IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del
 5 novembre 1997;
   Visto l'art. 2l della legge 6 dicembre 1971 n. 1034;
   Visto  il  ricorso  n.  1159/1997,  proposto  da  Caruso  Giuseppe,
 rappresentato e difeso dall'avv. prof. Giuseppe Barone, elettivamente
 domiciliato  in  Reggio  Calabria,  via  Amendola  n.  8/B  presso la
 segreteria  del  T.A.R.  contro  la  Presidenza  del  Consiglio   dei
 Ministri,  in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, ed il
 Presidente  del   Consiglio   di   Sato,   rappresentati   e   difesi
 dall'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato, presso la quale sono per
 legge domiciliati in Reggio Calabria, via del  Plebiscito  n.  5  per
 l'annullamento,  previa  sospensione  del  decreto del Presidente del
 Consiglio di Stato in data 18 luglio 1997 (in Gazzetta  Ufficiale  n.
 185  del  9  agosto 1997), di indizione delle elezioni per il rinnovo
 del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa per il  30
 novembre 1997;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Vista  la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento
 impugnato;
   Visto  l'atto   di   costituzione   in   giudizio   dell'Avvocatura
 distrettuale  dello  Stato  e  visto il controricorso depositato il 4
 novembre 1997;
   Udito il relatore pres. Aldo Ravalli ed udito  l'avv.  dello  Stato
 Antillo;
   Vista  l'ordinanza  5  novembre  1997 con la quale questo tribunale
 amministrativo ha cosi' disposto: sospende il giudizio  cautelare;  e
 dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte costituzionale con
 separata ordinanza;
   Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Il  dott.  Giuseppe Caruso, magistrato in servizio presso il T.A.R.
 della  Calabria-sezione  staccata  di  Reggio  Calabria  con  ricorso
 notificato il 14 ottobre 1997, ha impugnato il decreto del Presidente
 del Consiglio di Stato 18 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale 9 agosto
 1997  n.  185)  di    indizione  delle  elezioni  per  il rinnovo del
 Consiglio di presidenza della  giustizia  amministrativa,  fissandole
 per il 30 novembre 1997.
   Nel ricorso si chiede la sospensione del provvedimento impugnato ex
 art. 21 legge 6 dicembre 1971 n. 1034.
   Il ricorrente espone:
     che  il  10  aprile 1997 i sei membri effettivi ed uno dei membri
 supplenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa,
 eletti in rappresentanza dei magistrati dei tribunali  amministrativi
 regionali,   hanno   rassegnato   le   dimissioni   "denunciando   la
 impossibilita' dell'organo di funzionare  correttamente,  considerata
 la sua anomala costituzione";
     che  con  decreto  3  luglio  1997  il  Ministro  della  funzione
 pubblica, delegato dal  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  ha
 provveduto alla sostituzione dei dimissionari;
     che  con  l'impugnato  decreto  18 luglio 1997 si sono indette le
 elezioni per il rinnovo dell'organo "in relazione alla  scadenza  per
 compiuto triennio dell'attuale Consiglio di presidenza".
   Nel   ricorso   si   denuncia  la  illegittimita'  di  tale  ultimo
 provvedimento  quale  conseguenza  della  incostituzionai'ita'  delle
 norme  che  regolano  la composizione del Consiglio di presidenza. Si
 denuncia, quindi:   illegittimita' costituzionale dell'art.  7  della
 legge  27  aprile  1982 n. 186 per violazione degli artt. 3, 97, 101,
 secondo  comma,  107,  terzo  comma,  e  108,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
   L'Avvocatura dello Stato nel controricorso depositato il 4 novembre
 1997  ha  eccepito  la  incompetenza  territoriale  del T.A.R. adito,
 ritenendo competente quello del Lazio ai  sensi  dell'art.  3,  terzo
 comma,  legge n. 1034 del 1971. Ritenuta, inoltre, dubbia l'esistenza
 dell'interesse ad agire in capo  al  ricorrente,  non  essendo  stato
 prospettato  alcun fatto che, in virtu' dell'attuale composizione del
 Consiglio  di  presidenza,  abbia  in  concreto  inciso  sulla  sfera
 giuridica   del  ricorrente  stesso,  l'Avvocatura  ha  sostenuto  la
 inammissibilita'  per  difetto  di  rilevanza  della   questione   di
 costituzionalita', con correlata carenza di interesse al ricorso.
   Quanto    ai    profili    di    incostituzionalita'   prospettati,
 l'Amministrazione  conclude,  comunque,   per   la   loro   manifesta
 infondatezza.
                             D i r i t t o
   I.  -  Nella  memoria  di  costituzione l'Avvocatura dello Stato ha
 eccepito la incompetenza territoriale  del  T.A.R.  adito,  ritenendo
 competente  quello  del Lazio.  Rammentato che ai sensi dell'art. 31,
 terzo comma, legge  6  dicembre  1971  n.  1034,  il  regolamento  di
 competenza  "si  propone  con  ricorso notificato a tutte le parti in
 causa" il Collegio osserva che la memoria  che  contiene  l'eccezione
 non  e'  stata  notificata  ad  alcuno,  ne'  fino  al  momento della
 decisione risulta essere stato proposto altro atto con  la  modalita'
 prescritta.    Rammenta,  comunque,  il  Collegio che la proposizione
 della istanza per regolamento di competenza territoriale non preclude
 l'esame della domanda cautelare, alla stessa stregua (e  tanto  piu')
 che   tale  esame  non  e'  precluso  dalla  istanza  di  regolamento
 preventivo di giurisdizione (art. 30, terzo comma, legge n. 1034  del
 1971).
