IL PRETORE Parte ricorrente ha ipotizzato l'incostituzionalita' della disposizione di cui all'art. 32, comma 2, legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificata dall'art. 5, commi 6 e 7, del d.-l. 2 ottobre 1995, n. 415, convertito, con modificazioni, in legge con legge 29 novembre 1995 n. 507, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; La disposizione prevede una maggiorazione dei canoni locativi di immobili dello Stato destinati ad uso abitativo, concessi o locati a privati, attuata mediante la moltiplicazione del canone dovuto per l'anno 1994 per un coefficiente fisso: 2,5 o 5, a seconda che il reddito complessivo del nucleo familiare dell'utilista, riferito all'anno 1993, non superi o superi l'importo di L. 80.000.000, con effetto dal 1 gennaio 1995. I citati commi 5 e 6 decreto -legge n. 415/95 prevedono una rateizzazione nei pagamenti e un tetto massimo corrispondente alla misura della media dei prezzi praticati in regime di mercato per immobili aventi caratteristiche analoghe. La questione e' evidentemente rilevante ai fini della decisione della controversia, perche' parte ricorrente chiede accertarsi, previo annullamento delle norme indicate, che il canone dovuto per la conduzione dell'immobile concessole in locazione, con contratto stipulato nell'ambito dei rapporti di diritto privato, e' quello di cui agli artt. 12 e 24 legge n. 392/78 e, a quanto pare, le norme stesse sono applicabili anche a questo tipo di rapporti (nessuna esclusione ne' esplicita ne' implicita risulta dal sistema legislativo, come confermato anche dall'esame dei lavori preparatori: nella seduta della Commissione finanza e tesoro del Senato del 23 novembre 1994, il relatore, nel rispondere a una domanda specifica, precisa che la disposizione concerne anche i rapporti locativi per i quali si applica il c.d. "equo canone"). Secondo parte ricorrente, il sistema normativo richiamato violerebbe l'art. 3 della Costituzione sotto un duplice profilo. Il primo attiene alla diversita' di disciplina concernente conduttori di immobili ad uso di abitazione che possono trovarsi in simili condizioni personali, sociali e di reddito. Si legge nel ricorso introduttivo del giudizio: "Da una parte, infatti, ci sono cittadini che hanno in locazioni immobili delle amministrazioni decentrate dello Stato (provincie, regioni, comuni nonche' i cittadini che si trovano a locare i beni patrimoniali adibiti all'abitazione e gestiti dall'I.A.C.P.) che usufruiscono della legge n. 392/1978; dall'altra sempre gli stessi cittadini che per il solo fatto di trovarsi in locazione in un immobile gestito direttamente dallo Stato si vedono quintuplicato" (o moltiplicato per 2.5) "il canone di locazione". Il secondo profilo attiene alla distinzione tra conduttori con diverse capacita' economiche, distinzione che appare effettuata in maniera grossolana, con la previsione di due sole fasce di reddito e di un "salto" unico di enormi dimensioni. E cosi' conduttori con disponibilita' economiche pressoche' uguali - quelli che godono di un reddito annuo pari a L. 80.000.000 e quelli che godono di un reddito anche di una lira superiore - vengono trattati in maniera pesantemente diversa: il corrispettivo dovuto dai secondi risulta doppio rispetto a quello dovuto dai primi, senza vie intermedie. Per quanto attiene al primo dei profili indicati, potrebbe obbiettarsi che l'indicata disparita' di trattamento concerne situazioni non uguali e puo' essere giustificata dall'esigenza (di carattere finanziario) di predisporre una disciplina di "favore" per lo Stato, restando estranea al sindacato di costituzionalita' ogni valutazione sull'opportunita', l'equita' e la reale utilita', in relazione ai fini che appaiono perseguiti, della scelta operata dal legislatore. Ad avviso del giudicante, peraltro, quanto rilevato da parte ricorrente va integrato con le seguenti considerazioni. Le norme in questione non si limitano a modificare la misura dei canoni relativi ai "beni patrimoniali dello Stato, concessi o locati a privati", ma dispongono altresi' che tale modificazione abbia effetto dal 1 gennaio 1995, chiaramente anche in corso di rapporto, con grave danno per l'utilista, al quale non resta che accettare l'imposizione o chiedere la risoluzione del rapporto stesso. Se questo puo' ritenersi "giustificato" nell'ipotesi di beni dati in concessione, che, almeno in linea generale, e' revocabile, altrettanto non e' per i beni dati in locazione (come nel caso oggetto del presente giudizio) mediante un contratto, relativamente al quale lo Stato ha operato, come si e' soliti dire, iure privatorum. Il conduttore ha stabilito con il locatore condizioni (tra le quali fondamentale quella relativa al canone dovuto per la prevista durata del rapporto: nel caso lo stesso risulta rinnovato fino al 30 giugno 1997) trattando su un piano di parita' e facendo legittimo affidamento sul rispetto di tali condizioni da parte dell'altro contraente. Vero e' che, secondo quanto generalmente si ritiene, l'autonomia privata non e' di per se' tutelata dalla Costituzione. Tuttavia, appare in contrasto con il principio di uguaglianza, costituzionalmente garantito, una norma che alteri (in maniera pesantissima a favore del locatore) il contenuto di contratti gia' in essere, individuando l'ambito dell'intervento su basi non oggettive, ma esclusivamente soggettive: sono interessati soltanto i contratti in cui locatore e' lo Stato, quando questo aveva scelto di operare in una posizione identica a quella di qualunque altro locatore soggetto di diritto privato, il quale, invece, continua ad essere tenuto al pieno rispetto del contratto stipulato.