IL GIUDICE ISTRUTTORE
   Esaminati gli atti, sciogliendo la riserva, osserva quanto segue.
   1. - Premessa.
   Con ricorso ex art. 669-bis e segg. c.p.c. depositato il 15 gennaio
 1997  Giuseppe  Geuna, Maria Vergnano, Claudio Piovano e Rosita Geuna
 adivano il tribunale di Torino  chiedendo  nei  confronti  di  Sergio
 Bulgarello,  titolare del bar-sala biliardi Lucky Jo, sito in Chieri,
 l'emanazione  di  un  provvedimento  cautelare ex art. 700 del c.p.c.
 diretto ad inibire lo svolgimento di attivita' rumorose e moleste.
   In data 16 gennaio 1997 con decreto ex art. 669-ter del c.p.c.   il
 presidente   del   tribunale   designava   per   la  trattazione  del
 procedimento il sottoscritto, dott. Scotti della 1 sezione civile.
   Dopo la rituale costituzione del contraddittorio  e  l'espletamento
 della  necessaria  attivita'  istruttoria, con ordinanza 12-13 maggio
 1997 il giudice  designato  accoglieva  il  ricorso  e  disponeva  la
 richiesta misura cautelare, che veniva successivamente confermata dal
 Collegio in sede di reclamo ex art. 669-terdecies del c.p.c. proposto
 dal Bulgarello.
   Con  atto di citazione notificato il 12 giugno 1997 Giuseppe Geuna,
 Maria Vergnano, Claudio  Piovano  e  Rosita  Geuna  evocavano  Sergio
 Bulgarello  dinanzi al Tribunale di Torino instaurando il giudizio di
 merito ex art. 669-octies del c.p.c.  nel  rispetto  del  termine  di
 trenta  giorni  assegnato  con  l'ordinanza  cautelare  chiedendo  la
 conferma dell'inibitoria in difetto di adozione  dei  rimedi  atti  a
 contenere la propagazione del rumore dal locale gestito dal convenuto
 e la condanna del Bulgarello al risarcimento dei danni.
   La causa veniva iscritta a ruolo il 6 giugno 1997 ed assegnata alla
 1  sezione  civile  (con  decreto  del presidente del tribunale del 6
 giugno 1997) e al dott. Scotti (con decreto del 10  giugno  1997  del
 presidente di sezione).
   Alla prima udienza di comparizione del 1 ottobre 1997 si costituiva
 in  giudizio  Sergio  Bulgarello  prospettando  in via preliminare la
 questione di costituzionalita' dell'art. 51,  secondo  comma,  c.p.c.
 in  relazione  all'art.  24  della  Costituzione  e  dubitando  della
 costituzionalita' della norma che consente allo stesso magistrato che
 ha conosciuto della vicenda in sede cautelare ante causam di  fungere
 da  giudice  istruttore  nel  giudizio  di merito instaurato ai sensi
 dell'art. 669-octies del c.p.c.
   Parte attrice  si  opponeva,  ritenendo  infondata  l'eccezione  di
 incostituzionalita' sollevata da controparte.
   2. - L'ambito della valutazione.
   L'art.  23  della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, affida
 al giudice dinanzi a cui venga sollevata  questione  di  legittimita'
 costituzionale  il  compito  di  delibarne  rilevanza e non manifesta
 infondatezza con ordinanza adeguatamente motivata (ex art.  24  della
 stessa  legge)  e  cio'  al  fine  di  esercitare  un  valido  filtro
 preventivo rispetto al controllo accentrato di  costituzionalita'  ed
 evitare che al giudice delle leggi venga rimesso l'esame di questioni
 inutili o evidentemente destituite di fondamento.
   Occorre quindi in questa sede valutare:
     a)  se  "il  giudizio  non possa esser definito indipendentemente
 dalla questione di legittimita' costituzionale";
     b) se la questione sollevata non sia "manifestanente infondata".
