IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza nella causa civile in primo grado
 iscritta, in data 12 luglio 1989,  col  n.  1401  al  ruolo  generale
 dell'anno  1989  e  vertente  tra Laraia Teresa, Laraia Maria, Laraia
 Antonia, Laraia  Francesco  Saverio  e  Laraia  Rocco,  elettivamente
 domiciliati  in  Potenza,  alla  via  Vaccaro  31,  presso  lo studio
 dell'avv. Vincenzo Laurita che  li  rappresenta  e  difende  come  da
 mandato  a  margine  dell'atto  di  citazione, attore, e il comune di
 Laurenzana, elettivamente domiciliato in Potenza, alla via Viggiani 8
 presso lo studio dell'avv.  Michele  Romano,  che  lo  rappresenta  e
 difende come da delibera della Giunta municipale n. 240 del 18 luglio
 1989  e conseguente mandato a margine della comparsa di costituzione,
 convenuto.
   Premesso:
     che con di atto di  citazione  notificato  l'8  luglio  1989  gli
 attori  Laraia Teresa, Laraia Maria, Laraia Antonia, Laraia Francesco
 Saverio e Laraia Rocco convenivano dinanzi al tribunale di Potenza il
 comune di Laurenzana, in persona del  suo  sindaco  pro-tempore,  per
 chiedere il pagamento dell'indennita' di occupazione di urgenza ed il
 risarcimento  del danno conseguente alla occupazione appropriativa di
 un fondo  di  loro  proprieta'  su  cui  il  convenuto  comune  aveva
 realizzato un ambulatorio;
     che la titolarita' del diritto di proprieta' del bene occupato in
 capo agli attori risulta dagli atti ed appare incontroversa;
     che  con  D.P.G.R.  n.  615  del  9 maggio 1977 si era provveduto
 all'approvazione del progetto concernente  i  lavori  di  costruzione
 dell'opera, con relativa implicita dichiarazione di pubblica utilita'
 della medesima e di urgenza ed indifferibilita' dei lavori;
     che  l'opera  risulta  essere  stata  effettivamente  realizzata,
 successivamente alla scadenza dei termini dell'occupazione  legittima
 e  senza che mai intervenisse il decreto di espropriazione del fondo,
 determinandosi quindi l'occupazione acquisitiva dello stesso;
     che nelle more del giudizio e' intervenuta la nuova normativa  in
 materia   di  liquidazione  del  danno  da  occupazione  illegittima,
 contenuta nel comma 7-bis dell'art. 5-bis della legge 8 agosto  1992,
 n. 359, aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996,
 n.  662,  a  norma  del  quale "in caso di occupazioni illegittime di
 suoli per causa di pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30
 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno i criteri
 di  determinazione  dell'indennita'  di  cui  al  primo  comma,   con
 esclusione  della  riduzione  del 40 per cento. In tal caso l'importo
 del risarcimento e' altresi' aumentato del 10 per cento";
     che tale disposizione si applica anche ai procedimenti  in  corso
 non ancora definiti con sentenza passata in giudicato.
                             O s s e r v a
   La  norma in questione risulta emanata dal legislatore dopo neppure
 due mesi dalla declaratoria di incostituzionalita'  della  previgente
 disciplina  della  liquidazione  del danno da occupazione illegittima
 contenuta nel comma 6 dell'art. 5-bis della legge 8 agosto  1992,  n.
 359.
   A  parere di questo tribunale, peraltro, neppure la nuova normativa
 in esame  si  sottrae  da  fondati  dubbi  di  costituzionalita'  che
 impongono  quindi la rimessione della questione al vaglio del giudice
 delle leggi.
   A questo fine appare positiva la  verifica  dei  presupposti  della
 rilevanza  nel presente giudizio della norma in questione e della non
 manifesta infondatezza della  questione  di  costituzionalita'  della
 medesima.
   Sotto  il  primo  profilo  deve, infatti, rilevarsi che nel caso di
 specie risulta  venuta  all'esame  di  questo  tribunale  una  tipica
 fattispecie   di   occupazione   appropriativa  caratterizzata  dalla
 sussistenza  di  tutti  i  requisiti  che  la  denotano  (intervenuta
 dichiarazione  di  pubblica  utilita' implicita nell'approvazione del
 progetto dell'opera da eseguire; mancata emanazione del provvedimento
 di espropriazione; realizzazione dell'opera pubblica con  conseguente
 irreversibile trasformazione ed incorporazione del fondo).
