IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 5 novembre 1997; Visto l'art. 2l della legge 6 dicembre 1971 n. 1034; Visto il ricorso n. 1159/1997, proposto da Caruso Giuseppe, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Giuseppe Barone, elettivamente domiciliato in Reggio Calabria, via Amendola n. 8/B presso la segreteria del T.A.R. contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, ed il Presidente del Consiglio di Sato, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso la quale sono per legge domiciliati in Reggio Calabria, via del Plebiscito n. 5 per l'annullamento, previa sospensione del decreto del Presidente del Consiglio di Stato in data 18 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale n. 185 del 9 agosto 1997), di indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa per il 30 novembre 1997; Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato e visto il controricorso depositato il 4 novembre 1997; Udito il relatore pres. Aldo Ravalli ed udito l'avv. dello Stato Antillo; Vista l'ordinanza 5 novembre 1997 con la quale questo tribunale amministrativo ha cosi' disposto: sospende il giudizio cautelare; e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con separata ordinanza; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o Il dott. Giuseppe Caruso, magistrato in servizio presso il T.A.R. della Calabria-sezione staccata di Reggio Calabria con ricorso notificato il 14 ottobre 1997, ha impugnato il decreto del Presidente del Consiglio di Stato 18 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale 9 agosto 1997 n. 185) di indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, fissandole per il 30 novembre 1997. Nel ricorso si chiede la sospensione del provvedimento impugnato ex art. 21 legge 6 dicembre 1971 n. 1034. Il ricorrente espone: che il 10 aprile 1997 i sei membri effettivi ed uno dei membri supplenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, eletti in rappresentanza dei magistrati dei tribunali amministrativi regionali, hanno rassegnato le dimissioni "denunciando la impossibilita' dell'organo di funzionare correttamente, considerata la sua anomala costituzione"; che con decreto 3 luglio 1997 il Ministro della funzione pubblica, delegato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ha provveduto alla sostituzione dei dimissionari; che con l'impugnato decreto 18 luglio 1997 si sono indette le elezioni per il rinnovo dell'organo "in relazione alla scadenza per compiuto triennio dell'attuale Consiglio di presidenza". Nel ricorso si denuncia la illegittimita' di tale ultimo provvedimento quale conseguenza della incostituzionai'ita' delle norme che regolano la composizione del Consiglio di presidenza. Si denuncia, quindi: illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 27 aprile 1982 n. 186 per violazione degli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione. L'Avvocatura dello Stato nel controricorso depositato il 4 novembre 1997 ha eccepito la incompetenza territoriale del T.A.R. adito, ritenendo competente quello del Lazio ai sensi dell'art. 3, terzo comma, legge n. 1034 del 1971. Ritenuta, inoltre, dubbia l'esistenza dell'interesse ad agire in capo al ricorrente, non essendo stato prospettato alcun fatto che, in virtu' dell'attuale composizione del Consiglio di presidenza, abbia in concreto inciso sulla sfera giuridica del ricorrente stesso, l'Avvocatura ha sostenuto la inammissibilita' per difetto di rilevanza della questione di costituzionalita', con correlata carenza di interesse al ricorso. Quanto ai profili di incostituzionalita' prospettati, l'Amministrazione conclude, comunque, per la loro manifesta infondatezza. D i r i t t o I. - Nella memoria di costituzione l'Avvocatura dello Stato ha eccepito la incompetenza territoriale del T.A.R. adito, ritenendo competente quello del Lazio. Rammentato che ai sensi dell'art. 31, terzo comma, legge 6 dicembre 1971 n. 1034, il regolamento di competenza "si propone con ricorso notificato a tutte le parti in causa" il Collegio osserva che la memoria che contiene l'eccezione non e' stata notificata ad alcuno, ne' fino al momento della decisione risulta essere stato proposto altro atto con la modalita' prescritta. Rammenta, comunque, il Collegio che la proposizione della istanza per regolamento di competenza territoriale non preclude l'esame della domanda cautelare, alla stessa stregua (e tanto piu') che tale esame non e' precluso dalla istanza di regolamento preventivo di giurisdizione (art. 30, terzo comma, legge n. 1034 del 1971). II.1. - Il ricorrente, magistrato amministrativo in servizio nel T.A.R., ha impugnato - chiedendo contestualmente la sospensione dell'atto ex art. 21 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 - il decreto del Presidente del Consiglio di Stato 18 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale n. 185 del 9 agosto 