ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della regione
 Abruzzo  27  aprile  1996,  n.  23  (Impianti  pubblici o di pubblico
 interesse), promosso con ordinanza  emessa  il  12  agosto  1996  dal
 Commissario   regionale   per   il  riordinamento  degli  usi  civici
 dell'Abruzzo  nella  causa  demaniale  vertente  tra  il  comune   di
 Roccaraso  e  l'ENEL  ed  altra  iscritta  al  n.  1190  del registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 44, prima serie speciale dell'anno 1996;
   Visto l'atto di costituzione dell'E.N.E.L;
   Udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1997 il  giudice  relatore
 Francesco Guizzi;
   Udito l'avvocato Francesco Canfora per l'E.N.E.L.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un procedimento, iniziato in seguito a un verbale
 di  sopralluogo  del funzionario dell'unita' operativa usi civici e a
 un rapporto del Corpo forestale dello Stato, diretto a dichiarare  la
 natura  demaniale  civica di alcuni terreni occupati dall'ENEL s.p.a.
 e dalla TELECOM Italia, quale avente causa della SIP s.p.a.,  per  la
 realizzazione  di  impianti che comportano l'assoggettamento di detti
 terreni a servitu' di linee aeree, eseguiti  senza  l'autorizzazione,
 ora  di  competenza regionale, prescritta dall'art. 12 della legge 16
 giugno 1927, n. 1766 (Sul riordinamento degli usi civici del  Regno),
 ai  fini  del mutamento di destinazione, il Commissario regionale per
 il  riordinamento  degli  usi  civici   dell'Abruzzo   ha   sollevato
 d'ufficio,  in relazione agli artt. 3, 9, 24, 32, 42, 117 e 118 della
 Costituzione, questione di legittimita'  costituzionale  della  legge
 della  regione  Abruzzo 27 aprile 1996, n. 23 (Impianti pubblici e di
 pubblico interesse).
    Premette il rimettente che l'art. 12 della legge  fondamentale  in
 materia di usi civici, n. 1766 del 1927, stabilisce che i comuni e le
 associazioni  non potranno alienare o mutare la destinazione dei beni
 gravati da tali usi senza l'autorizzazione delle regioni, e cio'  per
 effetto  dei  d.P.R.  n.  11  del  1972 e n. 616 del 1977. La Regione
 Abruzzo ha invero disposto, all'art. 6, comma 7, della legge 3  marzo
 1988,  n. 25 (Norme in materia di usi civici e gestione delle risorse
 civiche), che i mutamenti di destinazione possono essere autorizzati,
 oltre  che  nell'ambito  delle  finalita'  agroforestali   richiamate
 dall'art.  41  del  r.d.  26  febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del
 regolamento per l'esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul
 riordinamento degli  usi  civici  del  Regno),  anche  per  finalita'
 pubbliche o di interesse pubblico, tenendo conto delle previsioni dei
 piani  paesistici  o  di  assetto del territorio. La successiva legge
 regionale n. 23 del 1996 ha statuito, al comma 1 dell'articolo unico,
 che la realizzazione delle reti e dei relativi accessori di  impianti
 pubblici,  o di pubblico interesse, destinati al trasporto energetico
 e   delle   telecomunicazioni,   si   configurano   come   opere   di
 urbanizzazione   che  non  necessitano  di  conformita'  urbanistica,
 risultando  soggetti  a  semplice  autorizzazione  da   parte   delle
 amministrazioni  comunali.   Al comma 3 ha poi previsto che, nei casi
 in cui opere o impianti e relativi accessori insistono su terreni  di
 natura  civica, il provvedimento autorizzatorio del sindaco determina
 l'immediata utilizzabilita' dei suoli, venendosi cosi' a  concretare,
 in   forma   diversa,   il   diritto  di  godimento  a  favore  della
 collettivita' utente e proprietaria dei beni.
