LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 933/96 depositato il 12 dicembre 1995, avverso rigetto condono - Ilor 1993, contro Imposte dirette di Domodossola; avverso rigetto condono - Ilor 1992, contro imposte dirette di Domodossola; dalla C.E.V.O. S.a.s. - Costruzioni Edilizie Valdossola di Bionda Alessandro, residente a Bannio Anzino (Verbania), in via Monte Rosa, 50/A, rappresentato da Bionda Alessandro, residente a Bannio Anzino (Verbania), in via Monte Rosa, in qualita' di procuratore. F a t t o La S.a.s. C.E.V.O. di Bionda Alessandro C. (gia' S.a.s. C.E.V.O. di Bionda Massimo C.) corrente in via Monte Rosa, 50/A a Bannio Anzino, impugna il provvedimento in data 25 novembre 1995, notificato il 5 dicembre 1995 con il quale l'Ufficio imposte dirette di Domodossola ha negato alla ricorrente l'accesso all'accertamento con adesione ai sensi dell'art. 2-bis, comma 2, del decreto-legge n. 564/1994 per gli anni d'imposta 1992 e 1993 in presenza di fatti penalmente rilevanti. Chiede che questa Commissione dichiari ammissibile l'accertamento per adesione nei confronti della ricorrente per gli anni 1992 e 1993 dichiarando incostituzionale la norma di cui all'art. 2-bis, comma 2, del decreto-legge n. 564/1994 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione. L'ufficio nelle proprie controdeduzioni. ammette di aver escluso mediante comunicazione al "sistema informativo" dell'anagrafe tributaria, la societa' ricorrente dall'invio da parte del Ministero "proposte" contenenti i maggiori imponibili da concordare, originariamente a causa di verifiche fiscali in corso. In data 8 novembre 1995 la Guardia di finanza segnalava all'ufficio l'inoltro di comunicazione di notizia di reato, ai sensi dell'art. 4, primo comma, lettere d) ed f) della legge n. 516/1982, nei confronti dei sigg. Bionda Giulio e Bionda Massimo, soci accomandatari della societa' ricorrente. La Guardia di finanza precisava che nel rapporto penale non erano stati indicati i periodi d'imposta, stante il decreto penale di sequestro del 7 febbraio 1994 del sostituto procuratore della Repubblica di Verbania, presso le banche di documenti bancari per il periodo dal 1 gennaio 1989 al 7 febbraio 1994. La Guardia di finanza precisava che la verifica in corso era stata sospesa e che alla sua ripresa sarebbero stati esaminati i conti bancari relativi al 1992, con riserva di estendere il controllo alle altre annualita' in caso di riscontro di violazioni. L'ufficio, venuto a conoscenza del citato rapporto penale, relativo agli ipotizzati reati costituenti causa ostativa per il concordato di massa dopo le modificazioni della legge n. 427/1995, in data 25 novembre 1995 comunicava alla ricorrente societa' la mancata ammissione al concordato di massa per le annualita' 1992-1993, al sensi dell'art. 2-bis, secondo comma, della legge n. 656/1994, delle proposte di concordato presentate dal rappresentante legale della societa'. Nel merito delle doglianze esposte nel ricorso l'ufficio osserva che, alla pari di altri contribuenti con analoghe proposte in contestazione, la societa' avrebbe dovuto effettuare i versamenti e presentare le proprie proposte. Sostiene altresi' l'ufficio che se la societa' avesse presentato le proposte prima che l'ufficio venisse a conoscenza della notizia di reato, il concordato sarebbe stato valido e avrebbe precluso l'azione di accertamento. Secondo tale tesi, ove la societa' avesse versato i maggiori tributi dal 9 novembre 1995 al 15 dicembre 1995 e presentato le proposte entro i quindici giorni successivi al pagamento, la validita' del concordato avrebbe potuto essere stabilita in sede contenziosa dalla competente commissione tributaria, atteso che in base alle disposizioni contenute negli artt. 6 e 7 del d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177, Regolamento di esecuzione del concordato, la definizione in questione si perfeziona sia con la proposizione delle relative proposte, entro quindici giorni dall'ultimo versamento, sia con il pagamento dei tributi e sanzioni dovute entro il termine del 15 dicembre 1995. Chiede, pertanto, il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio o in via subordinata la compensazione delle stesse. All'udienza del 14 marzo 1997 questa commissione si e' riservata di decidere. D i r i t t o Il