IL GIUDICE ISTRUTTORE Esaminati gli atti, sciogliendo la riserva, osserva quanto segue. 1. - Premessa. Con ricorso ex art. 669-bis e segg. c.p.c. depositato il 15 gennaio 1997 Giuseppe Geuna, Maria Vergnano, Claudio Piovano e Rosita Geuna adivano il tribunale di Torino chiedendo nei confronti di Sergio Bulgarello, titolare del bar-sala biliardi Lucky Jo, sito in Chieri, l'emanazione di un provvedimento cautelare ex art. 700 del c.p.c. diretto ad inibire lo svolgimento di attivita' rumorose e moleste. In data 16 gennaio 1997 con decreto ex art. 669-ter del c.p.c. il presidente del tribunale designava per la trattazione del procedimento il sottoscritto, dott. Scotti della 1 sezione civile. Dopo la rituale costituzione del contraddittorio e l'espletamento della necessaria attivita' istruttoria, con ordinanza 12-13 maggio 1997 il giudice designato accoglieva il ricorso e disponeva la richiesta misura cautelare, che veniva successivamente confermata dal Collegio in sede di reclamo ex art. 669-terdecies del c.p.c. proposto dal Bulgarello. Con atto di citazione notificato il 12 giugno 1997 Giuseppe Geuna, Maria Vergnano, Claudio Piovano e Rosita Geuna evocavano Sergio Bulgarello dinanzi al Tribunale di Torino instaurando il giudizio di merito ex art. 669-octies del c.p.c. nel rispetto del termine di trenta giorni assegnato con l'ordinanza cautelare chiedendo la conferma dell'inibitoria in difetto di adozione dei rimedi atti a contenere la propagazione del rumore dal locale gestito dal convenuto e la condanna del Bulgarello al risarcimento dei danni. La causa veniva iscritta a ruolo il 6 giugno 1997 ed assegnata alla 1 sezione civile (con decreto del presidente del tribunale del 6 giugno 1997) e al dott. Scotti (con decreto del 10 giugno 1997 del presidente di sezione). Alla prima udienza di comparizione del 1 ottobre 1997 si costituiva in giudizio Sergio Bulgarello prospettando in via preliminare la questione di costituzionalita' dell'art. 51, secondo comma, c.p.c. in relazione all'art. 24 della Costituzione e dubitando della costituzionalita' della norma che consente allo stesso magistrato che ha conosciuto della vicenda in sede cautelare ante causam di fungere da giudice istruttore nel giudizio di merito instaurato ai sensi dell'art. 669-octies del c.p.c. Parte attrice si opponeva, ritenendo infondata l'eccezione di incostituzionalita' sollevata da controparte. 2. - L'ambito della valutazione. L'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, affida al giudice dinanzi a cui venga sollevata questione di legittimita' costituzionale il compito di delibarne rilevanza e non manifesta infondatezza con ordinanza adeguatamente motivata (ex art. 24 della stessa legge) e cio' al fine di esercitare un valido filtro preventivo rispetto al controllo accentrato di costituzionalita' ed evitare che al giudice delle leggi venga rimesso l'esame di questioni inutili o evidentemente destituite di fondamento. Occorre quindi in questa sede valutare: a) se "il giudizio non possa esser definito indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale"; b) se la questione sollevata non sia "manifestanente infondata". 3. - La rilevanza. La questione proposta e' sicuramente rilevante, attenendo alla individuazione della figura stessa del magistrato investito con il rituale decreto presidenziale del compito di trattare e decidere la controversia. Ne' varrebbe in senso contrario argomentare sulla base della mancata presentazione da parte del convenuto nel termine anticipatorio previsto dalla legge del ricorso per ricusazione ai sensi dell'art. 52 del c.p.c., fondato sulla prospettazione di incostituzionalita' dell'art. 51, n. 4 del c.p.c. Infatti, a prescindere dalla impossibilita' di presentare un ricorso basato su di una norma in quel momento insussistente, sicche' non pare che la parte convenuta possa in tal prospettiva considerarsi incorsa in decadenza, va considerato - e il rilievo appare decisivo ed assorbente - che la configurabilita' di una causa legale di astensione determina non solo la facolta' per la parte di procedere nei tempi rituali alla proposizione di ricusazione, ma ingenera, anche e soprattutto, in capo al giudice il diritto-dovere di astenersi, a tutela dell'imparzialita' della giurisdizione, prima ancora che degli obblighi di lealta' e correttezza professionale. Tale diritto-dovere non e' soggetto ad alcun termine preclusivo. E' quindi evidente che l'accoglimento della questione proposta da parte del convenuto metterebbe il sottoscritto giudice istruttore nella condizione di doversi astenere dal giudizio, essendo del tutto pacifici i presupposti in fatto considerati dalla norma giuridica. 