   3. - La rilevanza.
   La questione proposta  e'  sicuramente  rilevante,  attenendo  alla
 individuazione  della  figura  stessa del magistrato investito con il
 rituale decreto presidenziale del compito di trattare e  decidere  la
 controversia.
   Ne'  varrebbe  in  senso  contrario  argomentare  sulla  base della
 mancata  presentazione   da   parte   del   convenuto   nel   termine
 anticipatorio  previsto  dalla  legge  del ricorso per ricusazione ai
 sensi dell'art.  52  del  c.p.c.,  fondato  sulla  prospettazione  di
 incostituzionalita'  dell'art.    51,  n.  4  del  c.p.c.  Infatti, a
 prescindere dalla impossibilita' di presentare un ricorso  basato  su
 di  una  norma in quel momento insussistente, sicche' non pare che la
 parte convenuta possa in  tal  prospettiva  considerarsi  incorsa  in
 decadenza,   va  considerato  -  e  il  rilievo  appare  decisivo  ed
 assorbente  -  che  la  configurabilita'  di  una  causa  legale   di
 astensione  determina  non solo la facolta' per la parte di procedere
 nei tempi rituali alla  proposizione  di  ricusazione,  ma  ingenera,
 anche  e  soprattutto,  in  capo  al  giudice  il  diritto-dovere  di
 astenersi, a tutela  dell'imparzialita'  della  giurisdizione,  prima
 ancora  che  degli  obblighi  di lealta' e correttezza professionale.
 Tale diritto-dovere non e' soggetto ad alcun termine preclusivo.   E'
 quindi  evidente che l'accoglimento della questione proposta da parte
 del convenuto metterebbe il  sottoscritto  giudice  istruttore  nella
 condizione  di  doversi  astenere  dal  giudizio,  essendo  del tutto
 pacifici i presupposti in fatto considerati dalla norma giuridica.
    4. - La non manifesta infondatezza.
   La legge costituzionale consente al giudice a quo - come e'  logico
 in un sistema che esclude il controllo di costituzionalita' "diffuso"
 - solo una delibazione del fumus boni iuris della questione proposta.
 Inoltre,  tale delibazione, che implica in buona sostanza un giudizio
 prognostico  sulla  fondatezza  della  questione  proposta,  non   si
 atteggia  in  termini  positivi, ma negativi: l'obbligo del giudice a
 quo di rimettere gli atti alla Corte costituzionale non opera solo se
 egli reputa la questione probabilmente accoglibile, ma scatta gia' in
 presenza di una soglia inferiore di fumus, e cioe' se egli non e'  in
 grado  di  qualificare  la  questione  sollevata come evidentemente e
 chiaramente infondata. Tale certamente non e' l'eccezione di  specie.
 La  questione  proposta  dalla difesa del convenuto appare certamente
 opinabile ma non puo' ritenersi affatto pretestuosa, specie alla luce
 dei recenti orientamenti manifestati dalla  Corte  costituzionale  in
 tema di imparzialita' del giudice e "giusto processo".
   Analoghi  dubbi  risultano del resto gia' sottoposti alla decisione
 del giudice delle leggi dal trib. Terni (ordinanza 4  marzo  1997  in
 Gazzetta  Ufficiale, serie speciale, 7 maggio 1997, n. 19, proprio in
 riferimento alla questione oggetto del presente  provvedimento),  dal
 pretore  di  Torino  (ord. 3 aprile 1997 in Gazzetta Ufficiale, serie
 speciale, 2 luglio  1997,  n.  27,  in  riferimento  al  giudizio  di
 opposione  avverso il provvedimento inibitorio repressivo di condotta
 antisindacale) e dal T.A.R. Puglia, sezione di Lecce (ord. 6 novembre
 1996 in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 2 luglio 1997, n. 27,  in
 riferimento  alla  partecipazione  al  giudizio  di  merito  in  sede
 amministrativa dei giudici che abbiano conosciuto della  controversia
 in  sede  di  sospensione  cautelare del provvedimento amministrativo
 impugnato).