   Il  Commissario  osserva   che   l'abolizione   dell'autorizzazione
 regionale,  relativa agli impianti pubblici da realizzarsi su terreni
 gravati da usi civici, contrasta con il principio di  ragionevolezza,
 poiche'  il  sindaco  non  potrebbe  mutare  la  destinazione di tali
 terreni, essendo  il  comune  soltanto  l'amministratore,  e  non  il
 proprietario,  dei  beni demaniali civici, che apparterrebbero invece
 alle collettivita'.  Si' che vi  sarebbe,  innanzitutto,  illogicita'
 per  il contrasto fra la legge regionale censurata, e gli artt. 9, 11
 e 12  della  menzionata  legge  n.  1766  del  1927,  l'art.  41  del
 regolamento di esecuzione di essa, approvato con regio decreto n. 332
 del  1928,  e l'art. 6 della legge regionale n. 25 del 1988, giacche'
 tutte queste norme inibiscono di vendere beni civici, o di mutarne la
 destinazione, senza una precedente loro assegnazione a categoria e la
 successiva autorizzazione regionale.   L'art.  41  consentirebbe,  in
 particolare,  la  diversa  destinazione  solo  quando "rappresenti un
 reale  beneficio  per  la  generalita'  degli  abitanti",  mentre  la
 collocazione  degli impianti produrrebbe inquinamento, con danno alla
 salute dei  cittadini;  di  qui,  la  lesione  dell'art.    32  della
 Costituzione.
   Tali  impianti  deturperebbero  altresi' l'ambiente e il paesaggio,
 con violazione dell'art. 9  della  Costituzione.  Violati  sarebbero,
 poi,  gli  artt. 117 e 118 della Costituzione per il mancato rispetto
 dei principi contenuti  nella  legge  statale  n.  1766  del  1927  e
 nell'art.   75 del regolamento di esecuzione, gia' citato, in base al
 quale la regione avrebbe dovuto sentire le collettivita' interessate;
 violato sarebbe pure  l'art.  78  del  codice  di  procedura  civile,
 essendosi determinato un conflitto di interessi fra il rappresentante
 e i rappresentati, vale a dire fra il comune e la collettivita', onde
 si sarebbe dovuto procedere alla nomina di un curatore speciale.
   La  legge contrasterebbe, infine, con l'art. 24 della Costituzione,
 essendo stata privata la collettivita' del diritto  di  difendere  il
 proprio  demanio  civico,  del quale sarebbe stata "espropriata", con
 conseguente lesione dell'art. 42, e - in violazione  anche  dell'art.
 17  della  legge  regionale n. 83 del 1988 - senza indennizzo, com'e'
 regola generale per la proprieta' privata.
   La questione sarebbe rilevante, perche' - qualora dovesse ritenersi
 costituzionalmente legittima la legge n. 23 del 1996 e il sindaco del
 comune  di  Roccaraso  rilasciasse l'autorizzazione ivi prevista - il
 procedimento in corso dovrebbe definirsi con la declaratoria  di  non
 doversi  procedere,  comportando la predetta autorizzazione sindacale
 l'automatico mutamento di destinazione dei fondi occupati dagli  enti
 interessati.
   2.    -    L'ENEL    s.p.a.,   costituendosi,   ha   concluso   per
 l'inammissibilita'  o,  in  subordine,  per   l'infondatezza   (anche
 manifesta) della questione.
   Nel   procedimento   difetterebbe,   infatti,   il   requisito  del
 "giudizio", poiche' quello innanzi al Commissario  regionale  per  il
 riordinamento  degli  usi civici non avrebbe le caratteristiche della
 controversia affidata alle soluzioni di un  giudice,  ma  quelle  del
 procedimento  amministrativo in vista della eventuale emanazione d'un
 provvedimento in grado di impedire il mutamento  di  destinazione  di
 terreni   civici.    Ne'  sussisterebbe  adeguata  motivazione  sulla
 rilevanza nel giudizio
  a quo,  non risultando con chiarezza quali (e in che  misura)  siano
 compromessi  gli usi civici dal mutamento di destinazione, atteso che
 gli impianti sarebbero costituiti, in gran parte, di reti aeree.
