ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 458, primo
 comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza  emessa
 il  19  febbraio 1997 dalla Corte d'assise di Teramo nel procedimento
 penale a carico di Palmarini Carlo, iscritta al n. 232  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  29  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  La Corte di assise di Teramo, dopo aver premesso in fatto che
 un  imputato  per  delitto  in  ordine  al  quale e' prevista la pena
 dell'ergastolo (omicidio volontario aggravato dai motivi  futili)  ha
 formulato  richiesta  di  giudizio  abbreviato  dopo  la scadenza del
 termine previsto dall'art. 458, comma  1,  del  codice  di  procedura
 penale,  ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, e
 che il  pubblico  ministero  non  ha  prestato  il  proprio  consenso
 deducendo  la  tardivita'  della richiesta e la non decidibilita' del
 giudizio allo stato degli atti, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.  3,  24  e  25  della  Costituzione,  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 458, comma 1, cod. proc. pen.,  nella  parte
 in  cui  prevede che la richiesta di giudizio abbreviato, anche nelle
 ipotesi di reato astrattamente punibile con la  pena  dell'ergastolo,
 debba  essere  rivolta  al  giudice  per  le indagini preliminari nel
 termine di giorni sette dalla notificazione del decreto  di  giudizio
 immediato.  A parere del giudice a quo e' irragionevole imporre entro
 un termine stabilito a  pena  di  decadenza  la  presentazione  della
 richiesta  di  giudizio  abbreviato,  per  i reati puniti con la pena
 dell'ergastolo, al giudice per le  indagini  preliminari,  posto  che
 tale  giudice  non puo' che dichiarare inammissibile la richiesta. E'
 soltanto con riferimento al giudice dibattimentale - osserva la Corte
 rimettente - che deve articolarsi il  termine  per  la  richiesta  di
 giudizio  abbreviato,  essendo a quell'organo riservato il compito di
 valutare tale richiesta ai  fini  della  riduzione  della  pena,  ove
 all'esito  del  dibattimento  ritenga  insussistente l'aggravante che
 determina  l'astratta  punibilita'  con  la  pena  dell'ergastolo  e,
 quindi,  "ammissibile  il  giudizio  abbreviato  e  ingiustificato il
 dissenso del  pubblico  ministero".  D'altra  parte,  puntualizza  il
 rimettente,  la possibilita' di chiedere il giudizio abbreviato prima
 della apertura del dibattimento e' gia' prevista in sede di  giudizio
 direttissimo.
   In ogni caso, conclude il giudice a quo, il termine di sette giorni
 previsto  dalla  norma  impugnata  anche  nel  caso  in  cui  il rito
 abbreviato sia precluso dal titolo di reato,  si  appalesa  incongruo
 ove  rapportato  al  maggior  termine  di  quindici  giorni stabilito
 dall'art. 555, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. per i meno  gravi
 reati attribuiti alla competenza del pretore.
   2.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, rappresentato e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata non fondata. A
 parere dell'Avvocatura, l'ipotesi di inammissibilita' della richiesta
 di giudizio abbreviato  rientra  nelle  regole  del  sistema,  mentre
 sarebbe  al di fuori dello stesso riservare tale richiesta al giudice
 del dibattimento, non potendo a tal proposito valere quale termine di
 raffronto il giudizio direttissimo, considerate le differenze che  lo
 separano  dal giudizio immediato. L'esclusione del potere del giudice
 di   sindacare   l'imputazione,   e'   aspetto,   dunque,  del  tutto
 irrilevante, "tenuto conto che proprio la particolarita'  di  ciascun
 procedimento  speciale  non dovrebbe permettere l'equiparazione tra i
 diversi procedimenti con presupposti diversi".  Quanto  alla  dedotta
 incongruita'  del  termine,  per  formulare  la richiesta di giudizio
 abbreviato, osserva conclusivamente l'Avvocatura, lo stesso e' frutto
 di una discrezionale scelta del  legislatore  che  si  giustifica  in
 ragione  delle  peculiarita'  del  rito,  mentre  nessun risalto puo'
 assumere il diverso termine stabilito dall'art. 555, comma 1, lettera
 e), cod. proc. pen., considerata la differenza che  sussiste  tra  il
 decreto  di  giudizio immediato ed il decreto di citazione a giudizio
 nel procedimento pretorile.
