IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza, letti gli atti del procedimento n. 1092/1997 r.g., n. 476/1997 r: sez. n. 128 (97 r.g.i.) Osserva 1. - Finocchiaro Giovanni, Guglielmino Giuseppe, Santoro Giuseppe e Di Stefano Salvatore, componenti del Consiglio di amministrazione della Banca popolare di Belpasso, convenivano in giudizio la Banca popolare di Belpasso soc. cop. a r.l. esponendo quanto segue. Con sentenza del tribunale di Catania del 13 febbraio 1997 son stati riconosciuti colpevoli del reato di false comunicazioni in bilancio con riferimento a fatti di reato che sarebbero stati commessi alla fine degli anni '80. Alle pene detentive e pecuniarie e' stata associata la pena accessoria della "interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per anni due". La sentenza ha previsto la sospensione della esecuzione delle pene alle condizioni di legge. Il Consiglio di amministrazione della Banca popolare di Belpasso ha deliberato il 25 febbraio 1997 (allontanatisi gli odierni attori dalla riunione consiliare) la sospensione degli attori dai rispettivi uffici di amministratori (presidente, vicepresidente, consiglieri) in applicazione dell'art. 9 decreto-legge n. 143/1991 convertito nella legge n. 197/1991, in base al quale la condanna con sentenza anche non definitiva per uno dei reati di cui all'art. 5 n. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 350 del 1985 comporta la sospensione dalle funzioni di amministratore presso enti creditizi. Assumono gli attori che la deliberazione suindicata sarebbe illegittima, per le seguenti ragioni: la sospensione prevista dalla legge n. 197/1991 non costituirebbe una sanzione amministrativa autonoma bensi' costituirebbe una pena accessoria derivante dalla stessa sentenza di condanna, sicche' - essendo stata sospesa la esecuzione della pena principale - andrebbe sospesa anche la esecuzione di ogni pena che della stessa possa qualificarsi come accessoria; la misura interdittiva adottata con la delibera impugnata non potrebbe, comunque, essere applicabile agli attori poiche' introdotta con legge, del 1991, successiva ai fatti addebitati agli attori; anche ad attribuire natura di sanzione amministrativa alla misura interdittiva in esame, dovrebbe rilevarsi che essa ha lo stesso oggetto della pena interdittiva prevista dall'art. 166 c.p., sicche' sarebbe incongruo la contemporaneita' della sospensione della pena interdittiva prevista dal codice di procedura penale e l'applicazione della stessa misura interdittiva prevista dalla legge n. 197/1991; se non si ritenesse non applicabile, per una delle ragioni suindicate, la sospensione prevista dalla legge n. 197/1991, la norma contrasterebbe, comunque, con l'art. 27/2 Cost. 2. - Costituitasi, la banca convenuta evidenziava che la delibera oggetto di contestazione era stata adottata per il timore di incorrere nelle sanzioni previste dall'art. 9/4 della stessa legge n. 197 del 1991 per i componenti il Consiglio di amministrazione della banca. 3. - In corso di causa veniva chiesta la sospensione della delibera in esame. Il giudice istruttore rilevava che, identificandosi le questioni sollevate con la interpretazione dei dati normativi dalla quale dipende la decisione della causa, era necessario approdare direttamente alla decisione sul merito della controversia. In questa prospettiva, precisatesi le conclusioni, la causa veniva posta in decisione all'udienza del 5 maggio 1997 e decisa come in motivazione Motivi della decisione 1. - Secondo una interpretazione dei dati normativi rilevanti per la decisione sulla fattispecie in esame (vedasi decisione della sezione lavoro del tribunale di Catania del 27 maggio 1997 in sede di decisione sul reclamo contro ordinanza del pretore del lavoro di Catania sez. distaccata di Belpasso del 7 aprile 1997) se i fatti per i quali gli amministratori sospesi ex lege n. 197/1991 sono collocati in epoca anteriore a quella della entrata in vigore della legge n. 197/1991 in forza del principio generale per il quale (art. 11 disp. preleggi al codice civile) la legge non dispone che per l'avvenire, salva espressa deroga legislativa (e fatto salvo il principio costituzionale della irretroattivita' della legge penale) - anche a prescindere da ogni valutazione circa il carattere sostanzialmente afflittivo della misura della sospensione dalla carica - poiche' la disciplina introdotta dalla legge n. 197/1991 e' innovativa rispetto alla precedente disciplina in materia (disciplina che prevedeva la misura interdittiva solo a seguito di sentenza definitiva) la normativa in esame non sarebbe applicabile alla concreta fattispecie storica. Deve tuttavia osservarsi che la disposizione legislativa non collega la misura della sospensione in esame direttamente a un comportamento dei soggetti che debbono essere colpiti dalla misura bensi' al fatto che a loro carico sia intervenuta una sentenza di condanna non definitiva (giacche' se fosse definitiva dovrebbe conseguirne la misura della decadenza). Se questo e' vero, non sembra che venga immediatamente in rilievo una questione di retroattivita' della legge con la connessa soluzione della irretroattivita' ex art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile in assenza di espressa deroga al principio generale espresso dal citato art. 11. 