LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 1392/96 depositato il 16 settembre 1996, avverso diniego condono - Irpeg + Ilor 91, contro Imposte dirette di Domodossola; avverso diniego condono - Irpeg + Ilor 90, contro imposte dirette di Domodossola; avverso diniego condono - Irpeg + Ilor 89, contro Imposte dirette di Domodossola; avverso diniego condono - Irpeg + Ilor 88, contro Imposte dirette di Domodossola; dalla Rolandi s.r.l., residente a Domodossola (Verbania), in via Girola 20, rappresentata da Rolandi Anselmo, residente a Domodossola (Verbania), in via Girola 15, in qualita' di procuratore, e Rolandi Rinaldo, residente a Domodossola (Verbania), in via Girola 15, in qualita' di procuratore, difeso dallo studio Canuto commercialisti associati, residente a Domodossola (Verbania), in corso Fer Bia, 23. Riunificato con i ricorsi 1393/96 proposto dalla Rolandi s.r.l.; 1394/96 proposto da Rolandi Anselmo e Casagrande Rosanna; 1395/96 proposto da Rolandi Rinaldo e Taddei Fernanda. F a t t o L'Ufficio imposte dirette di Domodossola con gli avvisi nn. 5702000104, 5702100106, 5702100107 e 5/1995 del 18 agosto 1995, notificati il 21 agosto 1995, rettificava le dichiarazioni dei redditi presentate dalla "Rolandi f.lli s.n.c." e dalla "Rolandi S.r.l.", accertando maggiori redditi per gli anni 1988, 1989, 1990 e 1991 da assoggettare all'imposta Ilor e per l'anno 1991 all'Irpeg ed all'Ilor. La "F.lli Rolandi di Rolandi Anselmo, Rinaldo C. s.n.c." ed i relativi soci, nonche' la societa' "Rolandi S.r.l.", presentavano alla Commissione tributaria di primo grado di Verbania ricorso contro detti accertamenti. A seguito dell'introduzione delle disposizioni dettate in materia di accertamento con adesione dall'art. 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 convertito, con modificazioni, in legge 30 novembre 1994, n. 656, come modificato dal d.-l. 9 agosto 1995, n. 345 convertito, con modifiche, dalla legge 18 ottobre 1995, n. 427, la societa' "Rolandi S.r.l.", anche per la societa' trasformata "F.lli Rolandi di Rolandi Anselmo, Rinaldo C. s.n.c.", ha presentato in data 15 dicembre 1995 le proposte di accertamento con relativa adesione per gli anni 1988, 1989, 1990 e 1991, effettuando il 13 dicembre 1995 il versamento della prima rata delle imposte dovute per L. 10.000.000 per la "Rolandi s.n.c." e per L. 10.000.000 per la "Rolandi S.r.l.", ed eseguendo in data 1 aprile 1996 il versamento della seconda rata rispettivamente di L. 3.308.000 e di L. 6.696.000. Con provvedimento del 3 giugno 1996 notificato il 4 giugno 1996, l'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Domodossola ha "dichiarato nulle le proposte di accertamento con adesione" per gli anni 1988, 1989, 1990 e 1991 perche' "in contrasto con la legge n. 656/1994 per la presenza delle cause ostative previste dalla norma di legge sopra indicata, che risultano insanabili". Avverso detto provvedimento le ricorrenti hanno proposto ricorso a questa Commissione chiedendone l'annullamento in quanto non previsto da alcuna norma legislativa e regolamentare, sostenendo che le proposte di accertamento non sono revocabili o soggette a impugnazione ne' integrabili o modificabili da parte dell'Ufficio (art. 8 del d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177 concernente il "Regolamento recante norme per l'esecuzione dell'art. 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 convertito nella legge 30 novembre 1994, n. 656 relativamente all'attivazione dell'accertamento con adesione del contribuente per gli anni pregressi al 30 settembre 1994"). Secondo le ricorrenti, con l'art. 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 (convertito dalla legge 30 novembre 1994, n. 656) la definizione delle imposte sul reddito e dell'imposta sul valore aggiunto, limitatamente alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994, potevano essere effettuate mediante accettazione degli importi proposti dagli uffici. Il comma 1 di tale articolo, nell'originaria formulazione, prevedeva nell'ultimo periodo che "La definizione non puo' essere effettuata se e' stato notificato avviso di accertamento". Il d.-l. 9 agosto 1995. n. 345, convertito dalla legge 18 ottobre 1995, n. 427, con l'art. 1, comma 1, lettera b), ha sostituito l'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 3 del d.