   5. - La  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale.    La  Corte
 costituzionale con alcune importanti pronunce del 1996 e' intervenuta
 infatti  in  modo  innovativo  sul  tema della disciplina legislativa
 dell'incompatibilita'  del  giudice  determinata  da  atti   compiuti
 nell'ambito  del  procedimento,  con riferimento alla norma dell'art.
 34, secondo comma, del c.p.p.
   In particolare, la Corte:
     ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale della norma nella
 parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio
 del giudice che:
      a) come componente del tribunale del riesame si sia  pronunciato
 sull'ordinanza   che  dispone  una  misura  cautelare  personale  nei
 confronti dell'indagato o dell'imputato, ovvero
      b)  come   componente   del   tribunale   dell'appello   avverso
 l'ordinanza  che  provvede in ordine a una misura cautelare personale
 nei confronti dell'indagato o dell'imputato  si  sia  pronunciato  su
 aspetti  non  esclusivamente  formali dell'ordinanza anzidetta (Corte
 cost. 24 aprile 1996, n.  131);
     ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della  norma  nella
 parte in cui non prevede:
      a)  che  non possa partecipare al giudizio abbreviato e disporre
 l'applicazione della pena su richiesta delle parti il  giudice  delle
 indagini   preliminari   che  abbia  disposto  una  misura  cautelare
 personale, o abbia disposto la modifica, sostituzione o revoca di una
 misura cautelare personale;
      b) che non  possa  partecipare  al  giudizio  dibattimentale  il
 giudice  per  le indagini preliminari che abbia disposto la modifica,
 sostituzione o revoca di una misura cautelare personale;
      c) che non possa disporre l'applicazione della pena su richiesta
 delle  parti  il  giudice  che,   come   componente   del   tribunale
 dell'appello  avverso l'ordinanza che provvede a una misura cautelare
 personale  nei  confronti  dell'imputato  o  dell'imputato,  si   sia
 pronunciato  su  aspetti  non  esclusivamente  formali dell'ordinanza
 anzidetta  (Corte cost. 20 maggio 1996, n. 153);
     ha respinto l'eccezione di incostituzionalita' della stessa norma
 nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al  giudizio
 il  giudice  che  nel  dibattimento abbia emanato un provvedimento di
 custodia cautelare nei confronti dell'imputato per un  reato  oggetto
 di  contestazione  suppletiva e che non possa partecipare al giudizio
 direttissimo il pretore che abbia convalidato l'arresto ed  applicato
 una  misura  cautelare  nei  confronti dell'imputato (Corte cost.  31
 maggio 1996, n. 177).
   La sintesi della richiamata giurisprudenza della Corte consente  di
 cogliere i seguenti principi-guida:
     la   formula   del   "giusto   processo"   concentra  i  principi
 costituzionali tanto in  ordine  agli  essenziali  e  imprescindibili
 caratteri  della giurisdizione sotto i profili oggettivo e soggettivo
 quanto in ordine ai diritti di azione e difesa;
     il "giusto processo"  esige  l'imparzialita'  del  giudice  quale
 aspetto caratterizzante il connotato essenziale della terzieta';
     le  norme sulla incompatibilita' sono funzionali alla garanzia di
 tale aspetto, il che ne convalida la rilevanza costituzionale;
     le incompatibilita' dei giudici derivanti da ragioni interne allo
 svolgimento  del   processo   sono   finalizzate   ad   evitare   che
 condizionamenti,   o   apparenze  di  condizionamenti,  derivanti  da
 precedenti valutazioni pur operate per ragioni d'ufficio  nell'ambito
 dello  stesso  procedimento,  per effetto della naturale inclinazione
 umana a persistere nella propria opinione, possano pregiudicare  -  o
 anche solo far apparire pregiudicata - l'attivita' di  giudizio;
     il  presupposto  di  ogni  incompatibilita' endoprocessuale e' la
 preesistenza di valutazioni sulla medesima res iudicanda;
     non e' sufficiente la  mera  conoscenza  dei  fatti,  ma  occorre
 quantomeno una valutazione degli stessi;
     non tutte le valutazioni compromettono l'imparzialita' come sopra
 definita,  ma solo quelle non esclusivamente formali che attengono ad
 aspetti sostanziali;
     nell'ambito di ciascuna fase processuale  deve  venir  preservata
 l'esigenza  di continuita' e globalita', sicche' il giudice investito
 di una fase procedimentale non  incorre  in  alcuna  incompatibilita'
 tutte  le  volte  in  cui  compie  valutazioni  preliminari, anche di
 merito, destinate a sfociare in quella conclusiva,  perche'  in  caso
 contrario   si   determinerebbe   una  "assurda  frammentazione"  del
 procedimento inteso come ordinata sequenza di atti e con  l'aberrante
 conseguenza di dover disporre per la medesima fase  del  giudizio  di
 tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere.