   Quanto  poi  alla non manifesta infondatezza essa risulta, a parere
 di questo tribunale, dai rilievi che seguono:
   1. - Preliminarmente va osservato che, secondo  l'assunto  espresso
 dallo  stesso  giudice delle leggi con la sentenza 2 novembre 1996 n.
 369, la disciplina della misura del risarcimento del danno  derivante
 da  accessione invertita si pone quale risultante di un bilanciamento
 di interessi sostanzialmente diverso da quello caratterizzante invece
 la determinazione dell'entita'  dell'indennizzo  da  liquidare  nelle
 faffispecie   in   cui   la   procedura   ablatoria   si  sia  svolta
 legittimamente.
   Piu' precisamente, mentre nel primo caso la misura del risarcimento
 dovrebbe realizzare il punto di equilibrio "tra l'interesse  pubblico
 al  mantenimento  dell'opera  pubblica  gia' realizzata e la reazione
 dell'ordinamento a tutela della legalita' violata per  effetto  della
 manipolazione-distruzione  illecita  del  bene  privato", nel secondo
 alla base della quantificazione dell'indennizzo sarebbe l'equilibrato
 componimento "tra interesse pubblico alla realizzazione dell'opera  e
 interesse del privato alla conservazione del bene".
   Di   qui   l'illegittimita'   della   parificazione   del   quantum
 risarcitorio  alla  misura  dell'indennizzo   sancita   dalla   Corte
 costituzionale  con  la sentenza 2 novembre 1996 n. 369, sia sotto il
 profilo della ragionevolezza intrinseca ex art. 3 della  Costituzione
 (risultando nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico gia'
 essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilita' del bene e dalla
 conservazione  dell'opera  pubblica),  sia sotto quello dell'art. 42,
 comma  secondo,  della  Costituzione  evidentemente  vulnerato  dalla
 perdita  di garanzia che al diritto di proprieta' deriverebbe laddove
 tale equiparazione fosse accolta.
   Tanto premesso, deve  tuttavia  rilevarsi  come  il  meccanismo  di
 determinazione  del risarcimento del danno introdotto dal comma 7-bis
 dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, aggiunto dall'art.
 37, comma 65, della legge 23 dicembre 1996 n. 662,  a  seguito  della
 declaratoria   di   illegittimita'  costituzionale  della  precedente
 disciplina,  appaia  sostanzialmente elusivo dei principi posti dalla
 Corte alla base  della  sua  pronuncia  e  si'  esponga  quindi  alle
 medesime censure gia' formulate in precedenza.
   In  particolare,  il  persistente riferimento ai criteri (semisomma
 tra il valore venale ed il reddito  dominicale  rivalutato)  previsti
 dal  comma 1 dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359 per la
 quantificazione dell'indennita' di espropriazione,  pur  se  corretto
 con  l'esclusione  della  detrazione  del 40% prevista in relazione a
 questa e con l'aumento del 10% rispetto alla  somma  cosi'  ottenuta,
 non  vale  evidentemente  ne' ad esprimere coerentemente la "radicale
 diversita' strutturale e funzionale"  dell'obbligazione  risarcitoria
 rispetto  a  quella indennitaria, ne' a realizzare quella riparazione
 adeguata  che,  anche  a  prescindere  dall'attuazione  della  regola
 generale  della  integralita' del risarcimento del danno da illecito,
 deve comunque essere assicurata in tali ipotesi dal legislatore.
   In questo senso va inoltre sottolineato come  l'unico  elemento  di
 novita'   effettivamente   introdotto   dalla   norma  in  esame  sia
 rappresentato  dall'aumento  del  10%  sancito  per  le  ipotesi   di
 risarcimento   conseguente   ad  occupazione  appropriativa  rispetto
 all'ammontare ordinario dell'indennizzo, dovendosi  infatti  dubitare
 che   l'ulteriore   detrazione   del   40%   avrebbe   potuto  essere
 effettivamente applicata a  fattispecie  che  come  quelle  in  esame
 appaiono  sostanzialmente incompatibili con l'istituto della cessione
 volontaria.
