IL PRETORE
   Ha emesso la seguente ordinanza.
   Visti gli atti del procedimento nei confronti di  Perfetto  Sergio,
 nato  a  Pescara  il 20 novembre 1977, ivi residente via Tavo n. 227,
 condotto di fronte a  questa  a.g.  a  seguito  di  arresto,  per  la
 relativa   convalida   ed   il   contestuale   giudizio,  sulla  base
 dell'imputazione formulata dal p.m. con riferimento al delitto  p.  e
 p.  dall'art.  385  c.p.,  per  essersi allontanato dal luogo dove si
 trovava agli arresti domiciliari (in Pescara, in data 1 agosto 1997);
   Vista la richiesta del p.m. di convalidare l'arresto e di applicare
 nei confronti dell'arrestato la misura cautelare  della  custodia  in
 carcere, per le ragioni illustrate in udienza;
   Vista   l'istanza  avanzata  dallo  stesso  p.m.,  che  ha  chiesto
 sollevarsi questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  274,
 lettera c), c.p.p., per contrasto con l'art. 3 Cost., nell'ipotesi in
 cui  questo  giudicante  ritenga che il limite all'applicazione delle
 misure di custodia cautelare contenuto nell'ultimo  periodo  di  tale
 disposizione  si  applichi anche in sede di convalida di arresto, con
 particolare riferimento al caso in cui si proceda per il  delitto  di
 evasione, e udite le conclusioni della difesa sul punto.
                                Osserva
   1.  -  Le  osservazioni  del  p.m. appaiono condivisibili in quanto
 dall'art. 280, primo e secondo comma, c.p.p. si ricava che: A)  tutte
 le misure cautelari personali coercitive ad esclusione della custodia
 in   carcere   (vale   a   dire:  divieto  di  espatrio,  obbligo  di
 presentazione alla polizia giudiziaria,  divieto/obbligo  di  dimora,
 arresti  domiciliari  e  custodia cautelare in luogo di cura) possono
 essere applicate in presenza  di  delitti  puniti  con  pena  massima
 superiore  a  tre  anni  di  reclusione;  B) per l'applicazione della
 custodia cautelare in carcere, invece, occorre  che  si  proceda  per
 delitto punito con pena massima non inferiore a quattro anni.
   2.  -  L'art. 391, quinto comma, c.p.p. e l'art. 3, d.-l. 13 maggio
 1991, n. 152 (convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203), consentono
 l'applicazione delle misure coercitive, senza distinzioni, in  deroga
 ai  "limiti  previsti  dall'art.  280" quando il giudice procede alla
 convalida di un arresto operato in presenza di uno dei reati previsti
 dall'art. 381, secondo comma,  c.p.p.  oppure  in  caso  di  evasione
 (reati  puniti tutti - tranne l'evasione aggravata - con pena massima
 non superiore a tre anni di reclusione). Tale deroga ai limiti  posti
 dall'art.  280  c.p.p.  e'  ritenuta operante dalla giurisprudenza di
 legittimita' anche a seguito delle modifiche introdotte all'art.  280
 c.p.p  dalla  legge  8  agosto  1995,  n.  332:  in  questo  senso v.
 Cassazione, sez. VI penale, 11 aprile 1996, Frappampina (massimata in
 CED).
   3. - La disciplina normativa che deriva dagli artt. 280 c.p.p., 391
 c.p.p., 3 legge n. 203/1991 (e dunque: il limite generale valido  per
 tutte  le  misure  coercitive, il limite specifico per la custodia in
 carcere,  la  deroga  in  caso  di  arresto)  risulta   stabilita   a
 prescindere  dal  tipo  di  esigenza  cautelare  che  viene  posta  a
 fondamento della misura applicata.
