IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza nella camera di consiglio  del
 4 giugno 1997;
   Visto  l'art.  21,  ultimo  comma,  della legge 6 dicembre 1971, n.
 1034;
   Visto il ricorso proposto da Cinel Giuseppe rappresentato e  difeso
 dagli  avv.ti  Maurizio  Zanchettin  e  Maria  Dolores  Bottari,  con
 elezione di domicilio presso lo studio dell'avv.to Giorgio Pinello in
 Venezia, San Polo 3080/L; contro il comune di Montebelluna in persona
 del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv.to  Gabriele
 Testa,  con  domicilio  presso  la  segreteria  del  t.a.r.  ai sensi
 dell'art.  35 del r.d. 26 giugno 1924 n.  1054;  per  l'annullamento,
 previa  sospensione  dell'esecuzione,  della  delibera  della  giunta
 comunale 6 marzo 1997 n. 213 con cui e' stata respinta  la  richiesta
 del  ricorrente di trasformare il proprio rapporto di lavoro da tempo
 pieno a tempo parziale.
   Visti gli atti e documenti depositati col ricorso;
   Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione  del  provvedimento
 impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
   Visto   l'atto   di   costituzione   in   giudizio  del  comune  di
 Montebelluna, depositato il 2 giugno 1997;
   Udito il relatore consigliere Claudio Rovis e uditi altresi' l'avv.
 Zanchettin per  il  ricorrente  e  l'avv.  G.  Testa  per  il  comune
 intimato;
   Considerato   quanto  segue:  con  il  presente  ricorso  e'  stato
 impugnato, con richiesta di sospensione, il provvedimento con cui  il
 comune  intimato  ha  deliberato  di  non accogliere la richiesta del
 ricorrente di trasformare il rapporto di  lavoro  del  ricorrente  da
 tempo pieno a tempo parziale.
   Il  ricorso  deduce la violazione dell'art. 1, commi 57 e 58, legge
 n.  662  del  23  dicembre  1996   nell'assunto   che   detta   norma
 consentirebbe   all'amministrazione   di   non   accogliere  siffatta
 richiesta di trasformazione del rapporto  solo  nell'ipotesi  in  cui
 l'attivita'  lavorativa  di  lavoro  autonomo  comporti  conflitto di
 interessi  con  la  specifica  attivita'  di  servizio   svolta   dal
 dipendente,   mentre,  in  presenza  di  un  grave  pregiudizio  alla
 funzionalita' dell'Amministrazione, permette solo di  differirne  gli
 effetti di sei mesi.
   Pertanto  nella  decisione  della presente controversia il collegio
 deve fare applicazione di una normativa della  cui  costituzionalita'
 dubita,  posto che dette norme appaiono palesemente irrazionali (art.
 3  della  Costituzione)  e  fanno  anche   venir   meno   l'autonomia
 organizzativa  degli  enti locali costituzionalmente garantita (artt.
 5, 128 della Costituzione).
   Tale  dubbio  di  costituzionalita'  e'  rilevante  ai  fini  della
 decisione   dell'istanza  cautelare  ai  fini  dell'accertamento  del
 requisito del fumus boni juris del ricorso.
   Infatti l'irrazionalita' delle stesse, nel configurare l'accesso al
 tempo parziale come un diritto, ovvero una facolta'  del  dipendente,
 sembra  di  tutta  evidenza.  Invero,  se un diritto siffatto venisse
 massicciamente esercitato  dai  dipendenti,  l'ente  locale  potrebbe
 venire a trovarsi nella pratica impossibilita' di attendere ai propri
 compiti  istituzionali;  evenienza  che non puo' considerarsi neppure
 molto improbabile ed astratta, dato che  le  citate  norme  estendono
 l'accesso  aI  tempo parziale per i dipendenti appartenenti a tutti i
 livelli e a tutte le qualifiche.
   L'applicazione delle norme anzidette, pertanto, rischia di condurre
 a  gravi  ripercussioni  sulla  funzionalita'   organizzativa   delle
 strutture  amministrative  degli enti locali, in quanto vanificano di
 fatto la pianificazione degli organici, in violazione  del  principio
 di  ragionevolezza  organizzativa  (art.  97  della Costituzione), il
 quale impone di  assicurare  la  economicita',  la  speditezza  e  la
 rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa.
