IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza in persona del  giudice  unico
 dott.  Massimo  Fabiani (art. 48 ord. giud. come modificato dall'art.
 88, legge n. 353/90); sciogliendo la riserva di cui  al  verbale  che
 precede; nella causa promossa dal fallimento Trevitex in liquidazione
 s.p.a.  in  persona  del  curatore dott. Piero Canevelli (con proc. e
 dom. avv. M. Bombino), attore, contro   il  Banco  di  Napoli  s.p.a.
 (con proc. e dom. avv. Giu. Tarzia).
   1.  -  Il  fatto.  Il  fallimento  Trevitex  s.p.a.  ha convenuo in
 giudizio davanti al tribunale di Milano  il  Banco  di  Napoli  s.p.a
 formulando le seguenti domande:
     in   via   principale  dichiarazione  di  nullita'  dell'atto  di
 costituzione  di  pegno  e  conseguente  condanna  della  banca  alla
 restituzione dell'importo di L. 78.451.872.530;
     in  via  subordinata  dichiarazione  di  inefficacia del pegno ai
 sensi dell'art. 67, comma 1, n. 2) 1. fall.  e  conseguente  condanna
 della banca alla restituzione dell'importo di L. 78.451.872.530.
   2. - Lo sviluppo del processo. La banca convenuta, costituendosi in
 giudizio  ha svolto eccezioni processuali e di merito. In particolare
 ha eccepito l'incompetenza per territorio  del  giudice  adito  e  ha
 chiesto  che  sul  punto  la  causa venisse immediatamente rimessa in
 decisione.  Su  tale  istanza  vi  e'  stata   sostanziale   adesione
 dell'attore.
   Alla  udienza  del  6 maggio 1997 fissata per la precisazione delle
 conclusioni, la difesa di parte convenuta ha chiesto  la  discussione
 della   causa   e   ha   contestualmente   eccepito  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 190-bis c.p.c. nella parte  in  cui  non  e'
 previsto  che  dopo  lo scambio delle comparse conclusionali, laddove
 una parte chieda la discussione della causa, sia consentito anche  lo
 scambio di memorie di repliche.
   A  seguito  di  tale  eccezione  il  giudice ha invitato le parti a
 depositare memorie illustrative sul punto e mentre  la  difesa  della
 banca  ha insistito sulla eccezione, quella dell'attore si e' opposta
 alla rimessione della questione al vaglio della Corte costituzionale.
   3. - Sulla rilevanza della questione. Nel caso in esame il  profilo
 della  rilevanza della questione si atteggia su due distinti profili;
 si tratta infatti di accertare che: a)  vi  sia  stata  richiesta  di
 discussione  e  b)  la  causa  spetti  per la cognizione decisoria al
 giudice monocratico.
   Per  cio'  che  attiene  al  profilo  sub  a)  nessun  dubbio  puo'
 sussistere  sulla rilevanza della questione dal momento che la difesa
 del Banco di Napoli alla udienza del 6 maggio 1997  ha  espressamente
 chiesto  la discussione orale della causa. Quanto, invece, al profilo
 sub b) occorre verificare se le domande  introdotte  dall'attore  non
 siano  per  caso  riservate  alla  cognizione  del  collegio cio' che
 escluderebbe la rilevanza della questione.
   Poiche' parte  attrice  ha  introdotto,  in  via  gradata,  diverse
 domande  deve  ritenersi  applicabile  il  disposto  di  cui all'art.
 274-bis,  ultimo  comma,  c.p.c.  secondo  il  quale  la   cognizione
 decisoria  spetta  al  collegio  laddove  anche  solo una delle cause
 rientri nella riserva di cui all'art. 88 legge n. 353/90.
   In verita'  tale  disposizione  si  riferisce  alla  ipotesi  della
 connessione  di  cause  ma come ha evidenziato la dottrina, la stessa
 regola deve valere anche in presenza di piu' domande all'interno  del
 medesimo  processo.  In  presenza  di  una  regola  siffatta, occorre
 verificare ad una ad una le domande svolte onde accertare se non  via
 sia corrispondenza con le ipotesi segnate dall'art. 88 cit.
   a) La domanda di nullita' del pegno.