   A   siffatta   nozione   di  "giusto  processo"  enucleabile  dalla
 giurisprudenza  costituzionale   si   deve   percio'   correlare   la
 valutazione  delibatoria dell'eccezione di costituzionalita' proposta
 nel presente giudizio da parte del   convenuto.   In primo  luogo  va
 considerato    come   pur   essendosi   formata   la   giurisprudenza
 costituzionale analizzata sulle norme del codice di procedura  penale
 (art.  34 c.p.p.) la Corte si sia pronunciata in termini estremamente
 ampi e generalizzati, riferiti al concetto stesso  di  giurisdizione,
 sicche'  nulla  consente  di opinare che i principii cosi' espressi e
 sopra riepilogati siano  destinati  a  valere  solo  nell'ambito  del
 giudizio  penale,  in quanto potenzialmente incisivo sul diritto alla
 liberta' personale dell'imputato.
   L'assoluta' generalita' delle  enunciazioni  di  principio  operate
 dalla  Corte  porta a ritenere che la trasposizione del principio del
 "giusto   processo"   cosi'   delineato    intorno    al    caposaldo
 dell'imparzialita'-terzieta'  del  giudice  nel  giudizio  civile non
 possa essere  seriamente  contestata,  come  del  resto  puntualmente
 segnalato dalla dottrina occupatasi del problema.
   In  ogni  caso,  appare  evidente  che  anche  nell'esercizio della
 giurisdizione  civile  vengono  a  dibattersi  questioni  di   vitale
 importanza  per  la tutela di diritti del cittadino, di rilievo anche
 costituzionale,  sicche'  nessuna   differenziazione   appar   lecito
 introdurre in punto esigenza di imparzialita' fra i diversi ambiti di
 esercizio  della  giurisdizione.    Il  compito  del giudice a quo e'
 quindi  quello  di  verificare  alla  luce  delle  indicazioni  della
 Consulta  se  lo  svolgimento  della  funzione di giudice istruttore,
 prima, e di giudice in  fase  decisoria  poi  (vuoi  in  qualita'  di
 giudice  unico  -  come  nella  presente  fattispecie  -,  vuoi  come
 componente il Collegio)   nel giudizio  di  merito  di  cui  all'art.
 669-octies  c.p.c.  possa  risultare  incompatibile con il precedente
 svolgimento della funzione di giudice designato  alla  trattazione  e
 decisione del procedimento cautelare ante causam.
