ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 2,
 n. 2, della legge  5  agosto  1978,  n.  457  (Norme  per  l'edilizia
 residenziale  pubblica)  e  22,  primo  comma, lettera e) della legge
 regione   Lombardia   5   dicembre   1983,    n.    91    (Disciplina
 dell'assegnazione   e  della  decadenza  degli  alloggi  di  edilizia
 residenziale pubblica), in relazione all'art. 2, comma 1, lettera  d)
 della  stessa  legge, promosso con ordinanza emessa il 3 ottobre 1996
 dal t.a.r. per la Lombardia sul ricorso proposto da Fausto  Tartaglia
 contro  il comune di Milano, iscritta al n. 71 del registro ordinanze
 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  10,
 prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 12  novembre  1997  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti.
   Ritenuto   che   il   tribunale  amministrativo  regionale  per  la
 Lombardia, adito per l'annullamento di un provvedimento di  decadenza
 dall'assegnazione  di  un  alloggio di edilizia residenziale pubblica
 emanato dal sindaco del comune di Milano, con ordinanza del 3 ottobre
 1996, ha sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  degli
 artt.  2,  secondo  comma,  n.  2,  della legge 5 agosto 1978, n. 457
 (Norme per l'edilizia  residenziale  pubblica)  e  22,  primo  comma,
 lettera  e),  in relazione all'art. 2, primo comma, lettera d), della
 legge  regione  Lombardia  5  dicembre  1983,   n.   91   (Disciplina
 dell'assegnazione   e  della  decadenza  degli  alloggi  di  edilizia
 residenziale pubblica) e successive modifiche,  in  riferimento  agli
 artt. 3, 115, 117 e 118 della Costituzione;
     che,  ad  avviso  del  rimettente, l'art. 2, secondo comma, n. 2,
 della legge n. 457 del 1978 violerebbe gli   artt.  115,  117  e  118
 della Costituzione, in quanto attribuisce ad un organismo governativo
 il   potere  di  fissare    "principi  direttivi"  che  vincolano  il
 legislatore regionale, senza stabilire criteri in grado  di  limitare
 ed  orientare  la  discrezionalita'  dell'esecutivo  in  una  materia
 trasferita alle regioni;
     che, secondo il t.a.r., la norma regionale  censurata  recherebbe
 vulnus   all'art.  3  della  Costituzione,  in  quanto  contempla  la
 decadenza dall'assegnazione nel caso di percezione di un  reddito  di
 natura  immobiliare  che  superi una determinata soglia, senza tenere
 conto  di  quello  globale  del  nucleo  familiare dell'assegnatario,
 nonche', in linea gradata, violerebbe  gli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione,  dato che prevede la decadenza anche qualora il reddito
 non  derivi  dalla  titolarita'  di  diritti  reali   su   "alloggi",
 diversamente  da  quanto  stabilito dal paragrafo 3  lettera d) della
 deliberazione del Comitato interministeriale  per  la  programmazione
 economica  (di seguito, Cipe) 19 novembre 1981, prescrittiva, ex art.
 2, secondo comma, n. 2, della legge n. 457 del 1978, di un "principio
 direttivo" che vincola il legislatore regionale;
     che, per i giudici a quibus in via ancora  piu'  subordinata,  la
 disposizione  della legge regionale lombarda censurata contrasterebbe
 anche con gli artt. 3, 117 e 118 della  Costituzione,  in  quanto  la
 regione  avrebbe  dovuto conformare la norma all'art. 11 del d.-l.  8
 agosto 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto  1992,  n.  359,
 recante un "principio fondamentale" nella materia;
     che  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri, intervenuto nel
 giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello  Stato,  ha
 chiesto  che  la questione sia dichiarata infondata, o, comunque, sia
 ordinata la restituzione degli atti, affinche' il t.a.r.  proceda  al
 riesame  della  rilevanza, tenendo conto della deliberazione del Cipe
 del  13 marzo 1995.
   Considerato che i giudici  a  quibus  dubitano  della  legittimita'
 costituzionale  della  norma  della legge regionale lombarda in esame
 sostenendo che, in relazione ai criteri stabiliti nella deliberazione
 Cipe del 19 novembre 1981, si porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  3
 della   Costituzione,   nonche'   con  gli  artt.  117  e  118  della
 Costituzione;
     che il Cipe, con la deliberazione 13 marzo 1995, ha dettato nuovi
 criteri  generali  per  l'assegnazione  degli  alloggi  di   edilizia
 residenziale  pubblica,  innovando  parzialmente  la  disciplina  dei
 relativi  requisiti  e  dei  casi  nei  quali   l'assegnazione   puo'
 costituire oggetto di annullamento o di revoca;
     che,  nonostante  la modificazione dei criteri per l'assegnazione
 degli alloggi e  per  l'adozione  dei  suddetti  atti  estintivi  sia
 intervenuta anteriormente alla pronunzia dell'ordinanza di rimessione
 ed  all'emanazione del provvedimento impugnato, il Tar non ha affatto
 preso   in   esame   tale   ultima   deliberazione   del   Cipe    e,
 conseguentemente,  ha del tutto omesso di esplicitare se il mutamento
 del quadro di riferimento abbia eventualmente inciso, ed entro  quali
 limiti, sulla fattispecie sottoposta al suo esame;
     che  la  mancanza  di  ogni specificazione al riguardo si risolve
 nella assoluta carenza di motivazione in  ordine  alle  ragioni  che,
 secondo  i  giudici  a  quibus  inducono  comunque  a far ritenere la
 perdurante rilevanza della questione;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.