LA CORTE DEI CONTI
   Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio    di
 responsabilita',  iscritto  al  n.  38-r  del registro di segreteria,
 promosso a  istanza  del  vice  procuratore  generale,  con  atto  di
 citazione  n.  1729B  in  data  16 luglio 1996, nei confronti di Ciro
 Manna, nato a Napoli il 24 ottobre 1948, assistito e difeso dall'avv.
 Ettore Alinghieri.
   Uditi, nella pubblica udienza del  5  dicembre  1996,  il  relatore
 consigliere  Antonio  Scudieri,  l'avv. Ettore Alinghieri, nonche' il
 pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale Ermete
 Bogetti.
   Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.
                           Ritenuto in fatto
   Il 18 dicembre 1983, lungo l'autostrada "A/12" in prossimita' dello
 svincolo  di  Genova-Nervi,  a  seguito  di  sbandamento,   l'autobus
 militare  Fiat Iveco, targato MM/20952 fuoriusci' dalla sede stradale
 precipitando dal viadotto "Rio Castagna" nel vallone sottostante  con
 conseguente  decesso  del  conducente  e  di trentaquattro passeggeri
 nonche' lesioni gravissime in  danno  dei  tre  sopravvissuti,  tutti
 marinai ad eccezione di un civile.
   Risulta dagli atti che i danni riportati dall'automezzo, in seguito
 al sinistro, ammontano a complessive lire 58.605.079.
   Con sentenza n. 1115 in data 24 ottobre 1988 il tribunale di Genova
 assolveva  per insufficienza di prove il sottufficiale Ciro Manna dal
 reato di omicidio colposo plurimo aggravato e dal  reato  di  lesioni
 gravissime  plurime aggravate, imputati al militare - in cooperazione
 con altri -  per  non  avere,  nella  sua  qualita'  di  capo-reparto
 automezzi  presso  lo  stabilimento  di  munizionamento  navale della
 Marina  militare  di  Aulla,  controllato  lo  stato  di  usura   dei
 pneumatici  del  predetto  mezzo  militare  anche  in  occasione  del
 rilascio da parte sua del foglio di marcia per il viaggio fuori  sede
 del 18 dicembre 1983.
   Successivamente, la Corte di appello di Genova con sentenza in data
 26  maggio 1992, nel dichiarare di non doversi procedere a carico del
 sottufficiale Ciro Manna per i reati di omicidio colposo plurimo e di
 lesioni  gravissime  plurime  a  causa  dell'estinzione  dei   reati,
 rispettivamente   per   intervenuta   prescrizione  e  per  amnistia,
 riconosceva espressamente in motivazione l'imputato responsabile  per
 colpa, in concorso con altri, dell'incidente  stradale.
   Con  la  sentenza  n.  5716  in  data  11 dicembre 1992 la Corte di
 cassazione  confermava,  rigettando  il  ricorso  dell'imputato,   la
 decisione  della Corte d'appello di Genova. La suprema Corte, come si
 evince dalla motivazione della sentenza, condivise le valutazioni dei
 giudici di secondo grado  sul  comportamento  negligente  tenuto  dal
 Manna  -  in  violazione  dei  propri obblighi di servizio quale capo
 dell'auto-reparto e capo dell'autorimessa  -  in  sede  di  controllo
 dell'efficienza dell'automezzo all'uscita dallo stabilimento Marimuni
 di   Aulla,  comportamento  che  -  anche  secondo  i  giudici  della
 legittimita' - rappresento' una  concausa  dell'evento,  non  essendo
 stato  interrotto il nesso causale da altra causa sufficiente da sola
 a determinare l'evento.