   Il   codice  di  procedura  civile  vigente  non  contempla  alcuna
 preclusione in tal senso poiche' l'art. 51, n. 4 c.p.c. si  riferisce
 solo  all'ipotesi in cui il giudice "ne ha conosciuto come magistrato
 in altro grado (e non in anche solo in altra fase dello stesso grado)
 del processo", tant'e' che in dottrina si e'  ritenuta  configurabile
 la  causa  di  astensione/ricusazione  solo  in caso di provvedimento
 cautelare abnorme che contenga affermazioni di tipo decisorio  e  non
 meramente  prognostiche  in  ordine  alla causa di merito.   Inoltre,
 mentre l'art. 669-terdecies esclude  il  giudice  che  ha  emesso  il
 provvedimento  dalla  composizione  del  Collegio in sede di reclamo,
 l'art. 669-octies nulla prevede in ordine alla  incompatibilita'  fra
 giudice  del  procedimento cautelare e giudice istruttore della causa
 di  merito.    Anzi,  la  sostituzione  delle  competenze  funzionali
 speciali  del  pretore  ex  art. 702 c.p.c. ovvero del presidente del
 tribunale ex art. 672 cp.c. con    generalizzata  introduzione  della
 competenza  per la trattazione dei procedimenti cautelari ante causam
 del giudice competente  a  conoscere  del  merito  (ex  art.  669-ter
 c.p.c.)  e'  stata  letta  da  alcuni commentatori come una ulteriore
 conferma dell'intento  del  legislatore  di  far  coincidere,  almeno
 tendenzialmente,  non  solo  la figura dell'ufficio competente per la
 cautela con quello competente per il  merito,  ma  anche  la  persona
 fisica   del   magistrato   incaricato   della  trattazione  dei  due
 procedimenti.   In questa stessa  prospettiva  va  rimarcato  che  la
 riforma  del  processo  civile  con  apposite specifiche disposizioni
 (cfr. artt. 669-ter octies, novies c.p.c.) ha  accentuato  la  natura
 provvisoria  e  strumentale  dei  provvedimenti  cautelari  e il loro
 imprescindibile collegamento con il giudizio di merito i cui  effetti
 mirano  ad assicurare temporaneamente ed ha assicurato alle parti con
 l'introduzione generalizzata del rimedio impugnatorio del reclamo  la
 possibilita'   di  tutela  nei  riguardi  della  decisione  cautelare
 sfavorevole, dimodoche' l'effetto negativo della  c.d.  "prevenzione"
 del  giudice del merito, determinato dalla cognizione del rapporto in
 sede  cautelare,  sarebbe  in  qualche  misura  controbilanciato  dal
 controllo collegiale del provvedimento, che giustifica una certa qual
 aspettativa   di   stabilita'  nella  prognosi  insita  nella  misura
 cautelare uscita positivamente dal doppio vaglio a cui e' sottoposta.
   6.   -   I   singoli   elementi   a   suffragio   del   dubbio   di
 costituzionalita'.
   Orbene  e procedendo alla verifica dei singoli elementi considerati
 dalla Corte costituzionale:
     a) e' chiara la preesistenza di valutazioni  sulla  medesima  res
 iudicanda.  Il  giudice della cautela infatti considera la situazione
 prospettata dall'attore come oggetto della futura causa di  merito  e
 valuta  se  il  diritto  prospettato dal ricorrente sia probabilmente
 sussistente ed esposto ad un periculum in mora (da intempestivita'  o
 infruttuosita')  nei  tempi occorrenti alla pronuncia della decisione
 definitiva,  che  potrebbe  altrimenti  rivelarsi  inutiliter   data.
 L'oggetto  della  cognizione  e' lo stesso, tanto piu' che la riforma
 processuale attuata nel 1990-1993 (ai fini della  verifica  da  parte
 del   giudice   della   competenza  e  del  necessario  carattere  di
 strumentalita'  della  misura  richiesta)  impone  al  ricorrente  di
 indicare   il   contenuto   della   causa   di   merito   che  dovra'
 successivamente instaurare in caso di accoglimento del ricorso a pena
 di inefficacia del  provvedimento,  salvi  i  limitati  aggiustamenti
 consentiti dal codice di rito in tema di precisazioni e modificazioni
 della domanda giudiziale.