   4.  -  Oltre  a  quanto   sopra,   occorre   pero'   tener   conto,
 nell'applicazione  delle misure cautelari personali, sia interdittive
 sia coercitive, di talune condizioni poste dalle norme che concernono
 le esigenze cautelari.  Data  la  questione  in  trattazione,  ditali
 condizioni  interessano  soltanto  quelle  che fanno riferimento alla
 pena per il reato per il quale si procede e dunque: A) la  condizione
 posta   dalla   lettera   b)   dell'art.   274   c.p.p.,  che  limita
 l'applicazione di qualunque misura cautelare personale (coercitiva  o
 interdittiva)  ai  casi  in  cui il giudice "ritenga che possa essere
 irrogata una  pena  superiore  a  due  anni  di  reclusione";  B)  la
 condizione  posta  dall'ultimo  periodo della lettera c) dello stesso
 art. 274 c.p.p., che limita l'applicazione delle "misure di  custodia
 cautelare"  ai  reati puniti con pena massima non inferiore a quattro
 anni, quando la misura viene invocata per il pericolo di reiterazione
 di reati della stessa specie  di  quello  per  il  quale  si  procede
 (limite introdotto dalla legge 8 agosto 1995, n. 332).
   5.  -  L'espressione  "misure di custodia cautelare", utilizzata in
 modo differenziato  rispetto  a  quella  di  "custodia  cautelare  in
 carcere"  in  seno alla medesima fonte normativa (legge n. 332/1995),
 sembra doversi interpretare come comprendente, oltre alla custodia in
 carcere, gli arresti domiciliari e la custodia in luogo di cura, vale
 a dire tutte e tre le misure che in dottrina e giurisprudenza non  di
 rado  si  trovano  accomunate  sotto  la dizione sintetica di "misure
 custodiali", costituenti  la  specie  maggiormente  afflittiva  delle
 misure  cautelari  personali  coercitive.  A  conferma  di  cio' puo'
 richiamarsi l'ultimo comma dell'art. 284 c.p.p., dove  si  legge  che
 "l'imputato  agli  arresti  domiciliari  si  considera  in  stato  di
 custodia cautelare".
   6. - Ne' l'art. 280 c.p.p., ne' gli artt. 391 c.p.p. e 3  legge  n.
 203/1991,  fanno  riferimento alcuno alle condizioni limitative poste
 dalle lettere b) e c) dell'art. 274 c.p.p. e dunque occorre  ritenere
 che  tali  condizioni  siano  indifferenti  al  meccanismo  di deroga
 indicato al punto 2: cio' vale a dire che esse sono operanti in  ogni
 caso,  anche quando ci si trova in sede di convalida di arresto.  Una
 conferma a tale assunto puo' trarsi da ulteriori  osservazioni:    A)
 l'art.  274  c.p.p.  e'  collocato  in  una  sede  distinta da quella
 dell'art. 280 e precisamente nel  capo  contenente  le  "disposizioni
 generali"  sulle  misure  cautelari  personali  (mentre,  come detto,
 l'art.    280  concerne  soltanto  le  misure   cautelari   personali
 coercitive);  B)  l'art.  274 lettera c) fa riferimento, nel porre la
 condizione limitativa, alle "misure di  custodia  cautelare",  mentre
 l'art.  280,  secondo  comma,  menziona  specificamente  la "custodia
 cautelare in carcere" (e  dunque  non  puo'  considerarsi  norma  che
 semplicemente   recepisce   e  ribadisce  il  medesimo  limite  posto
 dall'art. 274 c.p.p.).
