  della
 sanita'  il  compito  di  emanare le "linee guida dell'organizzazione
 dell'attivita' libero-professionale intramuraria".
   Ora, tutti tali oggetti rientrano pro quota  sia  nella  disciplina
 del  personale,  sia  nella disciplina dell'organizzazione, sia nella
 disciplina generale dell'erogazione del servizio  sanitario:  oggetti
 tutti di competenza della ricorrente provincia, in relazione ai quali
 dunque  pienamente  operano  -  nei  termini  gia' sopra esposti - le
 regole sui rapporti di' necessario adeguamento tra  legge  statale  e
 legge  provinciale  e  l'impossibilita'  di affidamento di compiti di
 normazione secondaria ad un  Ministro.    Analogamente,  il  comma  1
 dell'art.  4 del decreto-legge qui impugnato affida al Ministro della
 sanita' il compito di definire le  "linee  guida  dell'organizzazione
 dell'attivita'  libero-professionale intramuraria".   Anche in questo
 caso si tratta di un improprio conferimento di poteri normativi, come
 e'   confermato   dal   concreto   contenuto   delle   Linee    guida
 dell'organizzazione  dell'attivita' libero-professionale intramuraria
 della dirigenza sanitaria del Servizio  sanitario  nazionale  emanate
 con  decreto  del  Ministro  della  sanita'  del  31  luglio 1997 (in
 Gazzetta  Ufficiale  n.  181  del  5  agosto  1997),  nel  quale   si
 conferiscono  addirittura  poteri regolamentari ai direttori generali
 si stabiliscono i contenuti di detti  regolamenti  e  si  pongono  in
 generale  le  regole  organizzative del sistema.   Di certo non basta
 escogitare per gli atti normativi nuovi nomi, nomi che  "evocano"  ma
 non  stabiliscono una funzione di puro indirizzo, e non basta giocare
 sull'ambiguita'  cosi'  creata  delle  parole  per   legittimare   il
 conferimento  al  Ministro  della  sanita' di un potere di disciplina
 secondaria  dell'assistenza  sanitaria  e  dell'organizzazione  delle
 aziende  erogatrici,  che arbitrariamente si sovrappone alle potesta'
 riconosciute agli enti autonomi, ed in  particolare  alla  ricorrente
 provincia.