   Muta  solo  la  regola  di  giudizio che risulta improntata in sede
 cautelare  al  criterio  della  sommarieta',  diretta   com'e'   alla
 verificazione  in  termini  prognostici  della presumibile fondatezza
 della domanda, mentre per il giudizio di merito valgono gli  ordinari
 parametri    della    piena    cognizione    da   parte   dell'organo
 giurisdizionale;
     b)  e'  del tutto chiaro che il giudice designato ex art. 669-ter
 c.p.c. non si limita ad assumere mera conoscenza dei fatti ma procede
 ad una vera e propria valutazione degli stessi;
     c) sembra evidente che la valutazione  operata  dal  giudice  del
 procedimento cautelare ante causam attiene (o comunque puo' attenere,
 come si e' verificato nel caso concreto) ad aspetti sostanziali della
 situazione   giuridica   controversa   e   non   si   limita  ad  una
 considerazione meramente formale o processuale della fattispecie;
     d) l'esclusione della applicabilita' dei principi soprarichiamati
 protrebbe discendere solo dalla considerazione del giudizio cautelare
 e del giudizio di merito come talmente inestricabilmente connessi  in
 una  unica  fase processuale, da potersi invocare, per contrastare il
 dubbio di legittimita' quelle esigenze di organicita'  e  continuita'
 unitaria  nella  trattazione  del  procedimento miranti ad evitare la
 frammentazione all'infinito della fase processuale  richiamate  dalla
 Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  131  del  1996  e poste a
 presidio del rigetto delle eccezioni considerate  nella  sentenza  n.
 177 del 1996.
   Tale   operazione   logico-giuridica  non  sembra  tuttavia  essere
 consentita dall'ordinamento, che configura il procedimento  cautelare
 ante  causam  come  una  autonoma  fase processuale caratterizzata da
 proprie regole per l'individuazione della competenza,  l'introduzione
 del   giudizio,   la   gestione   e  l'istruzione  del  procedimento,
 l'emanazione della decisione.  L'art. 669-octies e il successivo art.
 669-novies  codificano  e  ribadiscono  con  chiarezza   inoltre   il
 principio   che   il   giudizio  di  merito  (rispetto  al  quale  il
 procedimento  cautelare  si  colloca  in   funzione   strumentale   e
 provvisoria,   assicurativa  o  anticipatrice)  inizia  solo  con  la
 notificazione dell'atto di citazione.   Se e' vero  poi,  come  sopra
 osservato,  che  nessuna  norma  esclude la coincidenza della persona
 fisica fra il giudice del procedimento cautelare  ante  causam  e  il
 giudice  istruttore  della  causa  di merito, e' altrettanto vero che
 nessuna norma la impone espressamente, sicche' non  sembra  possibile
 invocare    il    principio   dell'unitarieta'   procedimentale   per
 giustificare  la  progressiva  compromissione  dell'imparzialita'  in
 ragione  della  natura  interna alla fase procedurale della pronuncia
 interlocutoria cautelare.
   D'altra parte, la ratio legis della devoluzione  nell'ambito  della
 riforma  del  1990-1993  della  competenza  cautelare  ante causam al
 giudice competente per il merito e' stata vista  piu'  che  altro  in
 termini  di specifica professionalita' dei magistrati investiti della
 controversia  (valore  questo  che  sarebbe  comunque  preservato   a
 prescindere dalle persone fisiche investite della trattazione).
   Vanno poi considerate due ulteriori obiezioni alla tesi prospettata
 da parte convenuta.
   7. - L'obiezione legata all'art. 669-quater c.p.c.