                         Considerato in diritto
   1. -  La Corte di assise di Teramo  solleva,  in  riferimento  agli
 artt.  3,  24  e  25  della  Costituzione,  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  458,  comma  1,  del  codice  di  procedura
 penale,  nella  parte  in  cui  prevede  che la richiesta di giudizio
 abbreviato, anche nell'ipotesi di reato astrattamente punibile con la
 pena dell'ergastolo, debba essere rivolta al giudice per le  indagini
 preliminari  nel  termine  di  sette  giorni  dalla notificazione del
 decreto di giudizio immediato.   Posto infatti  -  osserva  la  Corte
 rimettente  -  che  al  giudice  per  le  indagini preliminari non e'
 consentito di sindacare l'imputazione e che, pertanto,  nel  caso  di
 reati   puniti  con  la  pena  dell'ergastolo,  gli  e'  preclusa  la
 possibilita'  di  ammettere   il   giudizio   abbreviato   anche   se
 tempestivamente  richiesto,  risulterebbe  priva di ragionevolezza la
 previsione di un termine di  decadenza  per  la  presentazione  della
 richiesta di trasformazione del rito da formulare ad un giudice privo
 del  potere  di  definire  il  procedimento  allo  stato  degli atti.
 Considerato, quindi, che e' il giudice del dibattimento  l'organo  al
 quale  e'  demandato il compito di procedere all'eventuale "recupero"
 della richiesta di giudizio abbreviato in funzione della riduzione di
 pena, qualora  all'esito  della  istruttoria  dibattimentale  ritenga
 erroneamente  contestata  ab  origine la circostanza aggravante dalla
 quale scaturisce la punibilita' del reato con la  pena  perpetua,  e'
 con  riferimento  a quell'organo che dovrebbe a parere del rimettente
 "articolarsi il termine per la  richiesta  di  giudizio  abbreviato",
 analogamente  a  quanto  previsto  nel  caso di giudizio direttissimo
 dall'art. 452, comma 2, cod. proc.  pen.
   "In ogni caso", conclusivamente rileva il giudice a quo, il termine
 previsto dalla norma impugnata, ed operante anche nell'ipotesi in cui
 il titolo di  reato  sia  ostativo  alla  celebrazione  del  giudizio
 abbreviato,  risulta  incongruo  se  posto a raffronto con il maggior
 termine di quindici giorni stabilito dall'art. 555, comma 1,  lettera
 e), del codice di rito, per la analoga richiesta riguardante "i reati
 di competenza del pretore, all'evidenza di ben minore gravita'".
   2. - La questione e' infondata sotto entrambi i profili dedotti.
   La  previsione oggetto di impugnativa non puo' infatti ritenersi in
 contrasto con nessuno dei parametri invocati, neppure nell'ipotesi in
 cui al  giudice  per  le  indagini  preliminari,  destinatario  della
 richiesta  di  giudizio  abbreviato, sia preclusa la celebrazione del
 rito alternativo ostandovi il titolo di reato  contestato.  Non  puo'
 infatti  profilarsi  alcuna  violazione  del  principio  del  giudice
 naturale,  essendo  l'organo  al  quale  proporre   la   domanda   di
 trasformazione  del rito predeterminato dalla legge, ne' elusione del
 diritto di difesa, dal momento che l'imputato e' posto in  condizioni
 di  formulare  le proprie richieste in rito, ne', infine, appaiono in
 alcun modo prospettabili le dedotte censure di irragionevolezza. Puo'
 anzi rilevarsi, a quest'ultimo riguardo, che la  soluzione  suggerita
 dallaCorte   rimettente  di  trasferire  alla  fase  che  precede  la
 dichiarazione di apertura del dibattimento la previsione del  termine
 per  la  formulazione della richiesta di giudizio abbreviato, oltre a
 non potersi certo ritenere l'unica scelta costituzionalmente imposta,
 presenta, a ben guardare, gli stessi "vizi" che il petitum perseguito
 intenderebbe  sanare,  giacche'  anche  per  il  giudice  chiamato  a
 celebrare  quella  fase - per di piu' privo, a differenza del giudice
 che ha  emesso  il  decreto  di  giudizio  immediato,  del  fascicolo
 contenente  gli  atti  delle  indagini e, quindi, neppure in grado di
 verificare se il processo possa essere definito allo stato degli atti
 -  permarrebbe  inalterata  l'impossibilita'  di  celebrare  il  rito
 alternativo,  proprio perche' vi osta il titolo di reato e difetta in
 quella fase il potere di controllo in ordine alla  correttezza  della
 imputazione elevata.