   In relazione a tali fatti, il vice procuratore  generale  -  previo
 invito  a  dedurre notificato al sig. Manna in data 25 novembre 1995,
 ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.-l. 15 novembre  1993,  n.  453,
 convertito  con  modificazioni  dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, e
 previo esame delle deduzioni da questi prodotte - con atto in data 16
 luglio 1996, lo citava a  comparire  davanti  a  questa  Sezione  per
 sentirlo condannare al risarcimento in favore dell'erario della somma
 di   lire  11.721.000  (undicimilionisettecentoventunomila)  oltre  a
 rivalutazione monetaria e interessi legali con  le  decorrenze  sopra
 indicate,  nonche'  alle  spese  di  giudizio, quale responsabile, ai
 sensi del combinato disposto dell'art. 23 del decreto del  Presidente
 della Repubblica 5 giugno 1976, n. 1076, e degli artt. 18 e segg. del
 decreto  del  Presidente  della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, del
 danno "diretto" cagionato all'Amministrazione militare,  con  riserva
 di   ogni   altra  azione  in  ordine  ai  danni  "indiretti"  (somme
 corrisposte ai danneggiati o alle famiglie delle vittime a titolo  di
 equo   indennizzo,   pensione   privilegiata,  speciale  elargizione,
 sussidio; danni tuttora da liquidarsi in sede  di giudizio  civile  a
 seguito  delle azioni intentate avverso l'Amministrazione militare da
 parte di quasi tutti i danneggiati; rifusione delle spese di giudizio
 alle parti civili costituite nel procedimento penale).
   Il  p.m.  ritiene  che  al  Manna  vada imputata la responsabilita'
 dell'incidente  sia  pure  in  misura  minore  rispetto   all'autista
 dell'automezzo,  quest'ultimo deceduto in seguto al sinistro; poiche'
 il danno in questione risulta  determinato  in  lire  58.605.079,  al
 convenuto  andrebbe  ascritta  la  quinta  parte di esso, pari a lire
 11.721.000.
   Cio' posto, considera  tuttavia  l'attore  che  la  responsabilita'
 amministrativa  de  qua  va  imputata  al  convento a titolo di colpa
 "lieve", riconoscendo che la condotta del Manna e'  priva  di  quelle
 connotazioni  tipiche  della  colpa  grave.  Conseguentemente sarebbe
 preclusa  l'azione  del  p.m.  a  causa   della   limitazione   della
 responsabilita'  nella materia della contabilita' pubblica ai fatti e
 alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, introdotta  dall'art.
 3  del  d.-l. 22 giugno 1996, n. 333, laddove modifica l'art. 1 della
 legge 14 gennaio 1994 n.  20.
   Ritiene, peraltro, il pubblico ministero che la disposizione de qua
 sia  contenuta  in  un  atto  normativo  adottato  in  violazione  di
 disposizioni    costituzionali    e    che,   di   conseguenza,   sia
 incostituzionale essa stessa. La norma, inoltre, appare in  contrasto
 con la carta costituzionale anche per il suo contenuto precettivo.
   Egli  pertanto, dopo articolate argomentazioni, eccepisce, ai sensi
 dell'art. 23,  primo  comma,  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 22 giugno 1996,
 n. 333, nella parte in cui modifica l'art. 1, comma 1, della legge 14
 gennaio  1994,  n.  20,  limitando  la  responsabilita'  dei soggetti
 sottoposti alla giurisdizione della Corte dei  conti  in  materia  di
 contabilita'  pubblica  ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o
 colpa  grave,  per  contrasto  con  gli  artt.  3,  70  e  77   della
 Costituzione, eccezione che si e' dimostrato essere rilevante ai fini
 del  presente giudizio, e, conseguentemente, ai fini dell'art. 43 del
 regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, dell'art.   5,  comma  1,  del
 d.-l.  15  novembre  1993, n. 453, convertito con modificazioni dalla
 legge 14 gennaio 1994, n. 19, nonche' dell'art. 23  del  decreto  del
 Presidente   della  Repubblica  5  giugno  1976,  n.  1076,  e  delle
 disposizioni ivi richiamate.
   Il  convenuto  si  e'  costituito  in  giudizio  mediante  comparsa
 depositata  dal  difensore  avv.  Ettore  Alinghieri  del  foro di La
 Spezia.