4. - La non manifesta infondatezza. La legge costituzionale consente al giudice a quo - come e' logico in un sistema che esclude il controllo di costituzionalita' "diffuso" - solo una delibazione del fumus boni iuris della questione proposta. Inoltre, tale delibazione, che implica in buona sostanza un giudizio prognostico sulla fondatezza della questione proposta, non si atteggia in termini positivi, ma negativi: l'obbligo del giudice a quo di rimettere gli atti alla Corte costituzionale non opera solo se egli reputa la questione probabilmente accoglibile, ma scatta gia' in presenza di una soglia inferiore di fumus, e cioe' se egli non e' in grado di qualificare la questione sollevata come evidentemente e chiaramente infondata. Tale certamente non e' l'eccezione di specie. La questione proposta dalla difesa del convenuto appare certamente opinabile ma non puo' ritenersi affatto pretestuosa, specie alla luce dei recenti orientamenti manifestati dalla Corte costituzionale in tema di imparzialita' del giudice e "giusto processo". Analoghi dubbi risultano del resto gia' sottoposti alla decisione del giudice delle leggi dal trib. Terni (ordinanza 4 marzo 1997 in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 7 maggio 1997, n. 19, proprio in riferimento alla questione oggetto del presente provvedimento), dal pretore di Torino (ord. 3 aprile 1997 in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 2 luglio 1997, n. 27, in riferimento al giudizio di opposione avverso il provvedimento inibitorio repressivo di condotta antisindacale) e dal T.A.R. Puglia, sezione di Lecce (ord. 6 novembre 1996 in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, 2 luglio 1997, n. 27, in riferimento alla partecipazione al giudizio di merito in sede amministrativa dei giudici che abbiano conosciuto della controversia in sede di sospensione cautelare del provvedimento amministrativo impugnato). 5. - La giurisprudenza della Corte costituzionale. La Corte costituzionale con alcune importanti pronunce del 1996 e' intervenuta infatti in modo innovativo sul tema della disciplina legislativa dell'incompatibilita' del giudice determinata da atti compiuti nell'ambito del procedimento, con riferimento alla norma dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. In particolare, la Corte: ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice che: a) come componente del tribunale del riesame si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato, ovvero b) come componente del tribunale dell'appello avverso l'ordinanza che provvede in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato o dell'imputato si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta (Corte cost. 24 aprile 1996, n. 131); ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale della norma nella parte in cui non prevede: a) che non possa partecipare al giudizio abbreviato e disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice delle indagini preliminari che abbia disposto una misura cautelare personale, o abbia disposto la modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale; b) che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia disposto la modifica, sostituzione o revoca di una misura cautelare personale; c) che non possa disporre l'applicazione della pena su richiesta delle parti il giudice che, come componente del tribunale dell'appello avverso l'ordinanza che provvede a una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato o dell'imputato, si sia pronunciato su aspetti non esclusivamente formali dell'ordinanza anzidetta (Corte cost. 20 maggio 1996, n. 153); ha respinto l'eccezione di incostituzionalita' della stessa norma nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio il giudice che nel dibattimento abbia emanato un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell'imputato per un reato oggetto di contestazione suppletiva e che non possa partecipare al giudizio direttissimo il pretore che abbia convalidato l'arresto ed applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato (Corte cost. 31 