   La stessa  affermazione  fatta  dalla  Corte  costituzionale  nella
 citata  pronuncia  n.  369/1996  secondo  cui  anche nelle ipotesi di
 occupazione privativa sarebbe  possibile  al  proprietario  del  bene
 accettare in via transattiva l'offerta del valore mediato del suolo e
 quindi,  in mancanza ditale accettazione, applicare al danneggiato la
 detrazione   del   40%,   appare,   infatti,   chiaramente    fondata
 sull'estensione  a  tale  caso degli effetti dell'intervento additivo
 operato sul testo dell'art.  5-bis della legge 8 agosto 1992, n.  359
 dalla pronuncia della Consulta del 10 giugno 1993 n. 283 in relazione
 all'indennita'  di  esproprio  e conseguentemente deve ritenersi vada
 intesa come limitata alle sole occupazioni  privative  perfezionatesi
 anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 359/1992.
   Eccezion  fatta  per  tali  casi di diritto transitorio, l'istituto
 della  cessione  volontaria  deve  invece   considerarsi   non   solo
 astrattamente  incompatibile  sotto  il  profilo  funzionale con ogni
 ipotesi di occupazione acquisitiva, risultando la sua  applicabilita'
 indissolubilmente   connessa   con  lo  svolgimento  di  un  regolare
 procedimento espropriativo, ma neppure concretamente utilizzabile  in
 tali  casi,  in  quanto essendo gia' intervenuto un titolo traslativo
 della proprieta' del bene (l'occupazione appropriativa da parte della
 p.a. appunto) l'operativita' della fattispecie  negoziale  rimarrebbe
 comunque preclusa.
   Da  cio'  la  conseguenza  che  l'unico  elemento differenziale tra
 ammontare dell'indennizzo e  quantum  risarcitorio  introdotto  dalla
 norma    denunciata   rispetto   alla   previgente   disciplina   sia
 effettivamente costituito dal menzionato aumento del 10% che, sebbene
 pari ad una somma di poco superiore al 5% del valore venale del  bene
 (stante   la   particolare  esiguita'  della  componente  di  calcolo
 rappresentata dal reddito dominicale rivalutato ), negli intenti  del
 legislatore   dovrebbe   esprimere   sia   la   "radicale  diversita'
 strutturale  e  funzionale"  ritenuta dalla pronuncia n. 369/1996 tra
 l'obbligazione  risarcitoria  e  quella  indennitaria,  sia   attuare
 quell'intervento  normativo  "ragionevolmente  riduttivo della misura
 della   riparazione"   dovuta   in   questi   casi   dalla   pubblica
 amministrazione.
   L'ammontare   palesemente  irrisorio  della  somma  rende  tuttavia
 evidente la sua inadeguatezza allo scopo e la portata sostanzialmente
 elusiva dei  principi  affermati  dalla  Corte  costituzionale  nella
 sentenza   n.   369/1996   caratterizzante  il  nuovo  meccanismo  di
 determinazione   del   risarcimento   del   danno   da    occupazione
 appropriativa, nei cui confronti non possono quindi non riproporsi le
 medesime censure relative alla violazione degli artt. 3, comma primo,
 42,  comma  secondo,  e  97,  comma  primo,  della  Costituzione gia'
 positivamente apprezzate dal giudice delle leggi  in  relazione  alla
 previgente disciplina legislativa in materia.
   Peraltro, deve osservarsi che la norma denunciata non sembra idonea
 a realizzare la ragionevole riduzione dell'ammontare del risarcimento
 ritenuta ammissibile dalla Corte nella citata sentenza n. 369/1996 in
 relazione  alle  ipotesi  di  c.d.  accessione  invertita non solo in
 ragione dell'ammontare previsto,  ma  per  gli  stessi  parametri  di
 riferimento  e  commisurazione  assunti a tale fine dal legislatore e
 che, coincidendo con quelli utilizzati per  la  determinazione  della
 misura  dell'indennizzo espropriativo, non appaiono tali da esprimere
 la  diversa  struttura  e  funzione  caratterizzante   l'obbligazione
 risarcitoria.
   La  semplice  maggiorazione  percentuale  disposta su di un importo
 derivante dall'applicazione al caso  concreto  del  criterio  mediato
 (semisomma  tra il valore venale ed il reddito dominicale rivalutato)
 previsto dal comma 1, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992,  n.
 359 per la determinazione dell'indennita' di espropriazione, non puo'
 infatti  essere  in  grado  di  riportare  nell'ambito  della  logica
 risarcitoria un meccanismo di calcolo rispondente ad esigenze diverse
 ed in cui la  discrezionalita'  legislativa  trova  ampio  ambito  di
 esplicazione, potendo tenere conto delle stesse ragioni della finanza
 pubblica.
