IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza:
                       Svolgimento del processo
   Con sentenza del 16 dicembre 1993 il pretore di  Ancona  dichiarava
 il  diritto  dei  ricorrenti  alla  cristallizzazione  delle pensioni
 rispettivamente percepite a carico dell'INPS nell'importo corrisposto
 alla data del 30 settembre 1983 fino  al  riassorbimento  conseguente
 alla rivalutazione automatica della pensione base e condannava l'INPS
 al  pagamento  in  favore  dei ricorrenti delle differenze fra quanto
 dovuto e quanto percepito, con interessi legali dalla maturazione dei
 singoli crediti e rivalutazione secondo gli indici ISTAT per la parte
 eccedente l'importo degli interessi legali; condannava inoltre l'INPS
 alla rifusione di un terzo delle spese legali.
   Avverso la sentenza ha proposto appello l'lNPS; si sono  costituiti
 in giudizio gli assicurati.
                        Motivi della decisione
   Deduce  l'Ente  appellante  che  l'istituto della cristallizzazione
 dell'importo della pensione alla data di cessazione del diritto  alla
 integrazione  al  minimo  - previsto dall'art. 6, settimo comma della
 legge n. 638/1983 - e' riferito alla sola ipotesi di  cessazione  del
 diritto  alla  integrazione  al  minimo per superamento dei limiti di
 reddito, e non anche alla diversa ipotesi di cessazione  del  diritto
 alla integrazione al minimo in applicazione del principio di unicita'
 della  integrazione  stessa enunciato dal comma terzo dell'art. 6; la
 seconda pensione integrata al minimo deve essere invece  corrisposta,
 secondo l'appellante, a calcolo, a decorrere dal 1 ottobre 1983.
   Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte
 di  cassazione,  ai  sensi  dell'art. 6 del decreto-legge n. 463/1983
 convertito in legge n. 683/1983 e dell'art. 11, comma  22,  legge  n.
 537/1993  - quest'ultimo nel testo risultante da Corte costituzionale
 n. 240/1994 - il titolare di due o piu' pensioni, tutte  integrate  o
 integrabili  al minimo alla data del 30 settembre 1983, a cui competa
 il diritto alla integrazione al minimo della pensione individuata  ai
 sensi  del  terzo comma dell'art. 6 del decreto-legge n. 463/1993, ha
 diritto  al  mantenimento  delle  ulteriori   pensioni   nell'importo
 cristallizzato  al  30  settembre  1983,  fino  ad assorbimento negli
 aumenti della pensione base derivanti dalla perequazione  automatica,
 purche'  non  superi i limiti di reddito indicati nel primo comma del
 medesimo art. 6.
   Inoltre, a norma dell'art. 442 c.p.c., nel testo  risultante  dalla
 sentenza  della  Corte  costituzionale n. 156/1991 - applicabile fino
 alla entrata in vigore dell'art. 16, comma 6 della legge n.  412/1991
 -  sulle  somme  di denaro per crediti previdenziali - fra cui devono
 essere ricomprese  le  integrazioni  al  minimo  -  sono  dovuti  gli
 interessi   nella  misura  legale  e  l'eventuale  maggior  danno  da
 svalutazione monetaria.
   La  recente  legge  del  23  dicembre  1996,  n.  662  ("Misure  di
 razionalizzazione  della finanza pubblica"), all'art. 1, commi da 181
 a 183, ha stabilito che:
     1) il rimborso delle somme, maturate fino al  31  dicembre  1995,
 sui   trattamenti  pensionistici  erogati  dagli  enti  previdenziali
 interessati, in conseguenza dell'applicazione  delle  sentenze  della
 Corte  costituzionale nn. 495/1993 e 240/1994, e' effettuato mediante
 assegnazione agli aventi diritto di titoli di Stato:
     2) che il rimborso avverra' in sei annualita', sulla  base  degli
 elenchi  riepilogativi  che  gli  enti  provvederanno  annualmente ad
 inviare al Ministero del tesoro;
     3) che il diritto al pagamento degli  arretrati  spetta  ai  soli
 soggetti  interessati  ed  ai  loro  superstiti  aventi  titolo  alla
 pensione di reversibilita' alla data del 30 marzo 1996;
     4) che nella determinazione dell'importo maturato al 31  dicembre
 1995 non concorrono interessi e rivalutazione;
     5)  che  la  verifica  del requisito reddituale e' effettuata non
 solo in relazione ai redditi del 1983, ma anche  con  riferimento  ai
 redditi degli anni successivi;
     6)  che  i  giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della
 legge, aventi ad oggetto le questioni di  cui  ai  commi  181  e  182
 dell'art.    1,  sono  dichiarati estinti d'ufficio con compensazione
 delle spese tra le parti e  i  provvedimenti  giudiziari  non  ancora
 passati in giudicato restano privi di effetto.
   Il  presente procedimento riguarda appunto il pagamento delle somme
 disciplinato dai commi 181  e  182  della  sopra  citata  norma;  gli
 appellati   sono   i   "soggetti  interessati";  di  conseguenza,  in
 applicazione  della  normativa  sopra  illustrata   il   procedimento
 dovrebbe essere dichiarato estinto, con compensazione di spese.
   La  normativa  in  questione  presenta  elementi di contrasto con i
 principi costituzionali.
   1.  -  Sussiste  contrasto  con  l'art.  136,  primo  comma   della
 Costituzione.
   Secondo  il  combinato  disposto dell'art. 136 predetto e dell'art.