1997) di indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Il decreto impugnato sarebbe illegittimo - secondo la prospettazione del ricorrente - per effetto della illegittimita' costituzionale della norma di legge (art. 7, secondo comma, legge 27 aprile 1982 n. 186), che fissa la composizione dell'organo di autogoverno della magistratura amministrativa come segue: 1) il Presidente del Consiglio di Stato, che presiede; 2) i due presidenti del Consiglio di Stato piu' anziani nella qualifica in servizio presso il Consiglio di Stato; 3) quattro magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato; 4) sei magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali; 5) due magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato con funzioni di supplenti dei componenti di cui al precedente n. 3); 6) due magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali con funzioni di supplenti dei componenti di cui al precedente n. 4). II.2. - Questo tribunale, in sede di decisione sulla istanza cautelare, con ordinanza n. 628 del 5 novembre 1997 n. 628. cosi' si e' espresso: "Considerato che e' configurabile la sussistenza di un danno grave ed irreparabile per effetto in ipotesi della illegittimita' della composizione di un organo di autogoverno in relazione a parametri di legge ordinaria o - come nel caso - di principi costituzionali, in capo a soggetto appartenente alla relativa categoria, come il ricorrente; Considerato che, ai fini della ponderazione del fumus boni iuris, non appare al Collegio manifestamente infondata la eccezione di costituzionalita' dell'art. 7, legge 27 aprile 1982, n. 186 (Composizione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa) prospettata dal ricorrente con riferimento agli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione; Ritenuto pertanto che il giudizio cautelare non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale come sopra sollevata; ... cosi' dispone: 1) sospende il giudizio cautelare; 2) dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale con separata ordinanza". III. - Il Collegio rileva che il decreteo impugnato (di indizione delle elezioni per il rinnovo dell'organo di autogoverno) e' il primo ed essenziale atto del procedimento di formazione dell'organo, la cui composizione e' regolata da norma che sarebbe affetta da incostituzionalita'. Osserva innanzi tutto il Collegio che il giudice, anche nel giudizio cautelare, e' tenuto ad assicurare le garanzie di tutela giurisdizionale secondo i principi di cui all'art. 24 della Costituzione, in quanto "ogni situazione giuridica deve poter trovare un suo momento cautelare, che va raffigurato come componente essenziale della stessa tutela giurisdizionale" (Corte costituzionale 7 novembre 1997, n. 326). La effettivita', poi, della tutela cautelare ben puo' essere realizzata "anche mediante strumenti diversi ed ampiamente eccedenti la pura e semplice paralisi degli effetti formali dell'atto impugnato" e fra tali strumenti vanno ricomprese le pronunce "costititive, certificative, dichiarativi di obblighi a carico dell'Amministrazione", ove considerate necessarie per la realizzazione della tutela giurisdizionale della fase cautelare (Cons. St. Ad. pl. 1 giugno 1982, n. 6). D'altra parte la stessa Corte costituzionale riconosce adeguate le possibilita' di tutela cautelare "in fase di sempre piu' incisiva espansione, in un ambito di esclusiva pertinenza del giudice amministrativo" (Corte costituzionale ordinanza 1 luglio 1988, n. 867). Tutto cio' consente al Collegio di ritenere che, anche se la pronuncia della Corte costituzionale interviene dopo la data delle elezioni di cui trattasi (fissate per il 30 novembre 1997), non verrebbe meno in ipotesi l'interesse alla pronuncia cautelare, ne' mancherebbero, se del caso, al giudice che dovra' pronunciarsi gli strumenti per assicurare la giusta tutela. IV. - Circa la ricorrenza nel caso dei presupposti per la tutela cautelare secondo l'art. 21 legge n. 1034 del 1971, il Collegio osserva in via di principio che il danno grave ed irreparabile va valutato anche in relazione alla gravita' della illegittimita' che, in ipotesi, vizierebbe l'atto impugnato. Nel caso, il decreto impugnato subirebbe, in ipotesi, un vizio di legittimita' di massimo livello, quale atto di un procedimento per la formazione di un organo elettivo regolato da una norma di cui si denuncia il contrasto con principi costituzionali. Il Collegio e', poi, dell'avviso che lo svolgimento di per se' delle elezioni, con il conseguenziale insediamento di un Consiglio non correttamente rappresentativo - secondo la tesi di parte - della categoria cui appartiene il ricorrente, e' idoneo ad integrare un danno grave ed irreparabile nella sfera professionale del ricorrente medesimo. Infatti, la giusta rappresentativita' in un organo di autogoverno e' valore determinativo dello status, cioe' di una situazione