   La  domanda  principale  e' relativa ad un tipo di controversia che
 non puo' in alcun modo essere  ricondotta  nell'alveo  dell'art.  88,
 legge  n.  353/90,  si' che per questo profilo certa e' la cognizione
 del giudice unico.
   b) La domnda revocatoria.
   In data 2 maggio 1995 e' definitivamente entrata in vigore la legge
 n. 353/90 con la conseguenza che deve essere applicato il nuovo  art.
 48  ord. giud. cosi' come modificato dall'art. 88 legge n. 353/90; in
 base a tale disposizione salve le aree di  riserva  di  collegialita'
 stabilite nei nn. 1-9 del citato art. 48, tutte le altre controversie
 sono rimesse alla decisione del giudice monocratico. Si tratta quindi
 di   stabilire  se  l'azione  revocatoria  fallimentare  (atteso  che
 pacificamente la domanda proposta e' basata sull'art.  67  l.  fall.)
 sia devoluta alla cognizione del collegio o del giudice unico.
   Nel   testo   dell'art.   88  legge  n.  353/90  sono  elencate  le
 controversie per le quali il legislatore ha preferito  conservare  la
 cognizione  decisoria  al  collegio;  l'elencazione  e'  estremamente
 analitica si che occorre stabilire quale sia il grado  di  resistenza
 dell'elenco    rispetto    a   possibili   integrazioni   frutto   di
 interpretazioni analogiche o solo estensive.
   L'introduzione della figura del giudice  monocratico  in  tribunale
 nel  quadro  di  un  articolato  sviluppo  di progetti di riforma del
 processo civile nel corso degli anni '80, appare tutto  sommato  come
 un  fatto estemporaneo nel senso che e' mancato un approfondimento in
 sede parlamentare del dibattito su  questo  argomento.  La  soluzione
 adottata  sembra rappresentare cosi' una soluzione di compromesso nel
 senso che la  scelta  della  monocraticita'  pare  dettata  piu'  per
 ragioni  di  "comodita'"  in funzione acceleratoria piuttosto che per
 reale convinzione, dal momento che per talune materie si e'  ritenuto
 piu' tranquillizzante conservare la cognizione decisoria al collegio.
   Il sistema di redazione della norma prevede una formula di chiusura
 a  favore  del  giudice  unico  "...  fuori  dei  casi riservati alla
 decisione collegiale, il tribunale  decide  in  persona  del  giudice
 unico";  la disposizione e' stata cosi' interpretata dalla prevalenza
 della dottrina come inidonea a consentire l'interpretazione analogica
 (solo  qualche  autore  ha  optato  per   l'ammissibilita'   di   una
 interpretazione estensiva).
   Ad   avviso   del   tribunale,   la  sostanziale  casualita'  delle
 controversie indicate nell'art. 88, induce ad articolare qualche  pur
 minima  correzione  di  rotta  rispetto  alla  assoluta  esaustivita'
 dell'elencazione.
   Per cio' che attiene alla azione revocatoria  fallimentare  occorre
 rilevare  preliminarmente  che  tale  azione  non  e'  esplicitamente
 ricompresa fra quelle per le quali opera la riserva di collegialita',
 anche se per la delicatezza spesso presente in siffatte  controversie
 una diversa scelta legislativa non sarebbe stata incoerente.
   Per  sottrarre l'azione revocatoria fallimentare alla attrazione al
 giudice monocratico si e'  sostenuto  che  il  termine  "revocazione"
 contenuto  nell'art. 88 n. 5 potrebbe legittimare una interpretazione
 che veda  l'azione  revocatoria  compresa  nell'area  riservata  alla
 collegialita',  sul  presupposto  che  in  una  occasione  lo  stesso
 legislatore a  proposito  dell'istituto  della  revocatoria,  adopera
 proprio l'espressione "revocazione" nell'art. 71 l. fall.
   Secondo  un  criterio  di lettura non dissimile dell'art. 88, si e'
 anche  rilevato  che  laddove  il  legislatore  utilizza  il  termine
 "impugnazione"  intenderebbe  riferirsi  a  tutti i giudizi nei quali
 viene chiesta l'inefficacia di un atto o di un negozio, quindi  anche
 alle azioni ex artt. 64, 66 e 67 in quanto azioni di "impugnazione".