 30, terzo comma, della legge n. 87/1953, la efficacia  propria  delle
 sentenze  di  accoglimento  della  Corte  costituzionale  preclude al
 legislatore di ripristinare la disciplina dichiarata illegittima  per
 il  periodo  gia' trascorso; la normativa dichiarata incostituzionale
 puo' essere adottata dal legislatore solo per i rapporti successivi -
 e salvo ovviamente un nuovo sindacato di costituzionalita'.
   Nel caso in questione viene ripristinata  dal  legislatore  per  il
 passato la disciplina dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537/1993
 nella  parte  dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 240/1994,
 con conseguente violazione del giudicato costituzionale.
   Inoltre - rispetto ai "soggetti interessati" - la citata sent.   n.
 240/1994   ha  ritenuto  costituzionalmente  legittima  la  normativa
 secondo cui il diritto alla integrazione e'  subordinato  al  mancato
 superamento  dei  limiti  di reddito alla data del 30 settembre 1983,
 mentre la nuova normativa ha stabilito, anche per il passato, che  il
 controllo del requisito reddituale vada effettuato per tutti gli anni
 rispetto ai quali e' richiesta la integrazione; anche in questo senso
 si individua dunque un contrasto con il giudicato costituzionale.
   2.  -  Le  nuove  norme in esame escludono che sulle somme maturate
 fino  al  31  dicembre  1995  siano  computati  interessi  legali   e
 rivalutazione  monetaria  - che sarebbero altrimenti spettati a detti
 soggetti   in   forza   del    ricordato    assetto    normativo    e
 giurisprudenziale;   dispongono  poi  la  estinzione  ope  legis  del
 giudizio in corso; pongono in atto  dunque  un  depauperamento  della
 situazione   patrimoniale   degli   interessati,   con   una   totale
 vanificazione  della  tutela  giurisdizionale  e  la  violazione  del
 diritto ad agire, stabilito dall'art. 24 della Costituzione.
   3.  -  La  statuizione  relativa alla "compensazione delle spese di
 giudizio" costituisce una ulteriore violazione dell'art. 24 Cost., in
 quanto sottrae alla giurisdizione la decisione su un punto, sia  pure
 accessorio ma comunque di valenza economica, della controversia.
   4.  -  La  norma in esame introduce una deroga al diritto comune in
 materia di obbligazioni, ed in particolare agli  artt.  1181  e  1197
 cod. civ. ed infatti da un lato - prevedendo la estinzione del debito
 in sei annualita' - impedisce al creditore di esigere tempestivamente
 l'intero  credito;  dall'altro  -  prevedendo  che  il  rimborso  sia
 effettuato  mediante  titoli  del  debito  pubblico   aventi   libera
 circolazione  -  consente  la  estinzione della obbligazione mediante
 dotio in solutum a prescindere dal consenso del creditore.
   Tale  disciplina  derogatoria  -  che  risulta  compressiva   della
 situazione  patrimoniale  dei  creditori,  sottoposti  anche all'alea
 delle oscillazioni dei titoli  -  ha  come  destinatari  soltanto  le
 categorie  di  pensionati  a  cui si riferisce la norma, senza alcuna
 razionale giustificazione; ne derivano seri dubbi  di  contrasto  con
 l'art.   3   della  Costituzione,  poiche'  il  sacrificio  economico
 richiesto dalle esigenze del bilancio pubblico non e' in  alcun  modo
 equamente  ripartito  fra tutte le categorie di cittadini, ma e' anzi
 fatto gravare proprio sulle fasce piu' deboli -  quelle  che  infatti
 hanno diritto alla integrazione al minimo - dei pensionati.
   5.  -  L'art.  3  della  Costituzione  risulta  violato anche dalla
 disposizione  che  esclude   la   corresponsione   di   interessi   e
 rivalutazione sugli importi maturati al 31 dicembre 1995.
   La  esclusione di interessi e rivalutazione - dovuti, come sopra si
 e' esposto, su tutte le  prestazioni  previdenziali  -  soltanto  per
 alcune  categorie  di  crediti,  ed in particolare proprio per quelli
 vantati dai pensionati delle fasce sociali piu' deboli coloro la  cui
 pensione  ha  bisogno  di essere integrata per raggiungere un importo
 ritenuto il minimo  necessario  a  soddisfare  in  modo  adeguato  le
 esigenze  di vita - costituisce un trattamento differenziato rispetto
 a  quello  riservato  a  tutti  gli  altri  soggetti,  senza  che  la
 differenza sia fondata su una razionale giustificazione.
   6. - La norma in esame, nella parte che stabilisce la esclusione di
 rivalutazione  ed interessi sui crediti per la integrazione al minimo
 - integrazione che e'  una  componente  non  ancora  liquidata  della
 ordinaria pensione - maturati al 31 dicembre 1995, si pone inoltre in
 contrasto con l'art. 38 della Cost.
   La  Corte  costituzionale  ha  affermato (sentenza n. 156/1991) che
 l'art. 36, primo comma, della Costituzione - di cui l'art. 429 c.p.c.
 e' espressione - e' applicabile, come  parametro  delle  esigenze  di
 vita  del  lavoratore,  anche alle prestazioni previdenziali, tramite
 l'art. 38, secondo comma, della Costituzione; che dunque  la  mancata
 previsione per i crediti previdenziali di una regola analoga a quella
 vigente  per  i  crediti  di  lavoro  costituisce  violazione appunto
 dell'art.   38  della  Costituzione,  oltre  che  dell'art.  3  della
 Costituzione.
   Per tutte le ragioni esposte, ritenuta la rilevanza delle questioni
 di  legittimita' costituzionale dei commi 181, 182 e 183 dell'art.  1
 della legge n. 662/1996 sotto i profili sopra esposti, deve  disporsi
 la trasmissione degli atti all Corte costituzionale con i conseguenti
 adempimenti a carico della Cancelleria.