   Per  altro  verso,  neppure  pertinente  si rivela il richiamo alla
 disciplina dettata in tema di trasformazione  del  rito  direttissimo
 dall'art.   452,   comma   2,  cod.  proc.  pen.,  attesa  l'evidente
 eterogeneita' dei modelli posti a raffronto e considerato che  quella
 previsione  -  come  si  precisa nella relazione al codice - e' stata
 dettata dall'intendimento "di evitare una non economica retrocessione
 del procedimento al giudice delle indagini preliminari".
   Se da un lato, dunque, il composito quadro scaturito dalle pronunce
 di questa Corte in tema di giudizio abbreviato e reati puniti con  la
 pena  dell'ergastolo  presenta indubbiamente aspetti problematici, al
 punto da aver generato un riproporsi di questioni in  se'  indicative
 "del  disagio  degli  organi  giurisdizionali  nell'applicazione  del
 giudizio alternativo in discorso", non puo'  tuttavia  non  ribadirsi
 che  a  tale articolata gamma di dubbi attuativi e di perplessita' di
 coerenza sistematica soltanto il  legislatore  "puo'  porre  rimedio,
 ridisegnando  l'istituto,  su  questo  come  su  altri  profili (cfr.
 sentenze nn. 328,  187  e  92  del  1992),  in  termini  di  maggiore
 razionalita'  della  disciplina  e cosi' di piu' adeguato utilizzo di
 questo strumento alternativo al giudizio ordinario" (v. ordinanza  n.
 449 del 1995).
   Per  cio'  che  infine concerne la dedotta incongruita' del termine
 stabilito dalla norma oggetto di impugnativa in rapporto al diverso e
 maggior termine previsto dall'art. 555, comma  1,  lettera  e),  cod.
 proc.  pen., in tema di procedimento davanti al pretore, questa Corte
 ha gia' avuto modo di disattendere la fondatezza di analoga  censura.
 A  tale  riguardo,  si  e'  infatti  osservato,  fra  l'altro, che, a
 differenza "di quanto accade per l'emissione del decreto di citazione
 a giudizio davanti al pretore,  il  giudizio  immediato  puo'  essere
 ritualmente  introdotto  soltanto  nei  casi  in  cui la prova appare
 evidente; un requisito, questo, che si salda  all'altro  -  parimenti
 assente  nel  procedimento  pretorile  - rappresentato dal termine di
 novanta giorni entro il quale il pubblico ministero deve formulare al
 giudice  la  richiesta  di  giudizio  immediato  a  far  tempo  dalla
 iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall'art. 335
 del codice di procedura penale, e che segnala la peculiare speditezza
 di un rito la cui specialita' trae alimento proprio dalla sostanziale
 chiarezza   dei   fatti,   ritenuti,  dunque,  di  pronto  e  agevole
 accertamento" (v.  sentenza n. 122 del 1997).  Peculiarita',  quindi,
 che  per  un verso adeguatamente giustificano la brevita' del termine
 e, sotto altro profilo, segnalano l'improprieta' del tertium  evocato
 a raffronto.