IL TRIBUNALE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  230/97  r.g.  promossa  da  Istituto  nazionale  della previdenza
 sociale,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.  dott.  Luigi  Mosna  e
 dall'avv.     dott.  Manfred  Pliger,  appellante,  contro  Racchetti
 Giampaolo, rappresentato e difeso  dall'avv.  dott.ssa  Sonia  Boetti
 Palazzi, appellato.
   In  punto:  appello  avverso  la  sentenza n. 523/96 del pretore di
 Bolzano;
   Esaminati gli atti di causa;
   Ritenuto che l'appellante sollecita una  interpretazione  letterale
 del  disposto dell'art. 1, comma 2, lett. c), della legge 14 novembre
 1992,  n.  438,   mentre   l'appellato,   ove   non   sia   condivisa
 l'interpretazione    adeguatrice    del    pretore,    denunzia    la
 incostituzionalita' della norma; Osserva e ritiene
   I. - Se e' fondamentale canone ermeneutico che la  norma  giuridica
 debba essere interpretata innanzi tutto e principalmente dal punto di
 vista  letterale,  non  potendosi al testo "attribuire altro senso se
 non quello fatto palese dal significato proprio delle parole  secondo
 la   connessione  di  esse",  nondimeno  l'esistenza  di  una  chiara
 formulazione grammaticale della norma non e' sufficiente per limitare
 l'interpretazione all'elemento letterale, occorrendo altresi' che  il
 senso  reso  palese  dal significato proprio delle parole, secondo la
 loro connessione,  non  si  ponga  in  contrasto  con  argomentazioni
 logiche  sull'intenzione  del  legislatore  (Cass., 5 aprile 1978, n.
 1549),  di  talche',  nella  ricerca  del  significato  delle   norme
 giuridiche,  l'interprete  non  assolve  al suo compito se si arresta
 alla sola espressione letterale delle stesse, ma deve, in ogni  caso,
 ricavarne  la  ratio  oggettivamente in esse immanente e da desumere,
 attraverso la individuazione del fondamento e dello scopo delle norme
 medesime, e tenendo in ogni caso presente  la  funzione  delle  norme
 costituzionali, in quanto integratrici di quelle ordinarie (Cass., 12
 novembre 1977, n. 4909).
   In  particolare,  dopo  l'avvento  della  Costituzione,  poiche'  i
 principi posti da una costituzione non flessibile investono  l'intero
 ordinamento  e  funzionano  come  criteri  di ermeneutica delle leggi
 ordinarie, se una norma si presta a diverse interpretazioni,  di  cui
 ciascuna  produce effetti di maggiore o minore ampiezza e intensita',
 l'interpretazione da scegliersi e' quella piu' aderente al  principio
 costituzionale.
   In  questo  ordine di idee (cd. interpretazione adeguatrice), si e'
 affermato che l'interprete deve operare nella costante considerazione
 della Costituzione, che costituisce la norma primaria, da  cui  tutte
 le  altre  promanano,  per  modo  che,  ove  una  norma  di legge sia
 suscettibile  di  piu'  risultati  interpretativi,  uno   dei   quali
 costituzionalmente  illegittimo,  il  dubbio  e'  soltanto apparente,
 giacche' esso deve essere superato e risolto, attribuendo alla  norma
 un significato conforme alla Costituzione e alle leggi costituzionali
 (Cass.,  3  gennaio  1984,  n. 7; in tal senso anche Corte cost.,  14
 luglio 1988, n. 823).
   Il criterio ermeneutico da  privilegiare,  tra  le  piu'  possibili
 interpretazioni  della  legge,  quella  maggiormente  rispondente  ai
 principi costituzionali, peraltro, vale nei soli casi  nei  quali  vi
 sia effettiva incertezza sulla reale intenzione del legislatore e non
 anche  quando  la  mens legis traspaia chiaramente dalla formulazione
 letterale della  norma,  in  correlazione  logica  con  il  complesso
 normativo nel quale e', sistematicamente, inserita: in tal caso unico
 rimedio   offerto   all'ordinamento  e'     costituito  dal  giudizio
 incidentale di legittimita' costituzionale (Cons.  Stato,  13  maggio
 1985, n. 163).