   In  verita'  ricavare dalla lettura dell'art. 88 n. 5) un elenco di
 controversie  riservate  alla  cognizione  del   collegio   che   non
 corrispondono  a quelle in materia di accertamento del passivo appare
 francamente azzardato. Infatti le ipotesi di  cause  contenute  nella
 predetta  disposizione  coincide  esattamente  con  la  sequenza  dei
 procedimento di impugnazione e modificazione dello stato passivo  con
 una  perfetta  simmetria  che rappresenta, una volta tanto un limpido
 esempio di corretta tecnica legislativa. Le controversie  in  materia
 di  accertamento  del  passivo  restano  devolute alla cognizione del
 collegio non perche' importanti o delicate, quanto piuttosto  per  il
 fatto  che  rappresentano  forme  di  procedimenti  con  un carattere
 latamente impugnatorio, si'  che  si  e'  preferito  che  il  giudice
 chiamato a deciderle non sia lo stesso che ha emesso il provvedimento
 oggetto  del  riesame  (anche nelle cause conseguenti a dichiarazioni
 tardive di credito vi e' un profilo impugnatorio sol che  si  osservi
 che  il  procedimento  si avvia solo se vi e' un precedente implicito
 provvedimento di rigetto  da  parte  del  giudice  delegato  che  non
 ritiene di ammettere il credito con decreto).
   Nelle  azioni  revocatorie che mai si connotano quale strumento per
 la impugnazione di un provvedimento della autorita'  giudiziaria  non
 ricorre quindi l'esigenza di differenziare il giudice.
   La  soluzione  della  devoluzione  delle  azioni  revocatorie  alla
 cognizione del giudice singolo, consente  di  superare  il  possibile
 dubbio  di  legittimita'  costituzionale  che,  invece,  occorrerebbe
 prospettare laddove si ritenesse che le azioni revocatorie intraprese
 da un fallimento vanno decise dal collegio. Infatti,  se  il  termine
 "impugnazione"   dovesse   essere   esteso   alla  fattispecie  della
 revocatoria fallimentare per il fatto che l'art. 88 n. 5)    menziona
 espressamente  i  giudizi di impugnazione in ambito fallimentare, non
 vi sarebbe dubbio che anche la revocatoria ordinaria,  richiamata  in
 materia  concorsuale  dall'art.  66  l.  fall., sarebbe attratta alla
 cognizione del collegio, con la conseguenza che le azioni revocatorie
 ordinarie subirebbero un diverso trattamento a seconda della qualita'
 della parte proponente la domanda.
   Dal momento che il legislatore, con la previsione del successivo n.
 7) in tema  di  azioni  di  responsabilita',  ha  chiaramente  inteso
 evitare che la scelta collegiale o monocratica possa discendere dalla
 qualita'  delle  parti processuali, ci si troverebbe di fronte ad una
 ingiustificata disparita' di trattamento fra la revocatoria ordinaria
 promossa dal  curatore  e  quella  promossa  da  un  qualsiasi  altro
 soggetto.
   Anche  sotto questo profilo, quindi, appare preferibile la tesi per
 cui le azioni revocatorie  devono  essere  decise  dal  tribunale  in
 funzione di giudice singolo.
   Accedendo  a questa soluzione, peraltro, occorre prendere atto che,
 comunque, qualche aspetto di possibile disparita' di trattamento  fra
 posizioni simili, puo' presentarsi.
   Va ricordato, infatti, che le azioni revocatorie, secondo una parte
 della  dottrina  (peraltro  portatrice  di una tesi non condivisa dal
 giudicante) sono  tanto  quelle  che  il  curatore  promuove  in  via
 d'azione,  quanto  quelle  che il curatore solleva in via d'eccezione
 nel procedimento di accertamento dei crediti, quando viene contestata
 l'efficacia di un atto o di un negozio ai fini della  esclusione  del
 credito o della garanzia accessoria.