   Nel merito, la questione sarebbe infondata sotto tutti i profili.
   Innanzitutto, sotto quello della ragionevolezza  per  il  contrasto
 addotto  fra  la  disposizione  censurata  e  altre  elevate  a norme
 interposte.  Si tratterebbe d'una prospettiva  errata,  non  soltanto
 perche'  una delle disposizioni invocate (l'art. 41 del regio decreto
 n. 332 del  1928)  ha  natura  regolamentare,  ma  perche'  la  legge
 regionale,  in  base  al  principio della successione delle leggi nel
 tempo, ha il potere di dettare la disciplina di settore,  modificando
 o derogando la precedente legislazione.
   In  secondo  luogo,  sarebbe erroneo il presupposto interpretativo:
 l'asserito mutamento di destinazione dei terreni civici che, ai sensi
 dell'art. 12 della legge n. 1766 del 1927 (o per effetto  dei  d.P.R.
 n.  11  del  1972 e n. 616 del 1977), spettava alle regioni e ora, in
 base alla legge della regione Abruzzo  in  esame,  n.  23  del  1996,
 sarebbe  di  competenza  del sindaco dei comuni interessati. Siffatta
 autorizzazione non avrebbe il significato di consentire il  mutamento
 della destinazione d'uso, ma solo di prendere atto, con provvedimento
 diverso dalla concessione, che all'originaria utilita' civica si sono
 aggiunte,  a  vantaggio delle collettivita' locali, nuove utilita' (i
 servizi  elettrici   e   telefonici)   senza   compromettere   quelle
 originarie.   In  ogni  caso  sarebbe  conforme  all'art.  118  della
 Costituzione  la  delega  di  tale  potere  ai  comuni;  ne'  sarebbe
 necessario,   per   il   mutamento  di  destinazione,  la  preventiva
 assegnazione a categoria disciplinata dall'art.  14  della  legge  n.
 1766  del  1927.  Le  sentenze della Corte costituzionale nn. 391 del
 1989 e 221 del 1992  hanno  attribuito  a  quell'atto  la  natura  di
 accertamento  dichiarativo,  la  cui mancanza produrrebbe soltanto un
 vizio formale dell'autorizzazione ad alienare.    Detta  assegnazione
 non   avrebbe   comunque  alcuna  incidenza:  nella  specie,  non  si
 verserebbe infatti nella ipotesi della  alienazione,  ma  in  quella,
 diversa, del mutamento di destinazione dell'uso.
   Non  vi sarebbe violazione del diritto alla salute, di cui all'art.
 32, non tanto perche' esso non riguarderebbe gli  usi  civici  quanto
 perche'  i gestori degli impianti sono tenuti al rispetto di tutte le
 disposizioni vigenti in materia e, quindi, sottoposti ai controlli di
 legge.  Non  sarebbe  lesa, altresi', la tutela paesistica assicurata
 dall'art.  9,  essendo  irrilevante  l'ente  deputato   al   rilascio
 dell'autorizzazione;  ne' lo sarebbe quella della proprieta' privata,
 di cui all'art. 42, poiche' la costituzione  senza  indennizzo  delle
 servitu'  di linee aeree sui beni d'uso pubblico non si risolve in un
 depauperamento, ma anzi in un ulteriore conferimento di utilita'.
   Non  sarebbero,  infine,  violati  gli  artt.  117  e   118   della
 Costituzione,   in  riferimento  all'  art.  75  del  regolamento  di
 esecuzione  n.  332  del  1928  (per  la  mancata   audizione   delle
 popolazioni interessate) e all'art. 78 del codice di procedura civile
 (per  il  conflitto di interessi fra comuni e utenti), sia perche' la
 norma regolamentare non potrebbe limitare il  legislatore  regionale,
 sia perche' l'accresciuta utilita' a beneficio della comunita' locale
 farebbe venir meno ogni ipotesi di conflitto.