-l. n. 564/1954 con il seguente: "La definizione non puo' essere effettuata se. entro il 20 maggio 1995, e' stato notificato processo verbale di constatazione con esito positivo ai fini delle imposte sul reddito o dell'imposta sul valore aggiunto o notificato avviso di accertamento...". Secondo le ricorrenti le cause ostative all'adesione, sarebbero rimaste esclusivamente quelle dipendenti da omessa presentazione della dichiarazione ovvero da dichiarazione nulla o non sottoscritta (art. 1, comma 3 del d.P.R. n. 177/1995) ovvero ancora da previa notifica di processo verbale o di avviso di accertamento, se effettuati entro il 20 maggio 1995, atteso che ne' l'art. 3 del decreto-legge n. 564/1994 ne' il regolamento di attuazione (d.P.R. n. 177/1995) rinvierebbe alle cause ostative previste dall'art. 2-bis del decreto-legge n. 564/1995. Nelle proprie controdeduzioni l'ufficio osserva che il provvedimento di rigetto, oggetto del contendere, e' stato adottato ai sensi dell'art. 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994, convertito dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, cosi' come modificato dal d.-l. 9 agosto 1995, n. 345, convertito dalla legge 18 ottobre 1995, n. 427, a motivo della presenza di una "causa ostativa" costituita dall'ipotesi di reato di cui all'art. 4, comma 1, lettera d), del decreto-legge n. 429/1982 convertito dalla legge n. 516/1982. Dal processo verbale di constatazione del 18 luglio 1995 della Guardia di finanza di Domodossola. emergerebbe infatti, secondo l'ufficio, l'avvenuto utilizzo da parte delle societa' ricorrenti di fatture per operazioni inesistenti, registrate allo scopo di procurarsi indebite detrazioni di Iva e di spese deducibili dal reddito complessivo netto degli anni in considerazione. Le suddette fatture sarebbero state emesse da tale Pizzi Giuseppe, a cui il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Verbania in data 3 gennaio 1994 avrebbe contestato l'emissione di false fatture, relativamente ai fatti penalmente rilevanti enunciati nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere del 30 dicembre 1993. Nel merito dei rilievi formulati dalla ricorrente l'ufficio osserva come l'art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 564/1994 richiami le disposizioni dell'art. 2-bis dello stesso decreto-legge, le quali, nella parte non integrata dal regolamento, hanno, ad avviso dell'ufficio, efficacia anche per le annualita' pregresse al 1994, posto che una norma regolamentare, di rango inferiore, non puo' derogare a una disposizione di legge. L'amministrazione invoca infine la circolare 19 ottobre 1995, n. 272/E che per l'accertamento con adesione del contribuente per anni pregressi al 1994, include, alla pag. 3 lettera a), tra le "cause di esclusione" previste dalla legge, i "reati penali" oltre alle altre "cause ostative" indicate nel ricorso. L'ufficio chiede pertanto il rigetto del ricorso. I ricorsi n. 1392, 1393, 1394 e 1395 sono stati riuniti in quanto proposti dalla stessa societa' contro il medesimo ufficio, perciocche' concernenti l'impugnazione di un provvedimento che riguarda piu' anni di imposta ma si riferisce ad una comune volonta' dell'Amministrazione di anullare proposte di accertamento con adesione in forza della medesima ragione ostativa, ed in quanto presentano identiche problematiche da risolvere. All'udienza del 21 marzo 1997 sono comparse e sono state sentite le parti che si sono richiamate agli atti difensivi, di cui hanno illustrato i contenuti. Indi la Commissione si e' riservata di decidere. D i r i t t o Il primo motivo di annullamento contenuto nei ricorsi concerne l'applicabilita' delle condizioni ostative di cui all'art. 2-bis, rubricato "Accertamento con adesione del contribuente ai fini delle imposte sul reddito e dell'Iva", e segnatamente quella prevista dal capoverso, all'accertamento con adesione per anni pregressi disciplinato dal successivo art. 3 del medesimo decreto-legge n. 564 del 1994. Sostengono i ricorrenti che la causa ostativa contenuta nell'art. 2-bis, comma 2, non sia applicabile al c.d. concordato di massa relativo alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994, in quanto non espressamente richiamata dall'art. 3 del decreto-legge n. 564/1994 e non disciplinata dal regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. n. 177/1995. Detto motivo e' infondato. L'art. 3 del decreto-legge n. 564/1994 rinvia sic et simpliciter all'art. 2-bis senza nulla innovare, aggiungere o togliere, rispetto ai presupposti ed alle condizioni di ammissibilita' del nuovo modello di definizione del rapporto tributario: nulla autorizza a