   7.  - Dal quadro che precede si ricava una sostanziale incongruenza
 della   disciplina   normativa   in   questione,   sino   al   limite
 dell'irragionevolezza.    Mentre  infatti  da  un  lato vi sono norme
 (artt. 381  e  391  c.p.p.,  3  legge  n.  203/1991)  che  consentono
 l'arresto  e  tendono  a  favorire l'applicazione di misure cautelari
 (senza distinzioni e quindi comprendendo la custodia in carcere e gli
 arresti domiciliari) per reati puniti con pena massima non  superiore
 a  tre anni di reclusione, da altro lato l'art. 274 ed in particolare
 la sua lettera c) impedisce negli  stessi    casi  l'applicazione  di
 misure  custodiali.  Possono  essere  sottolineati,  come risvolti di
 questa incongruenza, i seguenti dati:
     per i reati interessati dalle norme  in  esame  si  e'  venuto  a
 creare  uno  sbilanciamento  di potesta' coercitiva dalla parte della
 polizia giudiziaria: mentre  infatti  a  questa  continua  ad  essere
 riconosciuta  la potesta' di privare un soggetto integralmente, anche
 se provvisoriamente, della liberta' personale operando l'arresto,  al
 giudice e' impedito di applicare misure custodiali;
     l'art.  121  disp.  att.  c.p.p.  impone al pubblico ministero di
 porre in liberta' l'arrestato quando ritiene di non dover  richiedere
 a  suo  carico  misure  coercitive;  ne  deriva  che  per  i reati in
 questione, palesandosi in molti casi  inadeguata,  a  seguito  di  un
 arresto, una misura coercitiva non custodiale e non potendosi d'altra
 parte applicare misure custodiali, il pubblico ministero dovra' porre
 subito in liberta' l'arrestato, con evidente frustrazione della ratio
 delle norme che consentono l'arresto;
     alla  luce  dei presupposti dell'arresto in flagranza - "gravita'
 del fatto" e/o "pericolosita' del soggetto"  -  l'esigenza  cautelare
 che risulta piu' facilmente ricorrente e' proprio quella del pericolo
 di  reiterazione  di reati della stessa specie di quello per il quale
 si procede; d'altra  parte  la  condizione  posta  dalla  lettera  b)
 dell'art.    274  c.p.p.  (probabilita' di irrogazione in concreto di
 pena superiore a due  anni  di  reclusione)  e'  comunque  fortemente
 limitativa  della  possibilita'  di  applicare misure cautelari anche
 nell'ipotesi in cui l'esigenza cautelare sia ravvisata  nel  pericolo
 di  fuga,  tenuto  conto  in  particolare dei limiti edittali di pena
 stabiliti per il delitto di evasione;
     il terzo comma dell'art. 280 c.p.p. consente l'applicazione della
 custodia in carcere anche nel caso di reati puniti con  pena  massima
 inferiore a quattro anni di reclusione, in deroga al limite posto dal
 secondo comma dello stesso articolo, quando vi e' stata trasgressione
 alle prescrizioni della misura cautelare (evidentemente diversa dalla
 custodia in carcere) precedentemente applicata; questa deroga, pero',
 non   opera   nei   confronti   delle   condizioni  limitative  poste
 dall'articolo 274 lettere c) e b), in quanto non contiene richiami  a
 tali  disposizioni:    dunque,  da  un lato, si ha la possibilita' di
 sottoporre un soggetto a custodia carceraria per il (solo) fatto  che
 questi  abbia  violato  una  misura  cautelare coercitiva, mentre, da
 altro lato, vi e' comunque il divieto di applicazione non solo  della
 custodia  in  carcere  ma  anche  degli  arresti domiciliari (e della
 custodia in luogo di cura) qualora vi sia  pericolo  di  reiterazione
 del reato, che pure dovrebbe rappresentare circostanza di gravita' ed
 allarme  sociale pari, se non superiori, a quelle della trasgressione
 delle prescrizioni di una misura;
     un  limite  rigido  all'applicazione  della  custodia in carcere,
 analogo a quello contenuto nella lettera c) dell'art. 274 c.p.p.,  e'
 stato recentemente dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale,
 con sentenza n. 439/1995 si trattava della norma che impediva in ogni
 caso   l'applicazione   di   detta   misura   nei   confronti   degli
 indagati/imputati malati di AIDS,  anche  nei  casi  in  cui  costoro
 reiteravano  condotte  criminose  e/o  si  rendevano  responsabili di
 ripetute evasioni dagli arresti domiciliari; ed e' da notare  che  il
 limite  posto  dalla lettera c) dell'art. 274 ostacola l'applicazione
 non soltanto della  custodia  in  carcere,  ma  anche  degli  arresti
 domiciliari  (nonche',  si  deve ritenere, della custodia in luogo di
 cura).