   Infondata  sarebbe,  poi,  la  pretesa  lesione  dell'art. 24 della
 Costituzione.
   3. - In prossimita'  dell'udienza  pubblica  la  parte  privata  ha
 depositato   memoria,   con   cui   si   approfondiscono   i  profili
 d'inammissibilita' e le ragioni dell'infondatezza.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Commissario per il riordinamento  degli  usi  civici  della
 regione  Abruzzo solleva, in riferimento agli artt. 3, 9, 24, 32, 42,
 117   e   118   della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  della  legge della Regione Abruzzo 27 aprile 1996, n.
 23 (Impianti pubblici o di pubblico interesse), ove si stabilisce, al
 comma 1 dell'articolo unico, che gli impianti a rete  pubblici  o  di
 pubblico  interesse  "si  configurano  come opere di urbanizzazione e
 pertanto non  necessitano  di  conformita'  urbanistica  e  non  sono
 soggette  a  concessione  edilizia,  ma  a semplice autorizzazione da
 parte delle amministrazioni comunali", e si prevede, al comma 3,  che
 -  nei  casi in cui le predette opere o impianti e relativi accessori
 debbano insistere su terreni di  natura  civica  -  il  provvedimento
 autorizzatorio del sindaco "determina l'immediata utilizzabilita' dei
 suoli,  concretando  diversa  esplicazione  del diritto collettivo di
 godimento a favore della  collettivita'  utente  e  proprietaria  dei
 beni,  non ricorrendo la fattispecie di cui agli artt. 12 della legge
 n. 1766 del 1927; 41 del regio decreto n. 332 del 1928; 6 della legge
 regionale n. 25 del 1988".
   Tale  legge  lederebbe  i  parametri  costituzionali   di   seguito
 indicati:
     l'art.  3,  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  in quanto
 attribuisce al sindaco poteri che non  gli  spettano  e  si  pone  in
 contrasto  con  gli artt. 9, 11 e 12 della legge n. 1766 del 1927, 41
 del regio decreto n. 332  del  1928,  contenente  il  regolamento  di
 esecuzione,  e 6 della legge della Regione Abruzzo n. 25 del 1988 che
 con le norme statali richiamate forma  sistema.  E  cio'  perche'  le
 suddette  disposizioni richiedono, tutte, che qualsiasi alienazione o
 mutamento di destinazione di suoli  appartenenti  al  demanio  civico
 siano  preceduti  dall'"assegnazione  a categoria" e dalla successiva
 autorizzazione regionale sempre che ricorra un reale beneficio per la
 collettivita', secondo quanto statuito espressamente dalla  normativa
 statale  di  principio,  volta  ad  assicurare  beneficio  all'intera
 collettivita' dei titolari di uso civico, e non a un solo comune;
     l'art.   32,   perche'   gli   eventuali  effetti  d'inquinamento
 atmosferico ed elettromagnetico provocherebbero danni,  anche  gravi,
 alla salute;
     l'art.  9, perche' la presenza indiscriminata di opere, di reti e
 impianti destinati alle telecomunicazioni o al  trasporto  energetico
 deturperebbero l'ambiente e il paesaggio;
     l'art.   42,   perche'   la   mancata  previsione  di  indennizzo
 riserverebbe alla proprieta' pubblica, qual  e'  quella  del  demanio
 civico,  un  trattamento deteriore rispetto a quello della proprieta'
 privata che puo' essere espropriata per motivi di interesse regionale
 soltanto con il pagamento d'un indennizzo,  la  cui  congruita',  nel
 caso di servitu' di elettrodotto, andrebbe valutata tenendo conto dei
 diversi tipi di pregiudizio economico subiti dal proprietario (il che
 porrebbe  la  normativa  censurata  anche  in contrasto con l'art. 17
 della legge della regione Abruzzo  20  settembre  1988,  n.  83,  con
 ulteriore lesione del principio di ragionevolezza);
     gli  artt.  117 e 118, i quali dispongono che nella materia degli
 usi civici la regione a statuto ordinario emana norme legislative nei
 limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi  dello  Stato,
 nella  specie  non  rispettati;  che  ad  essa  spettano  pertanto le
 relative  funzioni  amministrative,  "salvo   quelle   di   interesse
 esclusivamente  locale",  per  le  quali vanno sentite le popolazioni
 interessate; che infine - ove si verifichi un conflitto di  interesse
 -  venga  nominato eventualmente un curatore speciale, secondo quanto
 previsto, mutatis mutandis  dall'art.  78  del  codice  di  procedura
 civile, anch'esso non osservato;
     l'art.   24   della   Costituzione,   perche'  si  priverebbe  la
 collettivita' interessata del diritto di difendere il proprio demanio
 civico, essendone espropriata senza la possibilita' di richiedere  il
 canone,  come  espressamente previsto dall'art. 17 della citata legge
 della regione Abruzzo n.  83 del 1988.