   In  altri termini: ove dalla lettera della legge apparisca chiara e
 sicura la volonta' del legislatore, non e' consentito  all'interprete
 di  sostituire  a  tale  volonta' un'altra contraria, solo perche' la
 ritenga piu' rispondente alle supposte finalita' della norma  stessa.
 E  cio' con peculiare vincolo, ove la norma in esame sia espressa con
 uso di un termine giuridico (v. in inciso, Cass., 31 marzo  1987,  n.
 3097:  "Il  criterio  del  significato  letterale - costituente norma
 fondamentale a tutela della certezza del diritto e  mezzo  preminente
 per  l'interpretazione  di  una  legge - peraltro, postula l'assoluta
 univocita' del significato delle parole  adoperate  dal  legislatore:
 ora, mentre l'univocita' puo' ritenersi insita nell'uso di un termine
 giuridico  (tanto piu' che il codice civile vigente e' caratterizzato
 dalla precisione della terminologia giuridica) o tecnico, altrettanto
 non puo' affermarsi per le parole tratte dal  linguaggio  comune,  il
 cui significato sia plurivalente o soggetto a mutamenti nel tempo".
   Nella  specie,  pur  prendendo  atto  delle  discrasie emerse dalla
 indagine letterale, logica e sistematica condotta da pretore, si deve
 notare che la dizione in esame ("I lavoratori ...  per  i  quali  sia
 intervenuta   l'estinzione  del  rapporto  di  lavoro"),  se  non  e'
 connotata  da  espressa  reiterazione  della  dizione  "i  lavoratori
 dipendenti",  ricorrente  nelle  formulazioni di deroga sub lett. b),
 e), g), trova identica connotazione letterale nell'inscindibile nesso
 con il "rapporto di lavoro", in termini non compatibili con il lavoro
 autonomo, se non per operazione additiva dell'interprete.
   II. - La difesa del ricorrente appellato, in linea subordinata,  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale della norma di cui
 all'art.  1, comma 2, lett. c), della legge 14 novembre 1992, n. 438,
 per violazione degli artt. 3 e 38 della Costituzione.
   Le  ragioni  ivi  dedotte  (come   le   ragioni   della   disattesa
 interpretazione  adeguatrice  del  pretore),  condivise nei limiti di
 ritenuta non manifesta infondatezza, si possono cosi' riepilogare:
     la ratio della deroga  in  esame  al  blocco  delle  pensioni  di
 anzianita'  e'  di  tutela  dei   lavoratori rimasti privi di lavoro,
 esposti a grave danno dallo ius  superveniens,  con  la  cautela  del
 requisito  di  anteriore ammissione alla prosecuzione volontaria, per
 assicurare   che   la   cessazione   dell'attivita'   lavorativa  sia
 intervenuta in epoca non sospetta;
     eadem ratio ricorre per lavoratori  dipendenti  ed  autonomi,  di
 talche'   l'esclusione   dalla   deroga   dei   lavoratori   autonomi
 configurerebbe una irrazionale  discriminazione  di  trattamento,  in
 violazione dell'art.  3 della Costituzione.
   Sarebbe   altresi'   violato   l'art.   38,   secondo  comma  della
 Costituzione,  poiche'  i  lavoratori  autonomi  verrebbero  privati,
 quantomeno per un periodo, di quella tutela economica che il rapporto
 assicurativo   aveva  loro  garantito  al  momento  della  cessazione
 dell'attivita' di lavoro e della successiva prosecuzione  volontaria,
 privandoli,  con  norma  successiva, non prevedibile al momento della
 loro scelta, del mezzi adeguati, gia' loro garantiti dalla  legge.
    La sollevata questione, di rilevanza dirimente  in  giudizio,  non
 appare  manifestamente  infondata  e va devoluta ad esame della Corte
 costituzionale.
   Conseguentemente, sospeso il giudizio,  gli  atti  dovranno  essere
 trasmessi alla Corte costituzionale.