soggettiva che e' preliminare e precedente qualunque altro interesse. Va, infine, considerato, a ragionevole sostegno della immediata lesivita' del decreto di indizione delle elezioni, che momento assolutamente preminente del procedimento e' proprio quello delle elezioni, quale espressione del diritto di liberta' a concorrere con il voto alla formazione di un organo a composizione valida secondo Costituzione, rimanendo i successivi provvedimenti di nomina degli eletti e di insediamento al livello di atti meramente conseguenziali ed obbligati. Peraltro, nel caso, il Collegio, in un ponderato bilanciamento di ogni interesse, non reputa sufficiente ad integrare un adeguato fumus boni iuris la sola ritenuta non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' prospettabili, ma ritiene di dover acquisire quanto puo' trarsi da una preliminare pronuncia della Corte costituzionale sulle stesse. Da tutto cio', a giudizio del Collegio, la rilevanza diretta ed immediata, per la fase della tutela cautelare, della questione di costituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge n.186 del 1982; infatti, la caducazione in ipotesi di tale norma comporterebbe che non vi sarebbe luogo del tutto per il procedimento di elezione dei componenti per il Consiglio di presidenza nella composizione per la quale e' preordinato il decreto 18 luglio 1997 impugnato. V. - Il ricorrente constata che il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e' l'unico fra gli organi di autogoverno delle magistrature formato esclusivamente da componenti "togati". Cio' farebbe dubitare - secondo il ricorrente - "della sua effettiva capacita', in assenza di qualsiasi controllo esterno, di garantire la reale indipendenza della magistratura". Osserva il Collegio che per la Magistratura quale "ordine autonomo ed indipendente da ogni potere", la presenza nell'organo di autogoverno di componenti esterni ("laici") e' di valore e rilievo costituzionale (art. 104 della Costituzione). La presenza di componenti laici appare valore costituzionale non tanto in relazione ad una garanzia dell'indipendenza della magistratura, quanto piuttosto quale sistema "aperto all'esterno" in funzione del buon andamento e dell'imparzialita' di un organismo amministrativo di autogoverno, ed in funzione di garanzia da inclinazioni curtensi nell'attivita' degli organi di autogoverno. Tale principio e' ormai da tempo attuato sia nell'organo di autogoverno della Corte dei conti (art. 10, legge 3 aprile 1988 n. 117), che in quello della magistratura militare (art. 1, legge 30 dicembre 1988, n. 561). A ben vedere e' attuato anche nel Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (art. 17, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545) tenuto conto della molteplicita' di provenienza dei giudici (artt. 4 e 5 d.lgs. citato). Tanto basta, ad avviso del Collegio, per ritenere non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del 1982, per contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non e' prevista la presenza di componenti "laici" nell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa, in relazione al principio di cui all'art. 104, quarto comma, della Costituzione. VI. - Prospetta il ricorrente, quale ulteriore profilo di incostituzionalita', che l'organo di autogoverno della magistratura amministrativa sarebbe l'unico la cui composizione non si basa sul criterio della rappresentativita' dei magistrati appartenenti alla giurisdizione, ma su un criterio "gerarchico", che contrasterebbe con il principio costituzionale secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge e si distinguono fra loro solo per diversita' di funzioni. Il "peso" del Consiglio di Stato - continua il ricorrente - presente nel Consiglio di presidenza con sette componenti (il Presidente del Consiglio di Stato, i due presidenti di Sezione piu' anziani e quattro magistrati) gli darebbero strutturale prevalenza rispetto ai magistrati in sevizio presso i T.A.R. (sei componenti), cosi' da configurarsi oggettivamente quale "organo di governo" dell'intera magistratura amministrativa da parte del Consiglio di Stato, cioe' della sua componente minoritaria, essendo circa cento i magistrati del Consiglio di Stato, a fronte dei trecento dei tribunali amministrativi. Tale situazione di prevalenza e di governo avverrebbe, inoltre, ad opera di una componente per la quale, oltre tutto, le funzioni giurisdizionali non sono le uniche svolte, e tali altre determinano "vicinanza" al potere esecutivo i cui atti sono sindacati proprio da tale magistratura amministrativa. Si riferisce il ricorrente alla attivita' consultiva a favore delle Amministrazioni ed anche sugli schemi di atti normativi, nonche' allo "storicamente massiccio e sistematico affidamento a consiglieri di Stato di incarichi ministeriali... (capo di gabinetto, capo ufficio legislativo, consulente giuridico ecc.), nonche' al