ritenere che l'art. 3 abbia inteso sopprimere, per gli anni antecedenti, conservandola solo per gli anni a venire, una condizione di ammissibilita' la cui ratio appare dettata da esigenze di carattere generale (necessita' di non premiare con la proposta di adesione coloro che si siano resi responsabili o meglio, come si dira' piu' avanti, i contribuenti sospetti di incriminazione per taluni reati tributari considerati piu gravi) e che pertanto non puo' considerarsi riferita a taluni anni piuttosto che ad altri. Peraltro una lettura in tal senso delle due norme in esame urterebbe irragionevolmente contro il principio di eguaglianza, escludendo taluni dal beneficio del meccanismo di adesione e privilegiando altri in virtu' di un mero criterio cronologico. La circostanza che nel regolamento non sia ripetuta espressamente la condizione ostativa di cui al cpv. dell'art. 2-bis e' priva di significato, in quanto detta condizione, nell'intenzione del legislatore, quale si desume dalla ratio stessa della condizione, deve ritenersi implicitamente presupposta talche' una sua ripetizione sarebbe risultata pleonastica. Invero il d.P.R. n. 177/1995, al pari di quello emanato ai sensi dell'art. 2-bis, comma 6, per disciplinare il concordato c.d. "a regime" e' un regolamento di mera applicazione pratica che stabilisce l'iter e le scadenze del procedimento attraverso il quale si perviene alla definizione dell'accertamento, rimanendo purtuttavia sempre nell'ambito delle "norme generali della materia" stabilite dalla legge (nella fattispecie decreto-legge n. 564/1994) che ha autorizzato l'esercizio della potesta' regolamentare del governo, cosi' come prescritto dalla legge 23 agosto 1988, n. 400. La disposizione di cui allart. 2-bis, comma 2, del decreto-legge n. 564/1994 va pertanto intesa come norma generale regolatrice della materia, insuscettibile di modifiche da parte del regolamento di applicazione. Alla stregua delle superiori considerazioni i ricorsi riuniti andrebbero respinti avendo l'ufficio fatto corretta applicazione delle norme vigenti. Nondimeno questa commissione ritiene che il combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 sia in contrasto con gli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione e che pertanto il giudizio non possa essere definito se non previa risoluzione della relativa questione di legittimita' costituzionale. La questione appare di evidente rilevanza atteso che investe l'applicabilita' delle norme sospette di incostituzionalita' al rapporto tributario controverso. Sull'applicazione di siffatte norme riposa la validita' delle proposte di accertamento formulate dall'ufficio alle quali i ricorrenti hanno aderito, e dalla validita' delle proposte discende la definizione del rapporto tributario conseguente alla avvenuta rettifica delle dichiarazioni reddituali presentate dai ricorrenti. Ne' pare superfluo rilevare che l'oggetto del contenzioso e dell'impugnativa dei ricorrenti e' specificamente il provvedimento col quale l'ufficio imposte di Domodossola ha annullato le proposte di accertamento con adesione in presenza della causa ostativa prevista dalle norme in esame di tal che la sopravvenuta illegittimita' delle disposizioni in odore di incostituzionalita' determinerebbe l'accoglimento delle ragioni enunciate in ricorso dalla S.r.l. Rolandi e dagli altri ricorrenti, espungendo dall'ordinamento, nei sensi e nei limiti di cui appresso, la c.d. "causa ostativa" che, allo stato, impedisce all'ufficio di validamente (ri)formulare ai ricorrenti le proposte di accertamento per gli anni considerati. La questione appare non manifestamente infondata in virtu' delle seguenti considerazioni: va anzitutto premesso che nel sistema delineato dagli artt. 2-bis, 2-ter e 3 del decreto-legge n. 564/1994, convertito in legge n. 656/1994, d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177 recante disposizioni per l'esecuzione del primo, l'istituto dell'accertamento per adesione rappresenta un diritto per il contribuente, e non un mero atto discrezionale dell'ufficio impositore. L'art. 6 del d.P.R. n. 177/1995, al quinto e ultimo comma, stabilisce che qualora la proposta non sia pervenuta al contribuente, questi possa chiedere all'ufficio di formulare la proposta. La richiesta ha effetto vincolante atteso che "in tal caso l'ufficio provvede (senza potervi ricusare) alla formulazione della proposta stessa, sempreche' non ricorrano condizioni ostative (tassativamente elencate dalla legge). In