IL PRETORE
   Ritiene  questo  pretore  di  dover  sollevare come richiesto dagli
 attori questione di legittimita' costituzionale del disposto  di  cui
 all'art. 9, comma 21 della legge 28 novembre 1996, n. 608.
   Tale   normativa  dispone,  come  e'  noto,  fra  l'altro  che  "le
 assunzioni di personale con rapporto di lavoro a  tempo  determinato,
 effettuate dall'Ente poste italiane, a decorrere dalla data della sua
 costituzione  e comunque non oltre il 30 giugno 1997 non possono dare
 luogo a rapporti di lavoro a  tempo  indeterminato  e  decadono  allo
 scadere del termine di ciascun contratto".
   Osserva,  in  proposito, questo giudice: tale normativa appare allo
 stato tale da comportare,  rebus  sic  stantibus,  la  reiezione  dei
 ricorsi proposti.
   Non  puo',  infatti  accedersi  alla tesi avanzata in proposito dai
 ricorrenti, i quali sostengono che l'espressione dare luogo usata dal
 legislatore  starebbe  a  significare  che  i  contratti  a   termine
 stipulati  dal  convenuto  ex    art.  230/1962  non  possono  essere
 convertiti in contratti a tempo determinato.
   Questa circostanza non  si  verificherebbe,  invece,  nel  caso  di
 specie  nel  quale il contratto a temine sarebbe invalido ab initio e
 il  rapporto  tra  ricorrenti  e  convenuto  si  sarebbe  ab   initio
 costituito come rapporto a tempo indeterminato.
   A  parere  di  questo  pretore  questa  tesi,  pur suggestiva e ben
 argomentata si basa, pero', su una  interpretazione  non  convincente
 del testo di legge e, in particolare dell'espressione "dare luogo".
   Non  vi  sono, infatti, motivi plausibili, anche dal punto di vista
 meramente etimologico, per ritenere che  questa  espressione,  invero
 generica  ed  onnicomprensiva,  nel  significato  comune del termine,
 debba essere interpretata, restrittivamente nel  senso  indicato  dai
 ricorrenti.  Tale  espressione  sembra,  pertanto, nella volonta' del
 legislatore idonea a coprire tutte le ipotesi in cui, comunque da  un
 contratto  a  tempo  determinato  si pervenga ad un contratto a tempo
 indeterminato, vuoi, per illegittima apposizione  del  termine,  vuoi
 per trasformazione ex art. 2, secondo comma, della legge n. 230/1962.
   Del resto come gia' rilevato da altre AA.GG. sarebbe privo di ratio
 il  ritenere  che  il  legislatore da un lato abbia voluto, in questo
 caso porre al datore di lavoro un  limite  nelle  assunzioni  con  un
 divieto  di  trasformare  un  legittimo  contratto  di lavoro a tempo
 determinato in contratto a tempo indeterminato  e  dall'altro  abbia,
 invece,  consentito  allo  stesso  datore  di  eludere  tale  limite,
 aggirando, altresi', gli accordi sindacali  in  tema  di  assunzione,
 stipulando  in  violazione di legge contratti a tempo determinato poi
 convertibili, automaticamente, in contratti a tempo indeterminato.
   Cio' premesso, occorre, infine esaminare due ordini di  problemi  e
 cioe':
     se   vi   siano,   nella  normativa  cosi'  elencata  profili  di
 illegittimita' costituzionale;
     se, in caso di risposta affermativa a questa domanda, debba esser
 provveduto sul provvedimento ex  art.  700  c.p.c.  gia'  concesso  a
 Ticciati Claudia.
   Per  quanto  attiene  alla  prima questione la risposta deve essere
 affermativa, con riguardo ad una  possibile  violazione  dell'art.  3
 della Costituzione.
   La  normativa  predetta  sembra, infatti, vulnerare il principio di
 uguaglianza sotto un duplice profilo: da un  lato  sotto  un  profilo
 "esterno"  in  quanto  discrimina  ingiustamente i lavoratori postali
 dagli altri lavoratori privati, senza che si possa rinvenire,  almeno
 con   evidenza   un   principio   razionale  che  sottenda  a  questa
 impostazione.
   Se, infatti, dopo la privatizzazione i lavoratori delle poste hanno
 assunto in pieno la qualifica di lavoratori privati, non si  capisce,
 almeno  ictu oculi, perche' agli stessi non debba essere applicato il
 trattamento, in questo caso favorevole previsto in caso di contatto a
 tempo determinato illegittimo, rispetto a quello che viene fatto  nei
 confronti di tutti gli altri lavoratori privati.
   Si  consideri, oltretutto che un ulteriore motivo di "peculiarita'"
 del rapporto di lavoro "postale" sarebbe rappresentato dal fatto  che
 questa  normativa  assicura validita', sempre e comunque, a qualunque
 clausola appositiva del termine anche, eventualmente di tipo illecito
 o discriminatorio. Anche sotto questo profilo pare arduo sostenere la
 sussistenza di un evidente principio di ragionevolezza.
   Ma vi e' anche una disciminazione,  per  certi  versi  ancora  piu'
 stridente ed illogica "interna" agli stessi lavoratori dell'EPI.
   Tale discriminazione si attua quando la normativa in parola prevede
 che  gli  stessi  lavoratori  siano  distinti, sotto il profilo della
 validita' del contratto di lavoro a tempo  determinato  e  della  sua
 conversione  in  contratto di lavoro a tempo indeterminato, dal fatto
 che il contratto stesso vada a scadere prima  o  dopo  il  30  giugno
 1997.
   Anche qui non si rinviene un apparente principio di ragionevolezza.
   Ritiene,  quindi  il  pretore  di  dovere sollevare la questione di
 costituzionalita'  della  normativa  sovracitata  per  contrasto  con
 l'art.    3 della Costituzione sorgendo quantomeno il sospetto che la
 stessa normativa tratti  in  modo  diverso  situazione  analoghe.  La
 questione  e', ovviamente, rilevante nella presente causa, poiche' la
 norma impugnata, se ritenuta valida provocherebbe  la  reiezione  del
 ricorso.
   Per  quanto  attiene  alla posizione Ticciati ritiene il giudicante
 che  la  sospensione  del  procedimento  abbia  come  conseguenza  il
 mantenimento  degli  effetti  del provvedimento cautelare ex art. 700
 c.p.c.  emesso  gia'  prima  della   normativa   in   sanatoria.   La
 sospensione,  infatti,  non  consente,  fino  alla  risoluzione della
 questione di costituzionalita' di prendere in esame alcuna  questione
 attinente alla bonta' di tale provvedimento.