normale espletamento da parte dei medesimi di una serie di altri compiti extra-giudiziari nell'interesse delle Amministrazioni". L'Amministrazione resistente oppone che il disegno costituzionale (art. 100 della Costituzione) apparirebbe indirizzato a segnare una differenza di funzioni fra i T.A.R. ed il Consiglio di Stato; che non vi sarebbe unificazione sotto il profilo del ruolo fra le due categorie di magistrati; che ogni profilo di incostituzionalita' sarebbe manifestamente infondato. Osserva il Collegio che il Consiglio di Stato e' inserito nel Titolo III ("Il Governo"), sezione III della Costituzione fra gli "organi ausiliari", insieme con il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Il Consiglio di Stato e' definito (art. 100 della Costituzione) "organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela di giustizia nell'amministrazione". La stessa norma dice della Corte dei conti quale organo che "esercita il controllo preventivo di legittimita' sugli atti del Governo e anche quello successivo..." e prevede (ultimo comma) che la legge assicuri "l'indipendenza dei due istituti e dei loro componenti di fronte al Governo". Considerate le descritte funzioni del Consiglio di Stato (consulenza e giustizia "nella" amministrazione), la sua qualita' di organo ausiliario del Governo e "La Magistratura costituisce un organo autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104 della Costituzione), nella previsione della Costituzione il Consiglio di Stato - quanto alla funzione consultiva ed a quella giustiziale "nella" amministrazione - agisce quale organo che non appartiene all'ordinamento giurisdizionale, di cui in effetti la Costituzione tratta nel successivo Titolo IV. Va aggiunto che, ai sensi dell'art. 1 legge n. 186 del 1982, il Consiglio di Stato e' composto da tre sezioni consultive, cui si e' aggiunta di recente una quarta (art. 17, comma 28, legge15 maggio 1997 n. 127), con cio' rendendo prevalente l'attivita' di organo ausiliario svolta dal medesimo rispetto a quella giurisdizionale, finora affidata allo stesso dall'art. 103 della Costituzione. Peraltro, se si considera che "ciascuna sezione consultiva e' composta da due presidenti ... e da almeno nove consiglieri" (art. 1, terzo comma, legge n. 186/l982) e che presidenti e consiglieri di Stato sono - a regime - novanta, ne deriva che solo la meta' di essi svolge funzioni giurisdizionali equiparabili a quelle dei giudici dei tribunali amministrativi, salva la eventuale commistione fra le due funzioni da parte di taluno dei primi. La conseguenza che puo' trarsi e' che i giudici dei tribunali amministrativi esprimono nel proprio organo di autogoverno un numero di rappresentanti irragionevolmente inferiore, a parita' di funzioni giurisdizionali, rispetto a quelli della componente del Consiglio di Stato. Se appare ragionevole e coerente che presidente dell'organo di autogoverno sia il presidente del Consiglio, di Stato, non appare convincente la tesi delle Amministrazioni resistenti, secondo la quale i due presidenti di Sezione del Consiglio di Stato componenti di diritto (art. 7, secondo comma n. 2, legge n. 186 cit.) "non siano diretta espressione del corpo magistratuale, ma rappresentino il momento istituzionale". Potrebbe piuttosto in proposito ritenersi che tutti i componenti di un organo di autogoverno esprimano, una volta che ne facciano parte, un "momento istituzionale", ne' appaiono esservi ragioni perche' talune lo esprima piu' di altri. Infatti, la situazione del complesso della giustizia amministrativa non e' equiparabile a quella che deriva dalla previsione di due componenti di diritto (il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione) nel Consiglio superiore della magistratura (art. 104, terzo comma, della Costituzione). In effetti, in tal caso, e' riscontrabile una evidente ragione istituzionale, costituendo l'uno il vertice della componente giudicante, l'altro di quella inquirente della magistratura ordinaria. La stessa logica istituzionale e' rinvenibile nel Consiglio di presidenza della Corte dei conti, ove sono componenti di diritto il procuratore generale della Corte dei conti ed il presidente di sezione piu' anziano (art. 10 legge n. 117 del 1988). Nessuna esigenza o logica istituzionale appare al Collegio porsi a valido sostegno della previsione di due membri di esclusiva provenienza del Consiglio di Stato quali componenti di diritto del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Per il resto il principio costituzionale espresso nell'art. 104 della Costituzione ripreso nella normativa ordinaria (legge n. 117/1988; legge n. 561/1988; decreto legislativo n. 545/1992, citate) e' che i componenti dell'organo di autogoverno dei magistrati "sono eletti da tutti i magistrati ... tra gli appartenenti alle varie categorie ..." (art. 104 della Costituzione), al piu' "in proporzione alla rispettiva