   All'odierno dibattimento sono intervenute  le  parti  per  ribadire
 sostanzialmente le argomentazioni scritte.
                         Considerato in diritto
   Il  Collegio osserva preliminarmente che, secondo la prospettazione
 che precede, nonche' sulla  base  delle  risultanze  istruttorie,  la
 responsabilita'  amministrativa  viene ascritta al convenuto a titolo
 di  colpa  c.d.  "lieve",  in  quanto  l'elemento   soggettivo,   che
 caratterizza  la  condotta   del sig. Ciro Manna, e'  privo di quelle
 connotazioni che la  giurisprudenza  ha  riconosciuto  tipiche  della
 colpa grave.
   Risulterebbe,   di  conseguenza,  preclusa  l'azione  del  pubblico
 ministero a  causa  della  limitazione  della  responsabilita'  nella
 materia  della  contabilita'  pubblica  ai  fatti  e  alle  omissioni
 commessi con dolo o colpa grave, introdotta dall'art. 3 del d.-l.  22
 giugno  1996, n.  333, nella parte in cui modifica l'art. 1, comma 1,
 della legge 14 gennaio 1994, n. 20; norma piu'  volte  reiterata  con
 ulteriori decreti-legge e, da ultimo, riprodotta nel d.-l. 23 ottobre
 1996   n.   543   (che,   nelle   more  della  stesura  del  presente
 provvedimento, e' stato convertito nella legge 20 dicembre  1996,  n.
 639).
   Secondo  l'attore  il  conseguente  quadro  normativo  urta  con il
 disegno costituzionale per due ordini di motivi.
   In primo luogo, egli sospetta della legittimita' costituzionale del
 d.-l. 22 giugno 1996, n. 333, in quanto rappresenta il decimo di  una
 serie  continua  di  "provvedimenti  provvisori"  con  forza di legge
 adottati dal Governo in materia di ordinamento della Corte dei  conti
 al  riguardo prospetta dubbi in ordine alla effettiva sussistenza dei
 requisiti di necessita' e di  urgenza  previsti  dall'art.  77  della
 Costituzione,  adombrando  una  vera  e propria attivita' legiferante
 (illegittima) del Governo, richiamando l'art. 70 della Costituzione.
   Secondariamente,  in  relazione  al  contenuto   precettivo   della
 disposizione  in  questione, osserva che l'effetto di assoggettare ad
 identico regime di responsabilita'  amministrativa  comporti  che  il
 legislatore   ha  tradizionalmente  regolato  distintamente  (secondo
 criteri di maggiore o minore complessita' ovvero  rischiosita'  delle
 funzioni,  ecc.)  e che continua a distingere al di fuori dell'ambito
 della giurisdizione della Corte dei conti (come l'immutata disciplina
 dell'azione risarcitoria che l'amministrazione danneggiata -  ove  si
 determini  in  tal  senso  -  esercita costituendosi parte civile nel
 giudizio penale per i danni conseguenti al reato colposo del  proprio
 dipendente,  come,  ad  esempio, nei casi di disastro colposo, che si
 ricordano per  le  notevoli  analogie  con  quello  che  ci  occupa),
 contrasta  con  il  principio di uguaglianza, di cui all'art. 3 della
 Costituzione, sia perche' nell'ambito della  giurisdizione  contabile
 vengono omogeneizzate situazioni non omogenee, sia in quanto analoghe
 situazioni  verrebbero  assoggettate a regimi giuridici a seconda del
 giudice che e' chiamato a pronunciarsi.