   D'altronde,   se   la   ragionevolezza   dell'intervento  normativo
 limitativo  della  misura  del  risarcimento  dipende  effettivamente
 dall'equilibrato   componimento   di   un   complesso   di  interessi
 sostanzialmente diversi  da  quelli  caratterizzanti  le  fattispecie
 espropriative   (quello   dell'amministrazione   alla   conservazione
 dell'opera   di   pubblica   utilita'   assieme    al    contenimento
 dell'incremento di spesa correlativa e quello del privato ad ottenere
 la  riparazione  del danno subito), la ragionevole attuazione di tale
 bilanciamento  postula  necessariamente  un  autonomo  meccanismo  di
 determinazione e limitazione della somma da risarcire che, fondato su
 specifici  criteri,  sia appunto idoneo ad assicurare il contenimento
 del sacrificio dell'interesse privato  alla  totale  riparazione  del
 danno  nei  limiti della stretta strumentalita' alla realizzazione di
 quello pubblico.
   Cio' emerge con ancora maggiore evidenza se si consideri gli  esiti
 controintuitivi   derivanti   dall'utilizzazione  del  meccanismo  di
 determinazione  dell'indennizzo   dovuto   nei   casi   di   regolare
 espropriazione   in  relazione  ad  ipotesi  in  cui  la  misura  del
 risarcimento imposto  alla  p.a.,  seppure  compressa,  sembra  dover
 rispondere  oltre  che  a  una funzione riparatoria anche a quella di
 sanzione per la violazione del  principio  di  legalita'  dell'azione
 amministrativa.
   2.  -  Sotto altro profilo deve invece rilevarsi l'irragionevolezza
 dei  risultati  che  l'art.  7-bis  determina  riferendosi  in   modo
 onnicomprensivo  alle  "occupazioni illegittime di suoli per cause di
 pubblica utilita'".
   Con tale previsione vengono infatti ad essere  accomunate  ai  soli
 fini   della   determinazione  della  misura  del  risarcimento  aree
 (edificabili, agricole, non edificabili) aventi vocazione  diversa  e
 rispetto  alle quali il criterio dell'art. 5-bis non opera egualmente
 nell'ambito del procedimento di commisurazione  della  indennita'  di
 esproprio   (essendo   infatti  la  sua  operativita'  esplicitamente
 limitata alle aree edificabili).
   Alla pluralita' di criteri indennitari viene cosi' a far  riscontro
 l'unitarieta'  del parametro assunto ai fini della determinazione del
 risarcimento dovuto in caso di occupazione acquisitiva  delle  stesse
 aree  e,  peraltro, del tutto coincidente (salvo la maggiorazione del
 10% e la  non  operativita'  della  riduzione  del  40%)  con  quello
 preordinato  alla  commisurazione dell'indennizzo espropriativo per i
 suoli edificabili.
   Il che, pure ammettendo che  in  relazione  alle  aree  edificabili
 possa  rispondere  ad  una  logica conforme ai principi enucleati dal
 giudice delle leggi nella  sua  pronuncia  n.  369/1996  (conclusione
 peraltro  da  rigettarsi  alla luce di quanto in precedenza esposto),
 determinerebbe comunque un'irragionevole  disparita'  di  trattamento
 tra  le  ipotesi di espropriazione legittima dei suoli agricoli o non
 edificabili, rispetto a  cui  l'indennizzo  verrebbe  commisurato  ai
 sensi  del  comma 4 dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359
 sulla base del valore agricolo medio e  quindi  secondo  un  criterio
 prossimo  a  quello  venale  ed  i casi di occupazione illecita degli
 stessi in cui, in conseguenza dell'applicazione della  norma  di  cui
 all'art.  7-bis,  l'ammontare  del  risarcimento  dovuto  dalla  p.a.
 verrebbe ad essere quantificato ad un livello inferiore.
   Tali le considerazioni che inducono  il  Collegio  a  ritenere  non
 manifestamente  infondata  la questione di costituzionalita' relativa
 al comma 7-bis dell'art. 5-bis della legge 8  agosto  1992,  n.  359,
 aggiunto  dall'art.  3,  comma  65,  della legge 23 dicembre 1996, n.
 662, sotto il profilo della violazione degli artt.  3,  comma  primo,
 42,   comma   secondo,  e  97  comma  primo,  della  Costituzione  e,
 conseguentemente, a sollevarla d'ufficio.