   E  cio'  tanto  piu' ove si tenga conto del disposto del successivo
 comma 59, il quale a sua volta impone  di  destinare  i  risparmi  di
 spesa  derivanti dalla trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo
 pieno a tempo parziale secondo le modalita' ivi indicate  e,  quindi,
 impedisce  concretamente  la  possibilita'  di  attivare  processi di
 trasformazione inversi da tempo parziale a tempo pieno.
   A cio' si aggiunga che, in base al comma 45 del  medesimo  art.  1,
 legge  n.  662,  non e' possibile assumere nuovo personale fino al 31
 dicembre 1997; quindi l'ente locale si troverebbe nell'impossibilita'
 di fronteggiare le carenze di  organico  derivanti  da  una  puntuale
 applicazione delle norme in esame.
   Invero  la  possibilita'  di  destinare  solo  il  50 per cento del
 risparmio di spesa a nuove assunzioni,  e  solamente  dopo  l'inutile
 esperimento  delle  procedure  di mobilita' (comma 59 cit.), lasciano
 agevolmente  comprendere  l'impossibilita'  di  sopperire   in   modo
 tempestivo   (tanto   meno   nel   breve   termine  di  soli  6  mesi
 dell'ipotetico "differimento", ai sensi del comma 58) alle carenze di
 organico ed alle disfunzioni organizzative provocate  da  un  accesso
 non programmato a rapporti di lavoro a tempo parziale.
   Si noti altresi' che, a mente del successivo art. 6, comma 4, d.-l.
 28  marzo  1997  n.  79  (convertito in legge dal Senato il 28 maggio
 1997), i dipendenti che hanno trasformato il rapporto  di  lavoro  da
 tempo pieno a tempo parziale, hanno altresi' "diritto" di ottenere il
 ritorno   al   tempo   pieno   alla  scadenza  di  un  biennio  dalla
 trasformazione,  nonche'  alle  successive  scadenze   previste   dai
 contratti  collettivi; inoltre la trasformazione del rapporto a tempo
 pieno  avviene anche in sovrannumero, riassorbibile con le successive
 vacanze.
   Pare dunque che il legislatore,  ammettendo  la  trasformazione  di
 rapporti  di  lavoro  da  tempo  pieno  a  tempo parziale in modo non
 programmato, senza  limitazione  alcuna  e  su  mera  iniziativa  dei
 dipendenti,  abbia  fatto  si'  che  gli enti locali si trovino nella
 pratica   impossibilita'   di   governare   le   proprie    strutture
 organizzative,  di  esercitare  le funzioni e di erogare i servizi in
 modo efficace, in quanto assoggettati alle imprevedibili  scelte  dei
 dipendenti e costretti a modificare continuamente l'organizzazione in
 un  permanente  quanto  irrazionale carosello a ruoli invertiti. Tali
 enti possono venire anche  a  subire  le  diseconomie  connesse  alle
 altrettanto   imprevedibili   ritrasformazioni   "obbligatorie"   dei
 rapporti (da tempo parziale a  tempo  pieno)  entro  breve  lasso  di
 tempo, con ogni onere conseguente ai rientri sovrannumerari.
   Ed  e' appena il caso di osservare come le disposizioni di legge in
 questione sembrino ledere l'autonomia degli enti locali  altresi'  in
 sede  di  contrattazione  collettiva,  la quale ultima anche per tali
 enti viene a discendere dai principi  stabiliti  dell'art.  39  della
 Costituzione.
   Le  ragioni  appena  accennate  sembrano  sufficienti  ad  eccepire
 l'incostituzionalita' delle  norme  in  questione,  quantomeno  nella
 parte  in  cui  le  stesse  non consentono all'ente locale di negare,
 anziche' solamente di differire, la trasformazione  del  rapporto  da
 tempo   pieno  a  tempo  parziale,  ogniqualvolta  la  trasformazione
 richiesta   dal   dipendente   possa   arrecare   pregiudizio    alla
 funzionalita'  organizzativa  dell'amministrazione  di  appartenenza,
 anziche' migliorarla.
   Per le  suesposte  considerazioni,  a  norma  dell'art.  23,  comma
 secondo,  della legge 11 marzo 1953 n. 87, va disposta la sospensione
 del giudizio instaurati con il ricorso in epigrafe, e la trasmissione
 degli   atti   alla   Corte   costituzionale   per   la   risoluzione
 dell'incidente di costituzionalita' di cui trattasi.