   Conclude il pubblico ministero ricordando che  il  principio  della
 "perdurante  identita'  della  norma  pur  nel  mutamento  dello  jus
 superveniens", affermato dalla  Corte  costituzionale  nella  recente
 sentenza  n. 84 del 1986 (e ribadito nell'ordinanza n. 197/1996), gli
 consente di non eccepire  inutilmente  fin  da  ora  l'illegittimita'
 costituzionale  della  disposizione  in questione, in quanto, ove, al
 momento del giudizio, la stessa sia stata riprodotta in un diverso  e
 successivo  atto  normativo,  tanto  che si tratti ancora di un d.-l.
 quanto che si sia giunti alla conversione in legge della stessa o  di
 successiva  identica disposizione, l'eccezione deve intendersi estesa
 alla norma allora vigente. Parimenti, il giudice  remittente  sarebbe
 posto   in   condizione   di  sollevare  utilmente  la  questione  di
 costituzionalita' anche con riferimento a norme non  assistite  dalla
 stabilita'   della   legge   ordinaria   al   momento  dell'emissione
 dell'ordinanza  che  introduce   il   giudizio   sulla   legittimita'
 costituzionale delle medesime.
   Il    Collegio,    pur   condividendo   pienamente   le   suesposte
 considerazioni, non puo'  non  tener  conto  che,  nelle  more  della
 definizione  del presente provvedimento, il decreto-legge n. 333/1996
 - cui si riferisce il pubblico ministero - non e'  stato  convertito,
 mentre il d.-l. n.  543/1996 (ultimo della serie prima richiamata) e'
 divenuto   legge   dello  Stato  e  la  disposizione  concernente  la
 limitazione della responsabilita' ai soli casi di colpa grave o  dolo
 e' stata riprodotta all'art. 3.
   L'avvenuta  conversione  in legge ordinaria si colloca all'indomani
 della pronuncia della Corte costituzionale n. 360 del  17-24  ottobre
 1996,  con  cui  il  giudice  delle leggi, dopo aver stigmatizzato il
 comportamento del Governo caratterizzato dal  continuo  ricorso  allo
 strumento   del   decreto-legge,   ha  dichiarato  la  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 6, comma 4, del d.-l. 6 settembre  1996,  n.
 462,  non  senza  richiamare  l'attenzione  del  Governo stesso e del
 Parlamento  sulle  difficolta'  di  ordine  pratico  derivanti  dalla
 pronuncia,  avuto  riguardo  ai  numerosi  decreti-legge  piu'  volte
 reiterati e ancora in corso di  vigenza.  Talche'  il  Parlamento  ha
 provveduto  a  porre  rimedio  alle  situazioni  di  pendenza  ancora
 esistenti,  trasformando  in  legge  ordinaria  tutta  una  serie  di
 decreti-legge,  tra  cui  quello  concernente talune norme in tema di
 controllo e di giurisdizione della Corte dei conti.
   Siffatta conclusione consente di superare la prima censura proposta
 dal  pubblico  ministero,  vale  a   dire   quella   riguardante   la
 legittimita'  del  decreto-legge n. 333 in se, poiche' la circostanza
 della sua mancata conversione rende irrilevante la questione.
   Sussiste invece la seconda  censura,  cioe'  quella  pertinente  al
 precetto  normativo  contenuto  nella  norma ormai legge dello Stato,
 secondo  cui  "la  responsabilita'  dei  soggetti   sottoposti   alla
 giurisdizione  della  Corte  dei  conti  in  materia  di contabilita'
 pubblica e'... limitata a fatti ed alle omissioni commessi con dolo e
 con colpa grave...".
   La censura sussiste e puo' trovare ingresso nel  presente  giudizio
 anche  se  proposta  con  riferimento  al  decreto-legge  n. 333, non
 convertito, in quanto trattasi di disposizione "trasferita"  in  toto
 nel  decreto-legge  n.  543,  a  sua  volta convertito nella legge 20
 dicembre 1996 n. 639 (Corte costituzionale sentenza n. 360 citata).
   Ritiene, pertanto, il  Collegio  di  dover  sollevare  al  riguardo
 questione  di  costituzionalita', considerando, in punto di rilevanza
 che:
     a) la nuova disciplina e' estesa ai giudizi in corso in virtu' di
 quanto  disposto  dal  secondo   comma   dell'art.   3   del   citato
 decreto-legge n. 543;
     b)  questo  giudice,  ritenuta  la  sussistenza nei confronti del
 convenuto  della  colpa  normale,  e'  chiamato  ad  applicare  nella
 fattispecie propria la disciplina della cui costituzionalita' dubita.