siffatto sistema, caratterizzato da un perfetto bilanciamento dei poteri dell'ufficio e dei corrispondenti diritti del contribuente, si inserisce un elemento spurio fonte di squilibrio a favore dell'amministrazione finanziaria che preclude in guisa irrevocabile al contribuente l'accesso alla proposta di accertamento formulata o formulanda dall'ufficio: tale elemento e' costituito non da un fatto oggettivo bensi' da un mero apprezzamento soggettivo e piu' precisamente una valutazione giuridica che lo stesso ufficio impositore effettua circa la sussumibilita' di elementi, dati e notizie in suo possesso, ad un'ipotesi di reato rientrante fra le fattispecie criminali contemplate dagli artt. da 1 a 4 del decreto-legge n. 429/1982. In particolare la norma denunciata configura ed elenca quali condizioni ostative della proposta di accertamento con adesione del contribuente una serie di circostanze che di per se' stesse non costituiscono prova dell'esistenza di una responsabilita' penale ma rappresentano semplicemente l'aspetto e la fase prodromica del procedimento penale: in particolare va sottolineato come la prima di tali circostanze sia rappresentata dal fatto che l'ufficio finanziario sia in possesso di elementi, dati e notizie sulla base dei quali esso ritenga configurabile l'obbligo di denunzia penale. Non v'e' chi non veda come la definizione del rapporto tributario venga a dipendere in tal caso dalla valutazione estremamente soggettiva, e non rientrante nella sua specifica competenza, dell'ufficio tributario circa la sussistenza degli estremi di un reato, laddove invece l'a.g. raggiunta dalla notizia di reato, potrebbe ritenere non ravvisabili estremi di reato, anche sotto il mero profilo dell'elemento soggettivo. La norma di cui all'art. 2-bis, cpv. del decreto-legge n. 564/1994 appare dunque in contrasto con la presunzione di innocenza stabilita dall'art. 27, cpv. della Costituzione quantomeno nella parte in cui preclude ineluttabilmente al contribuente di accedere, aderendovi, alla proposta di accertamento che all'ufficio e' peraltro inibito di formulare in presenza delle cennate condizioni ostative, anche nell'ipotesi in cui la notizia di reato risultasse successivamente infondata, ne' prevede un meccanismo in virtu' del quale sia consentito all'ufficio di riformulare la proposta di accertamento una volta caduta l'accusa nei confronti del contribuente. Il contrasto con il principio della presunzione di innocenza si risolve in una deteriore ed ingiustificata disparita' di trattamento, e quindi in una violazione della norma di cui all'art. 3 Cost., fra coloro che beneficiano della proposta di accertamento formulata dall'ufficio impositore e quegli altri contribuenti che, pur potendone astrattamente beneficiare, si vedono preclusa definitivamente, in quanto inammissibile, anziche' solo improcedibile, la definizione del rapporto tributario nelle forme del "concordato" a causa di una valutazione operata dall'ufficio stesso, che abbia ravvisato l'obbligo di rapporto penale, ovvero a causa della presentazione di un rapporto da parte della Guardia di finanza, o a causa dell'avvio di un procedimento penale non seguito da condanna penale irrevocabile. Occorre esaminare peraltro se la condizione ostativa in esame, che pone una deroga ad un beneficio di carattere universale, applicabile incondizionatamente ad una generalita' indiscriminata di contribuenti, sia giustificabile alla stregua del sistema in cui essa si inquadra, tenuto altresi' conto di eventuali precedenti normativi. E' noto che il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione e che esige eguale disciplina normativa in situazioni eguali, puo' e deve tollerare deroghe legittime soltanto se queste trovino giustificazione, e quindi ragionevolezza, in altri principi ed interessi costituzionalmente garantiti. Nel caso di specie l'esigenza, che appare sottesa alla norma sospetta, di escludere dalla proposta di accertamento, assimilabile ad un condono tributario, coloro che siano in predicato di essere sottoposti a procedimento penale per gravi reati di natura finanziaria, confligge con altra esigenza, costituzionalmente tutelata dalla norma di cui all'art. 27, secondo comma, Cost., di impedire che l'imputato riceva danno, anche solo alla propria immagine, dalla pendenza, e durante tutto il corso del procedimento penale, sino a che la sua colpevolezza non risulti affermata da una sentenza irrevocabile di condanna. Alla luce di tale principio non e' chi