   2. - Vanno, anzitutto, esaminate le eccezioni  di  inammissibilita'
 sollevate  dalla  parte privata: quella secondo cui il procedimento a
 quo non  avrebbe  natura  giurisdizionale  e  quella  riguardante  il
 presunto  difetto  di  rilevanza della questione rispetto al giudizio
 principale.
   La prima eccezione va respinta.
   Gia' con la sentenza n. 133 del 1993 questa Corte  aveva  avvertito
 che  la  giurisdizione ufficiosa in via principale (da tempo divenuta
 prevalente a causa del rallentamento del programma liquidatorio degli
 usi civici)  riceve  nuova  autonoma  giustificazione  dall'interesse
 della  collettivita'  nazionale alla conservazione dell'ambiente, per
 la cui tutela le zone  gravate  da  usi  civici  sono  sottoposte  al
 vincolo  paesaggistico  ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497,
 per opera dell'art. 82, quinto comma, lettera h), del d.P.R.  n.  616
 del  1977, aggiunto dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione
 del decreto-legge n. 312  del  1985.  Successivamente  ripreso,  tale
 argomento   e'   alla   base  della  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art.  29, secondo comma, della  legge  16  giugno
 1927,  n.  1766,  "nella  parte in cui non consente la permanenza del
 potere del Commissario agli usi civici  di  esercitare  d'ufficio  la
 propria  giurisdizione,  pur dopo il trasferimento alle Regioni delle
 funzioni  amministrative  previste  dal  primo  comma   dell'articolo
 medesimo"  (sentenza  n.  46  del  1995).  Fra  la situazione, allora
 vigente,  che non abilitava alcun organo dello Stato ad agire davanti
 ai commissari agli usi civici  per  la  salvaguardia  del  menzionato
 interesse  costituzionalmente  garantito  e  il  potere di iniziativa
 processuale ad essi attribuito, la Corte  ha  infatti  scelto  questa
 seconda  strada  "in  attesa  del  riordino  generale della materia",
 preannunciato dall'art. 5  della  legge  4  dicembre  1993,  n.  491,
 dimostrandosi  consapevole  che le funzioni di impulso processuale da
 parte del giudice si possono  giustificare  eccezionalmente,  perche'
 transitoriamente,  in  vista  di  una  nuova disciplina improntata al
 principio della terzieta' del giudice.
   Questa Corte non puo'  quindi  non  ribadire  tali  argomentazioni,
 nell'attesa  che  il  legislatore riordini l'intera materia, pure con
 riguardo ai profili ordinamentali teste' menzionati.
   Anche la seconda eccezione va disattesa.