   In  primo  luogo,  va considerato che l'art. 669-quater c.p.c., non
 immutando  in  modo  sostanziale  la  previgente  disciplina  di  cui
 all'art.     702  c.p.c.  in  tema  di  provvedimenti  d'urgenza,  ha
 attribuito al giudice istruttore della causa di merito gia'  pendente
 la  cognizione  e  la  decisione  delle istanze cautelari proposte in
 corso di causa, con cio' evidentemente non considerando negativamente
 compromessa dalla  pronuncia  cautelare  l'imparzialita'  dell'organo
 decisorio.
   Ed  anzi  per  l'ipotesi  in  cui la causa di merito sia gia' stata
 instaurata ma il giudice istruttore non sia ancora  stato  designato,
 l'art.  669-quater,  secondo  comma,  prevede  che  il presidente del
 tribunale provveda alla designazione del magistrato incaricato  della
 trattazione  del  procedimento  cautelare,  il  che  fa presumere una
 tendenziale coincidenza fra detta figura e  quella  incaricata  della
 gestione  ordinaria  della  causa  ex  art. 168-bis c.p.c. (avendo il
 legislatore  volutamente  trascurato  di  considerare  la   possibile
 soluzione  alternativa  della  competenza  ad  hoc del presidente del
 tribunale,  anteriormente  prevista  dall'art.    672,  terzo  comma,
 c.p.c.).  Tale elemento non sembra pero' sufficiente a determinare un
 giudizio    di    manifesta    infondatezza    della   questione   di
 costituzionalita'.  In primo luogo, stando alla giurisprudenza  della
 Corte,  costituzionale  (e  in particolare alla ratio decidendi della
 sentenza  n.  177  del  1996)  va  rimarcato  che   nell'ipotesi   di
 provvedimento   cautelare   in   corso   di   giudizio  la  causa  di
 incompatibilita'  per   pronunzia   endoprocessuale   non   preesiste
 all'investitura  della  controversia  di merito, sicche' troverebbero
 esplicazione quei principi di  continuita'  procedurale  che  rendono
 irrilevanti  le  pronunce  progressivamente  rese  nell'ambito  della
 stessa fase processuale.  E' certamente vero che, almeno da un  punto
 di  vista  sostanziale,  la soluzione che deriverebbe dall'automatica
 esportazione dei principi gia' enunciati dalla  Corte  costituzionale
 in  materia  di  procedimento  penale (cosi' come propugnata anche da
 parte  della  dottrina)  porterebbe  ad   una   conseguenza,   magari
 perfettamente   giustificabile  sul  piano  teorico,  ma  scarsamente
 convincente sotto il profilo logico-equitativo.
   Vale a dire: la decisione sulla domanda di  merito  potrebbe  o  no
 essere  assunta dallo stesso giudice che ha pronunciato sulla domanda
 cautelare a seconda  di  una  circostanza  del  tutto  estrinseca  ed
 accidentale,  e  cioe'  che la domanda cautelare sia proposta prima o
 dopo l'introduzione del giudizio di merito.
   E non e' chi non veda come la prevenzione,  intesa  quale  naturale
 tendenza   umana   a   mantenere  un  giudizio  gia'  espresso  o  un
 atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali, finisca  con
 l'operare  in  modo  perfettamente  analogo nelle due fattispecie: in
 altri termini, non e' sicuramente piu' prevenuto il  giudice  che  ha
 concesso  la  misura  cautelare  ante  causam  rispetto a quello che,
 magari immediatamente dopo la designazione quale giudice istruttore e
 prima di ogni concreta  trattazione  della  vertenza  (o  addirittura
 contestualmente  alla  designazione  come giudice istruttore, operata
 congiuntamente a norma degli artt.   669-ter e 168-bis  c.p.c.),  sia
 stato  investito  della  decisione  della stessa domanda cautelare in
 corso di causa.  Comunque, anche se si  preferisse  ritenere  che  il
 subprocedimento  cautelare  instaurato  nell'ambito  del  giudizio di
 merito configuri pur sempre una fase processuale con  caratteristiche
 di  apprezzabile  autonomia, cio' non potrebbe semmai condurre che ad
 un giudizio di illegittimita' costituzionale delle stesse  norme  che
 attribuiscono  la  competenza  in  proposito  alla persona fisica del
 giudice istruttore investito della controversia (artt.  669-quater  e
 decies  c.p.c.)  al  fine  di  salvaguardarne  l'aura  di serenita' e
 imparziale neutralita' in sede di cognizione piena; tali disposizioni
 hanno ovviamente rilievo di mera legge  ordinaria,  sospettabile  pur
 essa  di  compromissione  di  valori  prioritari della giurisdizione,
 costituzionalmente tutelati.