maggio 1996, n. 177). La sintesi della richiamata giurisprudenza della Corte consente di cogliere i seguenti principi-guida: la formula del "giusto processo" concentra i principi costituzionali tanto in ordine agli essenziali e imprescindibili caratteri della giurisdizione sotto i profili oggettivo e soggettivo quanto in ordine ai diritti di azione e difesa; il "giusto processo" esige l'imparzialita' del giudice quale aspetto caratterizzante il connotato essenziale della terzieta'; le norme sulla incompatibilita' sono funzionali alla garanzia di tale aspetto, il che ne convalida la rilevanza costituzionale; le incompatibilita' dei giudici derivanti da ragioni interne allo svolgimento del processo sono finalizzate ad evitare che condizionamenti, o apparenze di condizionamenti, derivanti da precedenti valutazioni pur operate per ragioni d'ufficio nell'ambito dello stesso procedimento, per effetto della naturale inclinazione umana a persistere nella propria opinione, possano pregiudicare - o anche solo far apparire pregiudicata - l'attivita' di giudizio; il presupposto di ogni incompatibilita' endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni sulla medesima res iudicanda; non e' sufficiente la mera conoscenza dei fatti, ma occorre quantomeno una valutazione degli stessi; non tutte le valutazioni compromettono l'imparzialita' come sopra definita, ma solo quelle non esclusivamente formali che attengono ad aspetti sostanziali; nell'ambito di ciascuna fase processuale deve venir preservata l'esigenza di continuita' e globalita', sicche' il giudice investito di una fase procedimentale non incorre in alcuna incompatibilita' tutte le volte in cui compie valutazioni preliminari, anche di merito, destinate a sfociare in quella conclusiva, perche' in caso contrario si determinerebbe una "assurda frammentazione" del procedimento inteso come ordinata sequenza di atti e con l'aberrante conseguenza di dover disporre per la medesima fase del giudizio di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere. A siffatta nozione di "giusto processo" enucleabile dalla giurisprudenza costituzionale si deve percio' correlare la valutazione delibatoria dell'eccezione di costituzionalita' proposta nel presente giudizio da parte del convenuto. In primo luogo va considerato come pur essendosi formata la giurisprudenza costituzionale analizzata sulle norme del codice di procedura penale (art. 34 c.p.p.) la Corte si sia pronunciata in termini estremamente ampi e generalizzati, riferiti al concetto stesso di giurisdizione, sicche' nulla consente di opinare che i principii cosi' espressi e sopra riepilogati siano destinati a valere solo nell'ambito del giudizio penale, in quanto potenzialmente incisivo sul diritto alla liberta' personale dell'imputato. L'assoluta' generalita' delle enunciazioni di principio operate dalla Corte porta a ritenere che la trasposizione del principio del "giusto processo" cosi' delineato intorno al caposaldo dell'imparzialita'-terzieta' del giudice nel giudizio civile non possa essere seriamente contestata, come del resto puntualmente segnalato dalla dottrina occupatasi del problema. In ogni caso, appare evidente che anche nell'esercizio della giurisdizione civile vengono a dibattersi questioni di vitale importanza per la tutela di diritti del cittadino, di rilievo anche costituzionale, sicche' nessuna differenziazione appar lecito introdurre in punto esigenza di imparzialita' fra i diversi ambiti di esercizio della giurisdizione. Il compito del giudice a quo e' quindi quello di verificare alla luce delle indicazioni della Consulta se lo svolgimento della funzione di giudice istruttore, prima, e di giudice in fase decisoria poi (vuoi in qualita' di giudice unico - come nella presente fattispecie -, vuoi come componente il Collegio) nel giudizio di merito di cui all'art. 669-octies c.p.c. possa risultare incompatibile con il precedente svolgimento della funzione di giudice designato alla trattazione e decisione del procedimento cautelare ante causam. Il codice di procedura civile vigente non contempla alcuna preclusione in tal senso poiche' l'art. 51, n. 4 c.p.c. si riferisce solo all'ipotesi in cui il giudice "ne ha conosciuto come magistrato in altro grado (e non in anche solo in altra fase dello stesso grado) del processo", tant'e' che in dottrina si e' ritenuta configurabile la causa di