non veda come l'esclusione, irrevocabile, dal c.d. concordato di massa, che per definizione dovrebbe essere aperto ed allargato all'intera massa dei contribuenti, di chi sia anche solo sospettato, anche soltanto in forza di dati ed elementi, peraltro non meglio definiti, in possesso dell'ufficio finanziario, di un reato tributario, non puo' non contrastare con quell'esigenza, avvertita dal legislatore costituente, di sancire il principio della presunzione di innocenza dell'imputato. La condizione ostativa in commento rappresenta un innovativo "giro di vite" nel variegato panorama dei provvedimenti di clemenza tributaria succedutisi negli anni successivi alla riforma tributaria del 1972/1973. Gli articoli da 14 a 35 del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429 non prevedevano alcuna condizione ostativa alla definizione del rapporto tributario che nella previsione legislativa avveniva mediante presentazione di una dichiarazione integrativa. Neppure era previsto nel decreto-legge in oggetto che la definizione avesse incidenza ed effetti sulla pendenza dei procedimenti penali in corso ma al testo in esame venne affiancato un coevo decreto presidenziale (d.P.R. 9 agosto 1982, n. 525) che espressamente prevedeva la concessione di amnistia per i reati tributari commessi fino al 30 giugno 1982, subordinatamente alla condizione dell'avvenuta presentazione della dichiarazione integrativa prevista dal decreto-legge n. 429/1982. L'art. 2 del d.P.R. n. 525/1982 disponeva la sospensione dei procedimenti e la sospensione dell'esecuzione penale delle sentenze di condanna fino alla scadenza dei termini per presentare le dichiarazioni integrative. Il meccanismo cosi' prefigurato dai due testi normativi lasciava chiaramente trasparire l'intendimento del legislatore di individuare nell'avvenuta definizione del rapporto tributario a mezzo della domanda integrativa con la quale il contribuente riconduceva i propri redditi dichiarati nell'alveo della congruita' fiscale presunta, una causa di estinzione anche del fatto-reato tributario, inteso come estrema sanzione conseguente l'evasione fiscale in senso lato e che, una volta raggiunta la definizione del rapporto attraverso i meccanismi di legge, non aveva piu' alcuna ragione di essere prseguito dalla norma penale. La situazione inizia ad evolversi (ovvero, a seconda delle diverse prospettive di politica fiscale-criminale alle quali si voglia aderire, ad involversi verso forme piu' restrittive con la norma di cui all'art. 68 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 il quale, pur prevedendo un sistema procedurale analogo a quello dianzi esaminato, delego' il Capo dello Stato a stabilire che l'amnistia non si applicasse al condannati per i delitti di cui agli artt. 416-bis, 648-bis, 648-ter del codice penale, e via dicendo, che tuttavia non hanno natura di reati tributari: la norma che si commenta, anche se dettata da ragioni di carattere extra-tributario, faceva pur salvo il principio della presunzione di innocenza dell'imputato in quanto escludeva dal provvedimento di clemenza i "condannati" con sentenza definitiva, come si argomenta dal tenore del capoverso dell'art. 68. Non pare dunque manifestamente infondata, e se ne rimette la conseguente decisione alla Corte costituzionale, a' sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, la questione di illegittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 per contrasto con gli artt. 3 e 27, secondo comma, della Costituzione, laddove stabilisce che la definizione non e' ammessa quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza dell'ufficio e' configurabile l'obbligo di denuncia all'a.g. per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 del decreto-legge n. 429/1982 e quando per i medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla G. di F. o risulta avviata l'azione penale, senza prevedere che l'ufficio debba riformulare la proposta di accertamento qualora, su segnalazione dell'a.g. penale ovvero anche del contribuente, risulti archiviato o altrimenti definito con sentenza di proscioglimento o di assoluzione il corrispondente procedimento penale. Con la pronuncia che si vuol provocare non si intende tuttavia richiedere alla Corte una sentenza additiva in quanto la pronuncia stessa si presenta, nella fattispecie, come l'unica costituzionalmente obbligata, e non solo come una delle possibili, al fine di salvaguardare il principio della presunzione di innocenza dell'imputato.