ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 96 e seguenti
 del codice di procedura penale, promosso  con  ordinanza  emessa  l'8
 gennaio 1997 dal pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati, nel
 procedimento  penale  a  carico di Grossi Giuliana, iscritta al n. 85
 del registro ordinanze 1997 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  29  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto che il pretore di Roma, sezione distaccata di Frascati, ha
 sollevato  questione di legittimita' costituzionale degli artt.  96 e
 seguenti del codice di procedura penale, assumendo che  il  complesso
 normativo   in  questione,  prevedendo  per  l'imputato  l'assistenza
 obbligatoria ad opera di un difensore abilitato  all'esercizio  della
 professione  forense,  sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  10  della
 Costituzione, in relazione all'art. 6, lettera c), della  Convenzione
 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (adottata a Strasburgo il 4
 novembre  1950,  ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
 n. 848), e con l'art. 24 della Costituzione;
     che ad avviso del rimettente l'art. 6, lettera c), della predetta
 Convenzione, nel prevedere  che  ciascun  imputato  abbia  diritto  a
 difendersi  personalmente  o  con  l'assistenza  di  difensore di sua
 scelta,  implica  il  riconoscimento  del  diritto  dell'imputato   a
 difendersi anche solo personalmente;
     che,  parimenti,  secondo  il  giudice  a  quo,  l'art.  24 della
 Costituzione, nell'affermare il principio che tutti possono agire  in
 giudizio  a  difesa dei propri diritti e interessi legittimi e che la
 difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento,
 non subordina l'esercizio di tale diritto alla necessaria  assistenza
 dell'imputato ad opera di un difensore abilitato;
     che  si  e'  costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
     che    l'Avvocatura,   richiamate   le   pronunce   della   Corte
 costituzionale con le  quali  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
 costituzionale   delle   disposizioni  che  limitavano  l'obbligo  di
 nominare un difensore di ufficio all'imputato sprovvisto di difensore
 di fiducia, rileva che la difesa tecnica, oltre ad essere un  diritto
 costituzionalmente  protetto,  e'  nella  gran  parte  dei  casi  una
 necessita';
     che  inoltre,  secondo  l'Avvocatura,   le   disposizioni   della
 Convenzione  per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, avendo valore
 di  legge  ordinaria,   non   possono   porsi   come   parametri   di
 costituzionalita',  ne'  essere  invocate nell'ambito di operativita'
 dell'art. 10 della Costituzione;
     che, comunque, il diritto alla difesa  personale  costituisce  la
 "regola  minima"  per un giusto processo e che il sistema processuale
 vigente,  nel  garantire   congiuntamente   la   difesa   tecnica   e
 l'autodifesa,  non  si porrebbe in contrasto con i principi affermati
 dalla Convenzione, ma ne costituirebbe la massima realizzazione;
   Considerato che questa Corte ha gia' dichiarato  l'infondatezza  di
 analoghe  censure mosse alla corrispondente disciplina del diritto di
 difesa  contenuta  nel  codice  di  procedura  penale  del  1930,  in
 relazione   agli   stessi   parametri   costituzionali   evocati  dal
 ricorrente;
     che in particolare, in relazione all'art. 24 della  Costituzione,
 la  Corte  ha  rilevato  che  la  presenza  del  difensore  "risponde
 all'aspirazione a fondare l'intero processo penale sopra un effettivo
 contraddittorio tra accusa e difesa" e che "nessuno ha mai dubitato o
 dubita  che  alla  specifica  capacita'  professionale  del  pubblico
 ministero  fosse e sia ragionevole contrapporre quella di un soggetto
 di pari qualificazione che affianchi ed assista l'imputato" (sentenza
 n. 125 del 1979);
     che su un diverso terreno rispetto alla difesa tecnica si colloca
 il  parallelo  diritto  all'autodifesa,  operante   nell'ambito   del
 principio  del  contraddittorio,  con riferimento ad un "complesso di
 attivita',  mediante  le  quali  l'imputato,  come  protagonista  del
 processo  penale,  ha  facolta'  di  eccitarne lo sviluppo dialettico
 contribuendo  all'acquisizione  delle  prove  ed  al   controllo   di
 legalita'  del  suo svolgimento" (sentenza n. 186 del 1973), si' che,
 sotto questo profilo, ai fini  del  rispetto  dell'art.  24,  secondo
 comma,  della  Costituzione, rileva che all'imputato sia garantita la
 possibilita' di intervenire in ogni stato e  grado  del  procedimento
 (sentenze n. 280 del 1985 e n. 9 del 1982);
     che,  d'altro canto, "l'imposizione all'imputato di un difensore,
 persino suo malgrado, mira ad assicurargli quelle cognizioni  tecnico
 giuridiche,   quell'esperienza   processuale   e   quella  distaccata
 serenita', che gli consentono di valutare adeguatamente le situazioni
 di causa, in  guisa  da  tutelare  la  sua  piu'  ampia  liberta'  di
 determinazione  nella  scelta  delle  iniziative  e dei comportamenti
 processuali" (sentenza n. 498 del 1989);
     che, per  quanto  concerne  la  censura  sollevata  in  relazione
 all'art.    6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei diritti
 dell'uomo,  con  riferimento  all'art.  10  della  Costituzione,   va
 ribadito  che  il  richiamo  alle  "norme  del diritto internazionale
 generalmente  riconosciute"  ai  fini  dell'adeguamento  del  diritto
 interno  si  riferisce  soltanto  alle norme internazionali di natura
 consuetudinaria  e  non a quelle di natura pattizia (vedi ex plurimis
 sentenze nn. 288 del 1997, 15 e 146 del 1996);
     che, comunque, la disposizione  di  cui  all'art.  6,  numero  3,
 lettera  c)  della  Convenzione,  concorrendo  alla  definizione  del
 "giusto processo", fondato, tra l'altro, sulla parita' delle armi, va
 interpretata  nel  senso  che,  "il  diritto  all'autodifesa  non  e'
 assoluto,  ma limitato dal diritto dello Stato interessato ad emanare
 disposizioni  concernenti  la  presenza  di   avvocati   davanti   ai
 tribunali" (sentenza n. 188 del 1980);
     che  a  maggior  ragione  nel codice di procedura penale vigente,
 ispirato ai principi del sistema accusatorio, le norme che assicurano
 la difesa tecnica sono funzionali alla realizzazione  di  un  "giusto
 processo",  garantendo  l'effettivita'  di  un  contraddittorio  piu'
 equilibrato e una piu' sostanziale parita' delle armi  tra  accusa  e
 difesa;
     che  la  questione deve essere pertanto dichiarata manifestamente
 infondata in relazione ad entrambi i parametri evocati;
   Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.