astensione/ricusazione solo in caso di provvedimento cautelare abnorme che contenga affermazioni di tipo decisorio e non meramente prognostiche in ordine alla causa di merito. Inoltre, mentre l'art. 669-terdecies esclude il giudice che ha emesso il provvedimento dalla composizione del Collegio in sede di reclamo, l'art. 669-octies nulla prevede in ordine alla incompatibilita' fra giudice del procedimento cautelare e giudice istruttore della causa di merito. Anzi, la sostituzione delle competenze funzionali speciali del pretore ex art. 702 c.p.c. ovvero del presidente del tribunale ex art. 672 cp.c. con generalizzata introduzione della competenza per la trattazione dei procedimenti cautelari ante causam del giudice competente a conoscere del merito (ex art. 669-ter c.p.c.) e' stata letta da alcuni commentatori come una ulteriore conferma dell'intento del legislatore di far coincidere, almeno tendenzialmente, non solo la figura dell'ufficio competente per la cautela con quello competente per il merito, ma anche la persona fisica del magistrato incaricato della trattazione dei due procedimenti. In questa stessa prospettiva va rimarcato che la riforma del processo civile con apposite specifiche disposizioni (cfr. artt. 669-ter octies, novies c.p.c.) ha accentuato la natura provvisoria e strumentale dei provvedimenti cautelari e il loro imprescindibile collegamento con il giudizio di merito i cui effetti mirano ad assicurare temporaneamente ed ha assicurato alle parti con l'introduzione generalizzata del rimedio impugnatorio del reclamo la possibilita' di tutela nei riguardi della decisione cautelare sfavorevole, dimodoche' l'effetto negativo della c.d. "prevenzione" del giudice del merito, determinato dalla cognizione del rapporto in sede cautelare, sarebbe in qualche misura controbilanciato dal controllo collegiale del provvedimento, che giustifica una certa qual aspettativa di stabilita' nella prognosi insita nella misura cautelare uscita positivamente dal doppio vaglio a cui e' sottoposta. 6. - I singoli elementi a suffragio del dubbio di costituzionalita'. Orbene e procedendo alla verifica dei singoli elementi considerati dalla Corte costituzionale: a) e' chiara la preesistenza di valutazioni sulla medesima res iudicanda. Il giudice della cautela infatti considera la situazione prospettata dall'attore come oggetto della futura causa di merito e valuta se il diritto prospettato dal ricorrente sia probabilmente sussistente ed esposto ad un periculum in mora (da intempestivita' o infruttuosita') nei tempi occorrenti alla pronuncia della decisione definitiva, che potrebbe altrimenti rivelarsi inutiliter data. L'oggetto della cognizione e' lo stesso, tanto piu' che la riforma processuale attuata nel 1990-1993 (ai fini della verifica da parte del giudice della competenza e del necessario carattere di strumentalita' della misura richiesta) impone al ricorrente di indicare il contenuto della causa di merito che dovra' successivamente instaurare in caso di accoglimento del ricorso a pena di inefficacia del provvedimento, salvi i limitati aggiustamenti consentiti dal codice di rito in tema di precisazioni e modificazioni della domanda giudiziale. Muta solo la regola di giudizio che risulta improntata in sede cautelare al criterio della sommarieta', diretta com'e' alla verificazione in termini prognostici della presumibile fondatezza della domanda, mentre per il giudizio di merito valgono gli ordinari parametri della piena cognizione da parte dell'organo giurisdizionale; b) e' del tutto chiaro che il giudice designato ex art. 669-ter c.p.c. non si limita ad assumere mera conoscenza dei fatti ma procede ad una vera e propria valutazione degli stessi; c) sembra evidente che la valutazione operata dal giudice del procedimento cautelare ante causam attiene (o comunque puo' attenere, come si e' verificato nel caso concreto) ad aspetti sostanziali della situazione giuridica controversa e non si limita ad una considerazione meramente formale o processuale della fattispecie; d) l'esclusione della applicabilita' dei principi soprarichiamati protrebbe discendere solo dalla considerazione del giudizio cautelare e del giudizio di merito come talmente inestricabilmente connessi in una unica fase processuale, da potersi invocare, per contrastare il dubbio di legittimita' quelle esigenze di organicita' e continuita' unitaria