principale ed assorbente motivo di annullamento contenuto nel ricorso concerne la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994 n. 564 per asserita violazione del principio protetto dall'art. 3 della Costituzione. Questa commissione ritiene che la sollevata questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994 n. 564 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, da integrarsi ex officio con la questione concernente la violazione dell'art. 27, secondo comma della Costituzione, nei sensi di cui appresso, non sia manifestamente infondata e che pertanto il giudizio non possa essere definito se non previa risoluzione della questione stessa. La questione appare di evidente rilevanza atteso che investe l'applicabilita' delle norme sospette di incostituzionalita' al rapporto tributario controverso. Sull'applicazione di siffatte norme riposa la validita' delle proposte di accertamento formulate all'ufficio dalla ricorrente, e dalla validita' delle proposte discende la definizione del rapporto tributario conseguente alla avvenuta rettifica delle dichiarazioni reddituali presentate dalla ricorrente medesima. Ne' pare superfluo rilevare che l'oggetto del contenzioso e dell'impugnativa e' specificamente il provvedimento col quale l'Ufficio imposte di Domodossola ha ritenuto inammissibili le proposte di accertamento con adesione in presenza della causa ostativa prevista dalle norme in esame, di tal che la sopravvenuta illegittimita' delle disposizioni in odore di incostituzionalita' determinerebbe l'accoglimento delle ragioni enunciate in ricorso dalla Cevo S.a.s., espungendo dall'ordinamento, nei sensi e nei limiti di cui appresso, la c.d. "causa ostativa" che, allo stato, impedisce all'ufficio di validamente formulare alla ricorrente le proposte di accertamento, ovvero di accettare la richiesta di formulazione avanzata dalla Societa' Cevo, per gli anni considerati. La questione appare non manifestamente infondata in virtu' delle seguenti considerazioni: va anzitutto premesso che nel sistema delineato dagli artt. 2-bis, 2-ter e 3 decreto-legge n. 564/1994, convertito in legge n. 656/1994. d.P.R. 13 aprile 1995 n. 177 recante disposizioni per l'esecuzione del primo, l'istituto dell'accertamento per adesione rappresenta un diritto per il contribuente, e non un mero atto discrezionale dell'ufficio impositore. L'art. 6 del d.P.R. n. 177/1995, al quinto e ultimo comma, stabilisce infatti che qualora la proposta non sia pervenuta al contribuente questi possa chiedere all'uffico di formulare la proposta. La richiesta ha effetto vincolante atteso che in tal caso l'ufficio provvede (senza potervi ricusare) alla formulazione della proposta stessa, sempreche' non ricorrano condizioni ostative (tassativamente elencate dalla legge). In siffatto sistema, caratterizzato da un perfetto bilanciamento dei poteri dell'ufficio e dei corrispondenti diritti del contribuente, si inserisce un elemento spurio fonte di squilibrio a favore dell'Amministrazione finanziaria che preclude in guisa irrevocabile al contribuente l'accesso alla proposta di accertamento formulata o formulanda dall'ufficio: tale elemento e' costituito non da un fatto oggettivo bensi' da un mero apprezzamento soggettivo e piu' precisamente una valutazione giuridica che lo stesso ufficio impositore effettua circa la sussumibilita' di elementi, dati e notizie in suo possesso, ad un'ipotesi di reato rientrante fra le fattispecie criminali contemplate dagli articoli da 1 a 4 del decreto-legge 429/1982. In particolare la norma denunciata configura ed elenca quali condizioni ostative della proposta di accertamento con adesione del contribuente una serie di circostanze che di per se' stesse non costituiscono prova dell'esistenza di una responsabilita' penale ma rappresentano semplicemente l'aspetto e la fase prodromica del procedimento penale: in particolare va sottolineato come la prima di tali circostanze sia rappresentata dal fatto che l'ufficio finanziario sia in possesso di elementi, dati e notizie sulla base dei quali esso ritenga configurabile l'obbligo di denunzia penale. Non v'e' chi non veda come la definizione del rapporto tributario venga a dipendere in tal caso dalla valutazione estremamente soggettiva, e non rientrante nella sua specifica competenza, dell'ufficio tributario