   8. - Non sembra d'altra parte sufficiente ad escludere  profili  di
 irragionevolezza  il  fatto  che  nell'ordinamento giuridico vi siano
 fattispecie di reato per le quali  e'  prevista  la  possibilita'  di
 arresto  ma non anche quella di applicazione di misure coercitive (ed
 anzi cautelari in generale), come accade per le contravvenzioni p.  e
 p. dall'art. 4, legge n. 110/1975, secondo quanto stabilito dall'art.
 6,  decreto-legge  n.  122/1993, convertito nella legge n.  205/1993.
 Infatti - a parte agevoli considerazioni sulla peculiarita' dei reati
 disciplinati dall'art. 4 legge n. 110/1975, per i quali anche il solo
 arresto, unitamente al sequestro degli oggetti illecitamente portati,
 rappresenta una "cautela" efficace,  trattandosi  di  fattispecie  di
 reato  tipicamente  di  pericolo  ed anzi qualificabili come reati di
 ostacolo, che si caratterizzano per una  anticipazione  della  soglia
 della  punibilita'  e  per  l'essere  strumento diretto ad impedire o
 comunque ostacolare la commissione  di  altri,  piu'  gravi  reati  -
 occorre  evidenziare  che  il vizio di contraddittorieta' della norma
 contenuta nell'art. 274, lettera c), c.p.p. risiede non tanto nel suo
 significato assoluto - quello di impedire misure  custodiali  per  un
 certo  tipo  di  reato  - quanto nel suo contrapporsi alla disciplina
 derivante dal combinato  disposto  degli  artt.  280  c.p.p.  (regola
 generale),  da  un lato, e 391 c.p.p. e 3, legge n. 203/1991, (deroga
 in caso di arresto),  dall'altro  lato,  e  nel  suo  determinare  un
 contrasto   fra   potere  riconosciuto  ala  polizia  giudiziaria  ed
 intervento del magistrato (basti pensare che  in  virtu'  del  limite
 posto dall'ultimo periodo dell'art. 274, lettera c), c.p.p., nel caso
 di  arresto  di  un evaso il pubblico ministero, non potendo invocare
 l'applicazione di  misure  custodiali  e  non  avendo  d'altra  parte
 ragione   logica  alcuna  di  richiedere  l'adozione  di  una  misura
 cautelare meno affittiva di quella appena  violata,  dovrebbe  sempre
 disporre  l'immediata  liberazione  dell'arrestato in forza di quanto
 stabilito dall'art. 121 disp. att.  c.p.p.: il che sembra palesemente
 contrastare con la valutazione fatta dal  legislatore  di  consentire
 l'arresto dell'evaso anche fuori dei casi di flagranza).
   Puo'  inoltre  osservarsi  che  il limite posto dall'ultimo periodo
 dell'art. 274 lettera c) c.p.p. non consentirebbe di  conseguenza  al
 giudice  la  valutazione  sull'adeguatezza  e  idoneita' della misura
 cautelare eventualmente richiesta, che resterebbe comunque di portata
 minore di quella appena violata.
   Sulla base di quanto sopra evidenziato appare a questo pretore  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'articolo 274, lettera c),  c.p.p.  -  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che  il  limite  all'applicazione  delle  misure di custodia
 cautelare  contenuto  nell'ultimo periodo di tale disposizione non si
 applichi nei casi in cui la decisione sulla  misura  cautelare  abbia
 luogo  in  sede  di  convalida  di  arresto  -  per  contrasto con il
 principio  di  ragionevolezza   in   relazione   all'art.   3   della
 Costituzione.   Ritenuta   la   rilevanza   della  questione  per  la
 definizione del procedimento in questione, in quanto non consente  la
 conclusione  del giudizio di convalida dell'arresto in relazione alla
 richiesta di misura cautelare avanzata dal p.m. ed osservato  che  il
 giudizio    sul    punto    non   puo'   pertanto   essere   definito
 indipendentemente  dalla  questione  di  legittimita'  costituzionale
 innanzi prospettata.