nella trattazione del procedimento miranti ad evitare la frammentazione all'infinito della fase processuale richiamate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 131 del 1996 e poste a presidio del rigetto delle eccezioni considerate nella sentenza n. 177 del 1996. Tale operazione logico-giuridica non sembra tuttavia essere consentita dall'ordinamento, che configura il procedimento cautelare ante causam come una autonoma fase processuale caratterizzata da proprie regole per l'individuazione della competenza, l'introduzione del giudizio, la gestione e l'istruzione del procedimento, l'emanazione della decisione. L'art. 669-octies e il successivo art. 669-novies codificano e ribadiscono con chiarezza inoltre il principio che il giudizio di merito (rispetto al quale il procedimento cautelare si colloca in funzione strumentale e provvisoria, assicurativa o anticipatrice) inizia solo con la notificazione dell'atto di citazione. Se e' vero poi, come sopra osservato, che nessuna norma esclude la coincidenza della persona fisica fra il giudice del procedimento cautelare ante causam e il giudice istruttore della causa di merito, e' altrettanto vero che nessuna norma la impone espressamente, sicche' non sembra possibile invocare il principio dell'unitarieta' procedimentale per giustificare la progressiva compromissione dell'imparzialita' in ragione della natura interna alla fase procedurale della pronuncia interlocutoria cautelare. D'altra parte, la ratio legis della devoluzione nell'ambito della riforma del 1990-1993 della competenza cautelare ante causam al giudice competente per il merito e' stata vista piu' che altro in termini di specifica professionalita' dei magistrati investiti della controversia (valore questo che sarebbe comunque preservato a prescindere dalle persone fisiche investite della trattazione). Vanno poi considerate due ulteriori obiezioni alla tesi prospettata da parte convenuta. 7. - L'obiezione legata all'art. 669-quater c.p.c. In primo luogo, va considerato che l'art. 669-quater c.p.c., non immutando in modo sostanziale la previgente disciplina di cui all'art. 702 c.p.c. in tema di provvedimenti d'urgenza, ha attribuito al giudice istruttore della causa di merito gia' pendente la cognizione e la decisione delle istanze cautelari proposte in corso di causa, con cio' evidentemente non considerando negativamente compromessa dalla pronuncia cautelare l'imparzialita' dell'organo decisorio. Ed anzi per l'ipotesi in cui la causa di merito sia gia' stata instaurata ma il giudice istruttore non sia ancora stato designato, l'art. 669-quater, secondo comma, prevede che il presidente del tribunale provveda alla designazione del magistrato incaricato della trattazione del procedimento cautelare, il che fa presumere una tendenziale coincidenza fra detta figura e quella incaricata della gestione ordinaria della causa ex art. 168-bis c.p.c. (avendo il legislatore volutamente trascurato di considerare la possibile soluzione alternativa della competenza ad hoc del presidente del tribunale, anteriormente prevista dall'art. 672, terzo comma, c.p.c.). Tale elemento non sembra pero' sufficiente a determinare un giudizio di manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'. In primo luogo, stando alla giurisprudenza della Corte, costituzionale (e in particolare alla ratio decidendi della sentenza n. 177 del 1996) va rimarcato che nell'ipotesi di provvedimento cautelare in corso di giudizio la causa di incompatibilita' per pronunzia endoprocessuale non preesiste all'investitura della controversia di merito, sicche' troverebbero esplicazione quei principi di continuita' procedurale che rendono irrilevanti le pronunce progressivamente rese nell'ambito della stessa fase processuale. E' certamente vero che, almeno da un punto di vista sostanziale, la soluzione che deriverebbe dall'automatica esportazione dei principi gia' enunciati dalla Corte costituzionale in materia di procedimento penale (cosi' come propugnata anche da parte della dottrina) porterebbe ad una conseguenza, magari perfettamente giustificabile sul piano teorico, ma scarsamente convincente sotto il profilo logico-equitativo. Vale a dire: la decisione sulla domanda di merito potrebbe o no essere assunta dallo stesso giudice che ha pronunciato sulla domanda cautelare a seconda di una circostanza del tutto estrinseca ed accidentale, e