   E' vero che il rimettente non ha specificato la tipologia degli usi
 civici relativamente alle zone interessate  dalla  costruzione  degli
 impianti  a  rete,  ma  cio' non investe la rilevanza della questione
 sollevata  che  concerne,   invece,   la   competenza   al   rilascio
 dell'autorizzazione  a eseguire gli impianti, e non l'esame di merito
 che la legge ha risolto una volta  per  tutte  in  linea  generale  e
 astratta.  Il  commissario  si  duole,  infatti, della illegittimita'
 costituzionale  dell'articolo  (unico)  della  legge  della   regione
 Abruzzo  n.  23  del  1996  che,  da un lato, ha modificato il regime
 formale delle competenze, assegnando al sindaco quanto spettava  alla
 Regione,  e  ha  statuito,  dall'altro,  che  gli  impianti a rete si
 configurano, sempre e comunque, come opere  di  urbanizzazione  nelle
 quali si concreta una diversa esplicazione del diritto di godimento a
 favore della collettivita' utente.
   La  questione  e'  stata  sollevata  nel  corso di una controversia
 promossa d'ufficio dal Commissario e radicatasi  nel  contraddittorio
 con  gli  enti  titolari  delle  concessioni per la costruzione degli
 impianti a rete, per  i  servizi  elettrici  e  telefonici,  i  quali
 comportano l'assoggettamento a servitu' di linee aeree di terreni che
 il   rimettente   asserisce   gravati   da  usi  civici.  L'eventuale
 declaratoria di illegittimita' costituzionale della  legge  censurata
 potrebbe  inibire  la  costituzione  delle predette servitu' ai sensi
 degli artt. 6 ss. della legge regionale n. 25 del 1988:  di  qui,  la
 rilevanza.
   3. - Passando quindi al merito, la questione deve essere dichiarata
 fondata.
   L'articolo  unico  della legge della regione Abruzzo n. 23 del 1996
 si pone, infatti, in  irrimediabile  contrasto  con  la  legislazione
 nazionale.
   Le  norme  statali,  contenute  nella legge 16 giugno 1927, n. 1766
 (Sul riordinamento degli usi civici del Regno), e  nell'art.  41  del
 r.d.  26  febbraio  1928,  n. 332 (Regolamento per l'esecuzione della
 legge  n.  1766  del  1927),  richiedono  che  le  limitazioni  o  la
 liquidazione    dei   diritti   di   uso   civico   siano   precedute
 dall'assegnazione dei suoli alla categoria sub lettera  a)  dell'art.
 11  della  legge  n.  1766 e - qualora inclusi in questa - alienati o
 mutati nella destinazione previa l'autorizzazione ministeriale  (art.
 12),   ora  regionale  (art.    66  del  d.P.R.  n.  616  del  1977).
 Autorizzazione che, tuttavia, non assorbe le valutazioni del Ministro
 per i beni culturali e ambientali, ai sensi dell'art. 7  della  legge
 29  giugno  1939,  n. 1479 (v. art.   82, decimo comma, del d.P.R. n.
 616).
   D'altronde, gli artt. 6 ss. della legge regionale sugli usi civici,
 n. 25 del 1988, delineano un complesso procedimento per l'alienazione
 e i mutamenti di destinazione dei suoli civici, con la previsione  di
 vari  momenti di consultazione delle popolazioni interessate, l'invio
 delle istanze alle associazioni maggiormente rappresentative operanti
 nel settore agricolo (art. 6, comma 2), l'affissione  agli  albi  dei
 comuni   interessati   (art.   6,   comma  1),  l'acquisizione  delle
 deliberazioni consiliari comunali (art. 6, comma 3). Questi  articoli
 stabiliscono,  inoltre,  limiti  alla  alienazione  e al mutamento di
 destinazione, che  si  reputano  possibili  soltanto  "per  finalita'
 pubbliche   o  di  interesse  pubblico,  tenendo  anche  conto  delle
 previsioni dei piani paesistici o di assetto del territorio  vigenti"
 (art. 6, comma 7), le cui funzioni sono state trasferite alle regioni
 dall'art. 83 del d.P.R. n. 616 del 1977.
   Oltre a tali disposizioni, menzionate nell'ordinanza di rimessione,
 ne  vanno aggiunte altre riguardanti i territori montani, fra i quali
 rientrano quelli dell'Abruzzo soggetti a usi civici.