consistenza numerica" (Consiglio di presidenza della Corte dei conti), ma mai in proporzione inversa rispetto al numero dei magistrati. Nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa succede, invece, che sinanco i componenti supplenti sono previsti in numero inversamente proporzionale ai membri effettivi (due per i quattro magistrati eletti del Consiglio di Stato; due per i sei magistrati eletti dei tribunali amministrativi) (art. 7, cit. ai numeri 5 e 6). Non sembrerebbe, poi, argomento di spessore giuridico opporre che per i magistrati dei T.A.R. e del Consiglio di Stato "sotto il profilo del ruolo non vi sia formale unificazione fra le due categorie". Contrasterebbe invero con tale tesi il fatto che l'art. 23 legge 27 aprile 1982, n. 186 prevede un unico ruolo dei magistrati amministrativi, all'interno del quale v'e' solo una distinzione per qualifica. Andrebbe, piuttosto, tenuto conto che l'unico principio valido nell'ordinamento e' quello fissato all'art. 107 della Costituzione, secondo il quale "I Magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversita' di funzioni"; ne' possono esservi dubbi che anche nell'attuale architettura costituzionale il giudice amministrativo - in quanto tale - e' omogeneo per status e funzione al giudice ordinario. Ancor meno pregio pare al Collegio avere l'argomento secondo il quale "che non si tratti di un'unica carriera in senso proprio appare derivare dalla circostanza che il magistrato T.A.R. che transita nel Consiglio di Stato non conserva l'anzianita' maturata nel ruolo dei T.A.R.". I resistenti si riferiscono all'art. 23, quinto comma, legge n. 186 del 1982, che per i magistrati T.A.R., in servizio alla data di entrata in vigore della legge, che passino in Consiglio di Stato, limita a cinque anni l'anzianita' acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo. Tale norma, infatti, non puo' che far parte del sistema di salvaguardia delle posizioni all'epoca in atto, e quindi avere mero valore di norma transitoria alla stregua dei successivi commi. Se cosi' non fosse, apparendo evidente il contrasto con l'art. 107 della Costituzione, la norma potrebbe essere valutata dalla Corte costituzionale - ed a tal fine si segnala - per l'esercizio del potere di estensione della illegittimita' costituzionale di cui all'art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87, essendo espressione della medesima incoerenza che ha ispirato l'art. 7 in discorso. Dalle considerazioni che precedono il Collegio e' indotto a ritenere che l'art. 7, secondo comma, piu' volte citato appare quale singolare anacronismo legislativo diretto non tanto alla garanzia di rappresentativita' di una minoranza, quanto piuttosto al predominio della minoranza, e non tanto alla garanzia delle attivita' dei giudici, quanto piuttosto all'ingresso di attivita' non giurisdizionali, e tutto cio' in un organismo di autogoverno di una magistratura, per di piu' privo di componenti "laici". In una tale situazione, la prospettazione degli interessi, istituzionali e non, all'interno dell'organo di autogoverno della magistratura amministrativa non puo' che seguire la logica dei numeri e delle differenti connotazioni delle due componenti. Ne deriva per il Collegio, da tutto quanto precede, la non manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del 1982, oltre che nella parte precisata nel precedente punto V, anche nella parte in cui fissa la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa in violazione del criterio della rappresentativita' o proporzionalita' dei magistrati appartenenti alla giurisdizione amministrativa, per contrasto con i seguenti principi della Costituzione: art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto la norma censurata appare creare una irragionevole discriminazione quanto alla rappresentativita' nell'organo di autogoverno fra magistrati appartenenti alla stessa giurisdizione con violazione del canone di coerenza dell'ordinamento giuridico; art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto la violazione del principio di rappresentativita', dando prevalenza ad una componente minoritaria e, quindi, a visioni ed interessi della medesima, appare violare il principio di buon andamento ed imparzialita' dell'organo di autogoverno; art. 101, secondo comma, e art. 108, secondo comma, della Costituzione, in quanto lo sperequato sistema di rappresentativita' nell'organo di autogoverno appare idoneo ad incidere sul principio di indipendenza del giudice; art. 107, terzo comma, della Costituzione, in quanto la sperequazione descritta appare porsi in contrasto col principio secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversita' di funzioni. VII. - Stante la rilevanza e la non manifesta infondatezza come dianzi precisate, il Collegio sospende il giudizio cautelare, non potendo essere definito indipendentemente da una pronuncia della Corte costituzionale.