   In  quanto  controversie  in  tema  di accertamento del passivo, la
 decisione sulla domanda  revocatoria  -  si  e'  visto  -  spetta  al
 collegio.    Ne deriva che anche tale tesi interpretativa sembrerebbe
 offrire  spunti  per  una   eventuale   questione   di   legittimita'
 costituzionale.
   Il dubbio, pero', puo' venire superato agevolmente, ove si rammenti
 che  la  riserva  della  collegialita'  in  tema  di accertamento del
 passivo, trova la propria ragione nel fatto che si tratta di giudizi,
 in senso lato, di gravame, giudizi in cui vi e' anche il sindacato su
 un provvedimento giurisdizionale.
   Viceversa,  nelle  azioni  revocatorie  proposte  in  via  d'azione
 l'unica  "impugnativa" riguarda una situazione giuridica sostanziale:
 sussistono dunque sufficienti motivi per  ritenere  che  fra  le  due
 fattispecie non vi sia omogeneita', bensi' unicamente somiglianza che
 pure consente una diversa disciplina.
   4.   -   Sulla   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 190-bis c.p.c. nella  parte  in
 cui  non prevede diversamente da quanto disposto dall'art. 190 c.p.c.
 che in caso di discussione orale sia  consentito  anche  il  deposito
 delle memorie di replica.
   Dal  combinato  disposto  di  cui  agli  artt.  190 e 275 c.p.c. il
 sistema previsto per la decisione della causa, quando  la  cognizione
 spetta  al collegio, e' il seguente: a) il giudice istruttore assegna
 ex art. 190 c.p.c. alle  parti  il  termine  per  il  deposito  delle
 comparse  conclusionali  ed un successivo termine per le repliche; b)
 il giudice fissa l'udienza di discussione avanti al collegio  se  una
 delle parti ne fa richiesta ex art. 275 c.p.c.
   Se  invece  la  cognizione spetta al giudice monocratico il sistema
 trova la sua unica fonte di disciplina nell'art. 190-bis c.p.c. ed e'
 il seguente:  aa)  il  giudice  dispone  lo  scambio  delle  comparse
 conclusionali  e delle memorie di replica osservando i termini di cui
 all'art. 190 c.p.c.; bb) se una delle parti lo  richiede  il  giudice
 fissa  l'udienza  di  discussione  orale  innanzi  a se' "disposto lo
 scambio delle sole comparse conclusionali".
   Il legislatore ha dunque previsto due sistemi  differenziati  e  va
 certamente  escluso  che le parti possano pattiziamente riprodurre il
 sistema voluto per le cause collegiali in quelle monocratiche come ha
 dichiarato di essere disponibile a fare la difesa dell'attore.
   Si  tratta  quindi  di  capire  se   alla   distinzione   normativa
 corrisponda  un  effettivo  diverso  assetto  di interessi ovvero se,
 nella prospettiva di cui all'art. 3 Cost., ci si trovi di  fronte  ad
 una differenziazione di riti irrazionale.
   Infatti  se e' vero che il principio di eguaglianza vuole che siano
 trattate allo stesso modo situazioni simili,  cio'  non  esclude  che
 regimi  normativi  diversi  applicati  a  situazioni  diverse possano
 comunque essere sindacati sotto il profilo della  non  ragionevolezza
 quando la diversita' delle situazioni non incide sulla diversita' del
 regime  giuridico  prescelto  (cfr.  fra  le  piu' recenti in materia
 processuale, Corte cost., 29 giugno 1995, n.  284;  Corte  cost.,  27
 luglio 1994, n. 353; Corte cost., 30 giugno 1994, n. 265).
   Nel   caso  in  esame  la  diversita'  della  disciplina  (comparse
 conclusionali   +   memorie   di   replica   +   discussione/comparse
 conclusionali  +  discussione)  riflette  la  diversita'  dell'organo
 giudiziario  cui   e'   affidata   la   decisione   (collegio-giudice
 monocratico).  Sotto  questo  profilo,  in apparenza, non sembrerebbe
 esservi lesione del principio costituzionale di eguaglianza.