   In punto di non manifesta infondatezza va considerato che:
     a) la indiscriminata e generalizzata limitazione introdotta dalla
 disposizione  de  qua viola il principio secondo cui per i dipendenti
 pubblici deve valere la regola della comune resonsabilita' per  colpa
 lieve,  la  quale,  semmai,  puo'  subire  delle deroghe ad opera del
 legislatore, in relazione alle varie categorie di dipendenti  o  alle
 particolari  situazioni  regolate,  avendo comunque l'obiettivo della
 salvaguardia delle garanzie costituzionali del buon  andamento  della
 pubblica  amministrazione  nonche'  del controllo contabile; siffatto
 principio e' enucleabile  dalla  giurisprudenza  della  stessa  Corte
 costituzionale  formatasi  in  materia (sentenze nn. 112 del 1973, 54
 del 1975, 164 del 1982 e 1032 del 1988);
     b) appare, pertanto, del  tutto  irragionevole  il  generalizzato
 livellamento   al   piu'   intenso  grado  della  colpa  grave  della
 responsabilita' contabile, specialmente  ove  si  tenga  conto  delle
 considerazioni  svolge  dal  pubblico  ministero  circa  l'effetto di
 assoggettare  a  identico  regime comportamenti che il legislatore ha
 sempre regolato distintamente, con conseguenze negative in  relazione
 al    principio    dell'uguaglianza,    poiche'   nell'ambito   della
 giurisdizione contabile si verifica l'omogeneizzazione di  situazioni
 niente affatto omogenee;
     c)  l'anzidetta  generalizzata  limitazione di responsabilita' si
 concretizza  in  una  sostanziale  sottrazione  alla   giurisprudenza
 contabile,  di  una  serie  di  comportamenti  lesivi  del patrimonio
 pubblico la cui tutela e' prevista dalla  Costituzione  ed  essa,  ai
 sensi  del  secondo  comma  dell'art. 103, e' affidata alla Corte dei
 conti;
     d) a cio' si aggiunga che le  considerazioni  svolte  dall'attore
 (che  qui  si richiamano integralmente) vanno condivise anche laddove
 esse   pongono   in   risalto   l'ulteriore    effetto    consistente
 nell'assoggettamento   di  analoghe  situazioni  a  regimi  giuridici
 diversi a seconda del giudice che e' chiamato a pronunciarsi;
     e) per quanto  prima  esposto,  la  questione  va  sollevata  con
 riferimento  all'art.  3 della Costituzione, rilevandosi la stessa in
 contrasto con i principi  di  uguaglianza  ivi  sanciti,  nonche'  in
 relazione  agli  articoli  97  e  103,  secondo  comma,  della stessa
 Costituzione, i  quali  sono  legati  entrambi  dal  comune  fine  di
 assicurare l'efficienza e la regolarita' della gestione finanziaria e
 patrimoniale  degli  enti  pubblici  (Corte  costituzionale n. 68 del
 1971, 63 del 1973 e 1032 del  1988),  nonche'  con  quelli  del  buon
 andamento  della  pubblica amministrazione e del controllo contabile,
 rispettivamente sanciti in detti articoli.
   Conclusivamente, la sezione ritiene rilevante e non  manifestamente
 infondata,   per   contrasto   con   i   menzionati   articoli  della
 Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale  del  primo
 comma,  lettera a), dell'art. 3 del decreto-legge 23 ottobre 1996, n.
 543, nel testo convertito nella legge 20 dicembre 1996 n. 639,  nella
 parte  in  cui,  sostituendo  l'art.  1,  primo comma, della legge 14
 gennaio  1994,  n.    20,  limita  la  responsabilita'  dei  soggetti
 sottoposti  alla  giurisdizione  della  Corte dei conti in materia di
 contabilita' pubblica ai fatti e alle omissioni commessi con  dolo  o
 colpa grave.