cioe' che la domanda cautelare sia proposta prima o dopo l'introduzione del giudizio di merito. E non e' chi non veda come la prevenzione, intesa quale naturale tendenza umana a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali, finisca con l'operare in modo perfettamente analogo nelle due fattispecie: in altri termini, non e' sicuramente piu' prevenuto il giudice che ha concesso la misura cautelare ante causam rispetto a quello che, magari immediatamente dopo la designazione quale giudice istruttore e prima di ogni concreta trattazione della vertenza (o addirittura contestualmente alla designazione come giudice istruttore, operata congiuntamente a norma degli artt. 669-ter e 168-bis c.p.c.), sia stato investito della decisione della stessa domanda cautelare in corso di causa. Comunque, anche se si preferisse ritenere che il subprocedimento cautelare instaurato nell'ambito del giudizio di merito configuri pur sempre una fase processuale con caratteristiche di apprezzabile autonomia, cio' non potrebbe semmai condurre che ad un giudizio di illegittimita' costituzionale delle stesse norme che attribuiscono la competenza in proposito alla persona fisica del giudice istruttore investito della controversia (artt. 669-quater e decies c.p.c.) al fine di salvaguardarne l'aura di serenita' e imparziale neutralita' in sede di cognizione piena; tali disposizioni hanno ovviamente rilievo di mera legge ordinaria, sospettabile pur essa di compromissione di valori prioritari della giurisdizione, costituzionalmente tutelati. 8. - Considerazioni di carattere pratico. La seconda obiezione che scaturisce naturale e' legata alla funzionalita' dell'Amministrazione della giustizia (che pur sempre merita una rilevanza costituzionale, sia alla luce dell'esigenza di effettivita' e non solo di giustizia del processo, sia alla luce del principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione). Ragioni di ordine eminentemente pratico inducono seriamente a dubitare dei positivi effetti che l'introduzione della regola di incompatibilita' sortirebbe sulla gestione del processo civile, specie se esigenze di coerenza sistematica dovessero portare ad estendere l'incompatibilita' anche in tema di emanazione dei provvedimenti in corso di causa. Tuttavia tale considerazione circa le difficolta' pratiche o anche solo la scarsa funzionalita' della soluzione eventualmente conforme ai principi costituzionali, tende a sconfinare sul piano metagiuridico di valutazioni non pertinenti in sede di funzione di controllo della conformita' costituzionale delle norme di diritto positivo, come del resto esplicitamente affermato dalla Suprema Corte nel quarto paragrafo della sua sentenza n. 131 del 1996. 9. - Conclusioni. Per tutte le esposte ragioni il giudice istruttore ritiene che l'eccezione proposta sia da un lato rilevante e, dall'altro, non manifestamente infondata con riferimento sia all'art. 24 della Costituzione sia a tutte le disposizioni di rango costituzionale che delineano il concetto di imparzialita' della funzione giurisdizionale e ritiene pertanto doveroso rimetterne la decisione al giudice delle leggi. Il dubbio, sotto il profilo tecnico, investe l'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c., nella parte in cui non prevede che il giudice abbia l'obbligo di astenersi allorche' abbia conosciuto della causa in sede di procedimento cautelare proposto anteriormente al giudizio di merito ovvero, alternativamente, l'art. 669-octies c.p.c. nella parte in cui non prevede (con disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 669-terdecies, secondo comma) una specifica causa di incompatibilita' alla trattazione e decisione del giudizio di merito costituita dall'aver conosciuto della controversia nella fase del procedimento cautelare introdotto prima dell'inizio della causa di merito. In conseguenza il processo in corso va sospeso. La cancelleria dovra' a sua volta curare gli adempimenti prescritti dalla legge (art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 e art. 1 reg. Corte cost. 16 marzo 1956) in relazione alla presente ordinanza, e cioe': notificazione a tutte le parti in causa e al pubblico Ministero, notificazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, successiva trasmissione alla Corte unitamente agli atti di causa e alla prova delle prescritte notificazioni e comunicazioni.