   In verita' se ci  si  chiede  quale  e'  la  ratio  di  una  simile
 differenza  di  regime  procedimentale ci si accorge che si fatica ad
 immaginarla, tanto e' vero che la maggior parte degli interpreti  non
 ne ha saputo dare spiegazione.
   Taluno  ha  osservato  che  la  discussione  ha una ragion d'essere
 soprattutto nelle cause  collegiali  in  quanto  rappresenta  l'unico
 momento  in cui pubblicamente l'intero collegio prende conoscenza dei
 termini della controversia, si' che la discussione orale  davanti  al
 giudice  unico assolverebbe alla semplice esigenza di semplificare il
 processo evitando le  repliche  scritte.  L'osservazione  non  sembra
 davvero  idonea  a  giustificare  la  differenza  di trattamento, dal
 momento che la previsione della discussione  orale  esiste,  appunto,
 anche  nelle cause devolute alla cognizione dell'organo monocratico e
 alla cognizione del pretore.
   Altrove si e', invece, affermato che la  volonta'  del  legislatore
 esprime, quanto meno inconsapevolmente, la riserva mentale per cui le
 cause  affidate  al  giudice  unico  sarebbero  meno importanti e che
 pertanto potrebbe essere omessa, a richiesta, la  fase  del  deposito
 delle memorie di replica.
   Anche  questa  tesi non merita accoglimento, sia perche' come si e'
 gia'  osservato  i  criteri  per  la  formazione  delle  riserve   di
 collegialita'  non  rispondono  a  principi  univoci,  sia perche' la
 smentita si trova proprio nel contenuto  del  presente  giudizio  (il
 valore della causa e' ben superiore a L. 70.000.000.000).
   Da  tali  rilievi  consegue  l'irrazionalita'  della  diversita' di
 disciplina e quindi la lesione al precetto di cui  all'art.  3  della
 Costituzione.
   Ma  questa  disciplina  contrasta  anche  con  il  parametro di cui
 all'art.  24 della Costituzione per almeno tre ordini di motivi:
     a)  l'art.  190-bis  c.p.c.  nulla  dice  con  riferimento   alla
 individuazione  del  momento  in  cui  va  presentata la richiesta di
 fissazione della discussione, ma argomentando dall'art. 275 c.p.c. si
 dovrebbe  concludere  che  il  termine  sia  quello  dell'udienza  di
 precisazione  delle  conclusioni.    Se  cosi' e', posto che non sono
 previste le repliche ma solo le  conclusionali,  la  parte  si  trova
 esposta  al  rischio che il giudice si avvalga del potere, officioso,
 di abbreviare i termini per il deposito delle conclusionali,  con  la
 conseguenza  che  la difesa scritta (l'unica a disposizione) potrebbe
 dover essere  presentata  nel  termine  breve  di  venti  giorni  con
 evidente compressione del diritto di difesa;
     b)  l'esigenza  di  garantire  con compiutezza il contraddittorio
 dovrebbe essere avvertita proprio nelle  cause  devolute  al  giudice
 unico,   specie   se  si  consideri  che  queste  possono  essere  di
 rilevantissima complessita';
     c) il sistema immaginato puo' risultare punitivo per la parte che
 subisce  la  richiesta,  dal  momento  che  la  scelta  di  uno   dei
 contendenti  di  discutere  oralmente  la  causa  priva l'altro della
 possibilita'  di  difendersi  per  iscritto   (mentre   nel   sistema
 "collegiale",  si tratta solo di aggiungere uno strumento di difesa e
 non di toglierlo).
   Il tribunale ritiene, quindi, che sia non manifestamente  infondata
 la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 190-bis c.p.c
 nella parte in cui non prevede che "in caso di richiesta di una parte
 di fissazione dell'udienza di discussione il giudice  debba  disporre
 oltre  allo  scambio  delle comparse conclusionali anche quello delle
 memorie di replica".
   I parametri costituzionali di confronto  sono  quindi  l'art.  3  e
 l'art. 24 della Costituzione.
   Sussistono,  pertanto,  le  condizioni  per  sospendere il presente
 giudizio in attesa della pronuncia  della  Corte  costituzionale  cui
 vanno  rimessi  gli  atti ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 del
 1953.