circa la sussistenza degli estremi di un reato, laddove invece l'a.g. raggiunta dalla notizia di reato, potrebbe ritenere non ravvisabili estremi di reato, anche sotto il mero profilo dell'elemento soggettivo. La norma di cui all'art. 2-bis, cpv. decreto-legge 564/1994 appare dunque in contrasto con la presunzione di innocenza stabilita dall'art. 27. cpv. della Costituzione quantomeno nella parte in cui preclude ineluttabilmente al contribuente di accedere, aderendovi, alla proposta di accertamento che all'ufficio e' peraltro inibito di formulare in presenza delle cennate condizioni ostative, anche nell'ipotesi in cui la notizia di reato risultasse successivamente infondata, ne' prevede un meccanismo in virtu' del quale sia consentito all'ufficio di riformulare la proposta di accertamento una volta caduta l'accusa nei confronti del contribuente. Il contrasto con il principio della presunzione di innocenza si risolve in una deteriore ed ingiustificata disparita' di trattamento, e quindi in una violazione della norma di cui all'art. 3 della Costituzione, fra coloro che beneficiano della proposta di accertamento formulata dall'ufficio impositore e quegli altri contribuenti che, pur potendone astrattamente beneficare, si vedono preclusa definitivamente, in quanto inammissibile, anziche' solo improcedibile, la definizione del rapporto tributario nelle forme del "concordato" a causa di una valutazione operata dall'ufficio stesso, che abbia ravvisato l'obbligo di rapporto penale, ovvero a causa della presentazione di un rapporto da parte della Guardia di finanza, o a causa dell'avvio di un procedimento penale non seguito da condanna penale irrevocabile. Occorre esaminare peraltro se la condizione ostativa in esame, che pone una deroga ad un beneficio di carattere universale, applicabile incondizionatamente ad una generalita' indiscriminata di contribuenti, sia giustificabile alla stregua del sistema in cui essa si inquadra, tenuto altresi' conto di eventuali precedenti normativi. E' noto che il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, e che esige eguale disciplina normativa in situazioni eguali, puo' e deve tollerare deroghe legittime soltanto se queste trovino giustificazione, e quindi ragionevolezza, in altri principi ed interessi costituzionalmente garantiti. Nel caso di specie l'esigenza, che appare sottesa alla norma sospetta, di escludere dalla proposta di accertamento, assimilabile ad un condono tributario, coloro che siano in predicato di essere sottoposti a procedimento penale per gravi reati di natura finanziaria, confligge con altra esigenza, costituzionalmente tutelata dalla norma di cui all'art. 27, secondo comma, della Costituzione, di impedire che l'imputato riceva danno, anche solo alla propria immagine dalla pendenza, e durante tutto il corso, del procedimento penale, sino a che la sua colpevolezza non risulti affermata da una sentenza irrevocabile di condanna. Alla luce di tale principio non e' chi non veda come l'esclusione, irrevocabile, dal c.d. concordato di massa, che per definizione dovrebbe essere aperto ed allargato all'intera massa dei contribuenti, di chi sia anche solo sospettato, anche soltanto in forza di dati ed elementi, peraltro non meglio definiti, in possesso dell'ufficio finanziario, di un reato tributario, non puo' non contrastare con quell'esigenza, avvertita dal legislatore costituente, di sancire il principio della presunzione di innocenza dell'imputato. La condizione ostativa in commento rappresenta un innovativo ma incomprensibile "giro di vite" nel variegato panorama dei provvedimenti di clemenza tributaria succedutisi neli anni successivi alla riforma tributaria del 1972/1973. Gli articoli da 14 a 35 del decreto-legge 10 luglio 1982 n. 429 non prevedevano alcuna condizione ostativa alla definizione del rapporto tributario che nella previsione legislativa avveniva mediante presentazione di una dichiarazione integrativa. Neppure era previsto nel decreto-legge in oggetto che la definizione avesse incidenza ed effetti sulla pendenza dei procedimenti penali in corso ma al testo in esame venne affiancato un coevo decreto presidenziale (d.P.R. 9 agosto 1982 n. 525) che espressamente prevedeva la concessione di amnistia per i reati tributari commessi fino al 30 giugno 1982, subordinatamente