   8. - Considerazioni di carattere pratico.
   La  seconda  obiezione  che  scaturisce  naturale  e'  legata  alla
 funzionalita'  dell'Amministrazione  della  giustizia (che pur sempre
 merita una rilevanza costituzionale, sia alla luce  dell'esigenza  di
 effettivita'  e non solo di giustizia del processo, sia alla luce del
 principio  di  buona  amministrazione  di  cui  all'art.   97   della
 Costituzione).
   Ragioni  di  ordine  eminentemente  pratico  inducono  seriamente a
 dubitare dei positivi effetti  che  l'introduzione  della  regola  di
 incompatibilita'  sortirebbe  sulla  gestione  del  processo  civile,
 specie se esigenze  di  coerenza  sistematica  dovessero  portare  ad
 estendere   l'incompatibilita'   anche  in  tema  di  emanazione  dei
 provvedimenti in corso di causa.  Tuttavia tale considerazione  circa
 le  difficolta'  pratiche  o anche solo la scarsa funzionalita' della
 soluzione eventualmente conforme ai principi costituzionali, tende  a
 sconfinare  sul  piano metagiuridico di valutazioni non pertinenti in
 sede di funzione di controllo della conformita' costituzionale  delle
 norme  di  diritto  positivo, come del resto esplicitamente affermato
 dalla Suprema Corte nel quarto paragrafo della sua  sentenza  n.  131
 del 1996.
   9. - Conclusioni.
   Per  tutte  le  esposte  ragioni  il giudice istruttore ritiene che
 l'eccezione proposta sia da un  lato  rilevante  e,  dall'altro,  non
 manifestamente  infondata  con  riferimento  sia  all'art.  24  della
 Costituzione sia a tutte le disposizioni di rango costituzionale  che
 delineano il concetto di imparzialita' della funzione giurisdizionale
 e  ritiene pertanto doveroso rimetterne la decisione al giudice delle
 leggi.  Il dubbio, sotto il profilo tecnico, investe l'art. 51, primo
 comma, n. 4, c.p.c., nella parte in cui non prevede  che  il  giudice
 abbia  l'obbligo  di astenersi allorche' abbia conosciuto della causa
 in sede di procedimento cautelare proposto anteriormente al  giudizio
 di  merito  ovvero,  alternativamente, l'art. 669-octies c.p.c. nella
 parte in cui non prevede (con disposizione analoga a quella contenuta
 nell'art.  669-terdecies,  secondo  comma)  una  specifica  causa  di
 incompatibilita'  alla trattazione e decisione del giudizio di merito
 costituita dall'aver conosciuto della  controversia  nella  fase  del
 procedimento  cautelare  introdotto  prima dell'inizio della causa di
 merito.
   In conseguenza il processo in corso va sospeso.
   La cancelleria dovra' a sua volta curare gli adempimenti prescritti
 dalla legge (art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 e  art.  1  reg.
 Corte  cost.  16  marzo 1956) in relazione alla presente ordinanza, e
 cioe':
     notificazione a tutte le parti in causa e al pubblico  Ministero,
 notificazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicazione
 ai   Presidenti   della  Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della
 Repubblica, successiva trasmissione alla Corte unitamente  agli  atti
 di causa e alla prova delle prescritte notificazioni e comunicazioni.