2. - La questione della retroattivita' si ripropone, pero', sotto il profilo - piu' sostanziale - della natura giuridica della misura in esame (implicitamente risolto ma non esplicitamente trattato secondo la interpretazione riportata sub 1). A questo scopo occorre precisare, in primo luogo, se alla stessa puo' riconoscersi il carattere di una afflittivita' giuridicamente significante, cioe' come tale voluta dal legislatore. In questa prospettiva la si potrebbe considerare come misura assimilabile a una sanzione amministrativa. Tuttavia in materia di sanzioni amministrative non vige - in via generale - il divieto di retroattivita' posto dall'art. 25 Cost. in relazione alle sanzioni penali (Consiglio di Stato n. 5 del 17 maggio 1974; sez. IV n. 706/1977, sez. 2 n. 772/1991; sez. 5 n. 152/1996; Corte costituzionale nn. 68/1984, 23/1967, 46/1964, 29/1961). Viene pero' riconosciuto che in materia di sanzioni amministrative personali e disciplinari possa valere, in via di applicazione analogica, il principio veicolato dall'art. 2 cod. pen. in base al quale si applica il trattamento sanzionatorio piu' favorevole fra quelli che si succedono nel tempo (Cons. St. sez. IV, nn. 150/1989, 844/1990, 848/1990). Su questa base potrebbe reputarsi applicabile al caso in esame con la misura prevista dalla legge del 1991 bensi' la previgente misura della decadenza condizionata, pero', alla definitivita' della sentenza (non ancora realizzatasi nel caso in esame). 3. - Tuttavia deve registrarsi che, con convincenti argomenti, il giudizio sulle misure cautelative viene considerato distinto per natura e funzione da quello conclusivamente sanzionatorio (vedasi: Corte costituzionale n. 270/1988, Cons. St. nn. 211/1993, 212/1993). Nel caso in esame la misura della sospensione a seguito di condanna non definitiva e' per sua natura misura interinale, sicche' neanche puo' configurarsi come sanzione sia amministrativa sia disciplinare, bensi' come cautela operante su un piano non afflittivo. Su queste basi, dovrebbero venir meno le perplessita' sopra considerate circa la applicabilita' della misura alla fattispecie in esame. Infatti, la Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalita' di misure interdittive da adottarsi sul mero presupposto di una sentenza di condanna non definitiva. Con le sentenze nn. 971/1988 e 40/1990, la Corte costituzionale, sviluppando i criteri gia' enunciati nella precedente sentenza n. 270/1996, ha sottolineato che e' indispensabile una gradualita' sanzionatoria: vale l'esigenza che la sanzione sia graduata in rapporto al reato commesso e alle possibili ripercussioni dello stesso sullo svolgimento delle mansioni dell'impiegato. In sostanza, la Corte ha ritenuto che l'amministrazione deve tenere conto delle concrete valutazioni effettuate dal giudice penale e, in particolare, considerare se il giudice penale ha ritenuto il fatto di non particolare gravita' e il colpevole non socialmente pericoloso, come avviene se, ad esempio, il giudice penale ha trasformato la pena detentiva in una delle misure alternative alla detenzione o se ha sospeso l'esecuzione della pena. 4. - La misura in esame costituisce una misura interdittiva provvisoria di natura cautelare - come tale essa si autoqualifica e come almeno prima facie si presenta - volta a preservare i requisiti di onorabilita' necessari per l'espletamento delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo nelle banche. La misura interdittiva in esame - neanche sanzionatoria ma soltanto cautelare - tutela interessi diversi da quelli che conformano l'azione del giudice penale. Tuttavia, non appare gratuita una piu' approfondita analisi del contesto normativo e degli esiti effettuali della applicazione della misura in esame. 4.1. - Se tale previsione normativa si colloca nel contesto normativo delineato oltre che dalla specifica disposizione che la prescrive, anche dalle raccomandazioni adottate dall'art. 3 par.2 u.c. del titolo II della direttiva CEE del 12 dicembre 1977 n. 780/1977, dalla legge n. 74/1985 di delega al Governo per l'attuazione della direttiva predetta, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 350/1985, come modificato dalla legge n. 55/1990, di attuazione dei principi della legge delega, dal decreto legislativo n. 481/1992 attutivo della direttiva CEE n. 89/646 e dalle raccomandazioni CIRC adottate nella riunione del 30 luglio 1993, dal decreto ministeriale n. 334/1992 (art. 2.2.) e dalla legge n. 77/1982 (art. 1.7), deve registrarsi che l'istituto della sospensione temporanea non e' riconducibile ai principi contenuti nella direttiva comunitaria e nella suindicata legge di delega, nonostante che si collochi all'interno di una disciplina volta a regolamentare nel territorio italiano fattispecie che hanno origine e giustificazione in una fonte comunitaria. 