alla condizione dell'avvenuta presentazione della dichiarazione integrativa prevista dal decreto-legge 429/1982. L'art. 2.del d.P.R. n. 525/1982 disponeva la sospensione dei procedimenti e la sospensione dell'esecuzione penale delle sentenze di condanna fino alla scadenza dei termini per presentare le dichiarazioni integrative. Il meccanismo cosi' prefigurato dai due testi normativi lasciava chiaramente trasparire l'intendimento del legislatore di individuare nell'avvenuta definizione del rapporto tributario a mezzo della domanda integrativa con la quale il contribuente riconduceva i propri redditi dichiarati nell'alveo della congruita' fiscale presunta, una causa di estinzione anche del fatto-reato tributario, inteso come estrema sanzione conseguente l'evasione fiscale in senso lato e che, una volta raggiunta la definizione del rapporto attraverso i meccanismi di legge, non aveva piu' alcuna ragione di essere perseguito dalla norma penale. La situazione inizia ad evolversi (ovvero, a seconda delle diverse prospettive di politica fiscale-criminale alle quali si voglia aderire, ad involversi verso forme piu' restrittive con la norma di cui all'art. 68 della legge 30 dicembre 1991 n. 413 il quale, pur prevedendo un sistema procedurale analogo a quello dianzi esaminato, delego' il Capo dello Stato a stabilire che l'amnistia non si applicasse al condannati per i delitti di cui agli artt. 416-bis, 648-bis, 648-ter codice penale, e via dicendo, che tuttavia non hanno natura di reati tributari: la norma che si commenta, pur se dettata da ragioni di natura extra-tributaria, faceva pur salvo il principio della presunzione a innocenza dell'imputato in quanto escludeva dal provvedimento di clemenza i "condannati" con sentenza definitiva, come si argomenta dal tenore del capoverso dell'art. 68. L'eccezione alla regola dell'applicazione generalizzata del concordato alla massa dei contribuenti, stabilita dall'art. 2-bis del decreto-legge n. 564/1994, non e' pertanto in sintonia con le linee e con la ratio del sistema, imperniato sulla incentivazione del contribuente, nessuno escluso, alla definizione delle pendenze tributarie e su di un meccanismo che comporta necessariamente, proprio in virtu' di tale incentivo, oltre alla definizione del rapporto tributario, conseguentemente anche l'estinzione dei reati collegati alla violazione delle norme sostanziali di carattere tributario miranti a reprimere l'illecito finanziario. In siffatto contesto l'esclusione di taluni contribuenti dalla definizione concordata del rapporto con l'amministrazione finanziaria, aggravata dal mancato rispetto del principio, costituzionalmente tutelato, della presunzione di innocenza, non risulta coerente con la ratio del sistema e sembra piuttosto il frutto di scelte irrazionali ed emotive, ispirate ad un giustizialismo fine a se stesso. Non pare dunque manifestamente infondata, e se ne rimette la conseguente decisione alla Corte costituzionale, a' sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 2-bis, comma 2, del d.-l. 30 settembre 1994 n. 564 per ravvisato possibile contrasto con gli artt. 3 e 27, secondo comma della Costituzione, laddove stabilisce che la definizione non e' ammessa quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza dell'ufficio e' configurabile l'obbligo di denuncia all'a.g. per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 del decreto-legge n. 429/1982 e quando per i medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o risulta avviata l'azione penale, senza prevedere che l'ufficio debba riformulare la proposta di accertamento qualora, su segnalazione dell'a.g. penale ovvero anche del contribuente, risulti archiviato o altrimenti definito con sentenza di proscioglimento o di assoluzione il procedimento penale avviato a seguito del rapporto dell'ufficio o della Guardia di finanza o comunque incardinato sulla base di una notitia criminis comunque acquisita dalla competente procura della Repubblica. Con la pronuncia che si vuol provocare non si intende tuttavia richiedere alla Corte una sentenza additiva in quanto la pronuncia stessa si presenta, nella fattispecie, come l'unica costituzionalmente obbligata, e non solo come una delle possibili, al fine di salvaguardare il principio della presunzione di innocenza dell'imputato.