   La legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove  disposizioni  per  le  zone
 montane)  ha dettato alcuni principi fondamentali, ai sensi dell'art.
 117 della Costituzione, per la salvaguardia e  la  valorizzazione  di
 dette   aree  che,  conformemente  all'art.  44  della  Costituzione,
 "rivestono carattere di  preminente  interesse  regionale"  (art.  1,
 commi  1  e 2).   E ha statuito che le regioni e le province autonome
 concorrono alla tutela del proprio territorio montano,  nel  rispetto
 dell'art.  4,  comma 6, della Carta europea dell'autonomia locale, di
 cui alla legge di ratifica ed esecuzione 30  dicembre  1989,  n.  439
 ("Le  collettivita'  locali  dovranno  essere  consultate  per quanto
 possibile, in tempo utile e  in  maniera  opportuna,  nel  corso  dei
 processi  di programmazione e di decisione per tutte le questioni che
 le riguardano direttamente").
   Vi  e'  dunque  una  stretta  connessione  fra  "l'interesse  della
 collettivita'  generale  alla  conservazione  degli  usi civici nella
 misura in cui essa contribuisce alla salvaguardia dell'ambiente e del
 paesaggio", in ragione del vincolo paesaggistico di cui alla legge n.
 1497 del 1939, sancito dall'art. 82, quinto comma,  lettera  h),  del
 d.P.R.  n. 616 del 1977, aggiunto dalla legge n. 431 del 1985, che e'
 garantito  dal  potere di iniziativa processuale dei Commissari, e il
 principio  democratico  di  partecipazione  alle  decisioni  in  sede
 locale,  corrispondente  agli interessi di quelle popolazioni, di cui
 sono diventate esponenti le regioni ai sensi degli artt.  117  e  118
 della  Costituzione  (cfr.   la sentenza n. 133 del 1993). Di qui, il
 contrasto della  legge  censurata  con  la  disciplina  statale,  che
 prevede   l'obbligatorieta'   del  procedimento  di  "assegnazione  a
 categoria" dei terreni civici da alienare o mutare nella destinazione
 e postula la compatibilita' del programma di  trasformazione  con  le
 valutazioni  paesistiche. Con cio' determinandosi altresi' disarmonie
 nell'ambito della legislazione regionale, incentrata sul procedimento
 successivo  di  autorizzazione,  che   implica   necessariamente   la
 consultazione  delle  popolazioni  interessate.  La  legge  in  esame
 frustra, invece, entrambi gli interessi in gioco, generali e  locali,
 poiche'  esclude  questi procedimenti ("non ricorrendo la fattispecie
 di cui agli artt. 12 della legge n.  1766  del  1927;  41  del  regio
 decreto  n.  332 del 1928; 6 della legge regionale n. 25 del 1988") e
 attribuisce al sindaco  di  ogni  comune  interessato  il  potere  di
 rilasciare    un'autorizzazione   che   ha   l'effetto   di   rendere
 immediatamente utilizzabili i suoli civici.
   Tutto cio'  sul  presupposto,  astratto  e  generalizzato,  che  la
 realizzazione    degli    impianti    a    rete,    destinati    alle
 telecomunicazioni, al trasporto energetico,  dell'acqua  e  del  gas,
 nonche'  allo  smaltimento  dei  liquami,  costituisca  "una  diversa
 esplicazione del diritto  collettivo  di  godimento  a  favore  della
 collettivita'  utente  e  proprietaria  dei beni" (comma 3 del citato
 articolo unico), mentre tali valutazioni, per gli interessi di  rango
 costituzionale  che vi sono sottesi, non possono non essere concrete:
 cioe', formulate e apprezzate attraverso il coinvolgimento, di  volta
 in volta, delle popolazioni interessate.
   La lesione del canone della ragionevolezza comporta la declaratoria
 di  illegittimita'  costituzionale  della  legge  in  esame, restando
 assorbite tutte le altre denunce formulate.