4.2. - Se si tengono in rilievo gli esiti effettuali della misura interdittiva provvisoria, deve considerarsi che in dottrina, la sospensione provvisoria e' stata valutata come giusta causa di revoca, senza diritto al risarcimento del danno neanche a seguito di una successiva sentenza che assolva colui che fu sospeso. Sotto questo profilo e' opportuno sottolineare che la situazione in esame presenta una diversita' essenziale rispetto ai caratteri di altra questione giudicata infondata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 184/1994. In quella occasione la Corte ritenne infondate le questioni di legittimita' costituzionale di norme che prevedono la sospensione obbligatoria di dipendenti e amministratori pubblici nei confronti dei quali sia stata emessa sentenza di condanna per taluno dei reati indicati nella legge n. 16/1992 modificativa della precedente n. 55/1990 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale). Questo perche' in quel caso, il provvedimento sospensivo cautelare - accostabile alla sospensione cautelare prevista per gli impiegati civili dello Stato dall'art. 91 testo unico della legge n. 3/1957 - puo' essere oggetto di revoca amministrativa. Nel caso in esame, invece, la sospensione e' atta a produrre esiti irrevocabili, se non altro in termini di danni non risarcibili neanche al sopravvenire di una successiva sentenza di assoluzione. 4.3. - Nello specifico caso in esame non puo' trascurarsi che la misura interdittiva cautelare deriverebbe da una condanna, non definitiva, della quale e' stata sospesa l'esecuzione della pena. Va considerato, sotto questo profilo, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 595/1990 ha dichiarato la illegittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 3 della Costituzione (assorbendo la questione sollevata per la sospetta incompatibilita' della stessa normativa anche con gli artt. 4.1. e 35.1. Cost., sul presupposto che la rigidita' della misura cautelare della interdizione comporterebbe un ingiustificato sacrificio del diritto al lavoro del professionista), di disposizioni di legge nella parte in cui non prevedevano che la sospensione di diritto dello spedizioniere doganale venga meno con la concessione della liberta' provvisoria, ritenendo che la rigidita' della misura amministrativa che ne esclude l'adattamento alle circostanze concrete (in quel caso la sopravvenuta remissione in liberta' dell'interessato), oltre che apparire irragionevole in se', determina una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina prevista per l'equivalente misura cautelare interdizione provvisoria dalla professione o dal pubblico ufficio disposta "durante l'istruttoria" ai sensi degli artt. 140 c.p. e 290 c.p., per la quale e' comunque stabilito un limite massimo di durata. La sopra ricordata sentenza della Corte costituzionale ribadisce l'indirizzo dalla stessa analogamente espresso con riferimento al caso della sospensione cautelare dalla professione di dottore commercialista conseguente ad emissione di mandato di cattura anche dopo la concessione della liberta' provvisoria. In entrambi i casi alla Corte - che cosi' implicitamente recepisce l'indirizzo affermato in alcune sentenze della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato (Cass. civ. n. 18/1984, Cons. St. nn. 1305/1978, 162/1986) ma contrastato dalla Corte di cassazione a sezioni unite nn. 5107/1984, 4249/1986) - non e' parso razionale che un provvedimento amministrativo, quale quello della sospensione obbligatoria, che ha la stessa natura e si basa sulle stesse situazioni per le quali e' previsto un provvedimento giudiziario non offra al cittadino analoghe garanzie quanto alla durata. 5. - Le considerazioni sinora svolte conducono a individuare nell'art. 9 del d.-l. 3 maggio 1991, n. 143 convertito in legge 5 luglio 1991, n. 197 la disposizione-norma della quale appare non manifestamente infondata la incompatibilita' con i principi normativi contenuti negli artt. 3, 4, 27 e 35 della Costituzione. 6. - La soluzione della questione di costituzionalita' che si va a sollevare e' rilevante nel presente processo poiche' dalla sua soluzione dipende la decisione circa l'annullamento di sospensione degli attori dal consiglio di amministrazione della banca convenuta.