   II.1.  -  Il  ricorrente, magistrato amministrativo in servizio nel
 T.A.R., ha  impugnato  -  chiedendo  contestualmente  la  sospensione
 dell'atto  ex art. 21 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 - il decreto del
 Presidente del  Consiglio  di  Stato  18  luglio  1997  (in  Gazzetta
 Ufficiale  n.  185 del 9 agosto 1997) di indizione delle elezioni per
 il   rinnovo   del   Consiglio   di   presidenza   della    giustizia
 amministrativa. Il decreto impugnato sarebbe illegittimo - secondo la
 prospettazione  del  ricorrente  -  per  effetto della illegittimita'
 costituzionale della norma di legge (art. 7, secondo comma, legge  27
 aprile  1982  n.  186),  che  fissa  la  composizione  dell'organo di
 autogoverno della magistratura amministrativa come segue:
     1) il Presidente del Consiglio di Stato, che presiede;
     2) i due presidenti del Consiglio di  Stato  piu'  anziani  nella
 qualifica in servizio presso il Consiglio di Stato;
     3) quattro magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato;
     4)  sei  magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi
 regionali;
     5) due magistrati in servizio presso il Consiglio  di  Stato  con
 funzioni di supplenti dei componenti di cui al precedente n. 3);
     6)  due  magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi
 regionali  con  funzioni  di  supplenti  dei  componenti  di  cui  al
 precedente n. 4).
   II.2.  -  Questo  tribunale,  in  sede  di  decisione sulla istanza
 cautelare, con ordinanza n. 628 del 5 novembre 1997 n. 628. cosi'  si
 e' espresso:
   "Considerato  che e' configurabile la sussistenza di un danno grave
 ed irreparabile per effetto in  ipotesi  della  illegittimita'  della
 composizione  di un organo di autogoverno in relazione a parametri di
 legge ordinaria o - come nel caso - di  principi  costituzionali,  in
 capo  a  soggetto  appartenente  alla  relativa  categoria,  come  il
 ricorrente;
   Considerato che, ai fini della ponderazione del fumus  boni  iuris,
 non  appare  al  Collegio  manifestamente  infondata  la eccezione di
 costituzionalita'  dell'art.  7,  legge  27  aprile  1982,   n.   186
 (Composizione   del   Consiglio   di   presidenza   della   giustizia
 amministrativa) prospettata dal ricorrente con riferimento agli artt.
 3, 97, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e  108,  secondo  comma,
 della Costituzione;
   Ritenuto  pertanto  che  il  giudizio  cautelare  non  possa essere
 definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
 legittimita' costituzionale come sopra sollevata;
   ... cosi' dispone:
     1) sospende il giudizio cautelare;
     2)  dispone  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale
 con separata ordinanza".
   III. - Il Collegio rileva che il decreteo impugnato  (di  indizione
 delle elezioni per il rinnovo dell'organo di autogoverno) e' il primo
 ed essenziale atto del procedimento di formazione dell'organo, la cui
 composizione   e'   regolata   da   norma   che  sarebbe  affetta  da
 incostituzionalita'.
   Osserva innanzi  tutto  il  Collegio  che  il  giudice,  anche  nel
 giudizio  cautelare,  e'  tenuto  ad assicurare le garanzie di tutela
 giurisdizionale  secondo  i  principi  di  cui  all'art.   24   della
 Costituzione, in quanto "ogni situazione giuridica deve poter trovare
 un   suo  momento  cautelare,  che  va  raffigurato  come  componente
 essenziale della stessa tutela giurisdizionale" (Corte costituzionale
 7 novembre 1997,  n.  326).    La  effettivita',  poi,  della  tutela
 cautelare  ben  puo'  essere  realizzata  "anche  mediante  strumenti
 diversi ed ampiamente eccedenti la pura  e  semplice  paralisi  degli
 effetti  formali  dell'atto  impugnato"  e  fra  tali strumenti vanno
 ricomprese le pronunce "costititive, certificative,  dichiarativi  di
 obblighi  a  carico dell'Amministrazione", ove considerate necessarie
 per  la  realizzazione  della  tutela  giurisdizionale   della   fase
 cautelare  (Cons.  St. Ad. pl. 1 giugno 1982, n. 6). D'altra parte la
 stessa Corte costituzionale riconosce  adeguate  le  possibilita'  di
 tutela  cautelare  "in fase di sempre piu' incisiva espansione, in un
 ambito di esclusiva pertinenza  del  giudice  amministrativo"  (Corte
 costituzionale ordinanza 1 luglio 1988, n. 867).
   Tutto  cio'  consente  al  Collegio  di  ritenere  che, anche se la
 pronuncia della Corte costituzionale interviene dopo  la  data  delle
 elezioni  di  cui  trattasi  (fissate  per  il 30 novembre 1997), non
 verrebbe meno in ipotesi l'interesse alla  pronuncia  cautelare,  ne'
 mancherebbero,  se  del  caso, al giudice che dovra' pronunciarsi gli
 strumenti per assicurare la giusta tutela.
   IV. - Circa la ricorrenza nel caso dei presupposti  per  la  tutela
 cautelare  secondo  l'art.  21  legge  n.  1034 del 1971, il Collegio
 osserva in via di principio che il danno  grave  ed  irreparabile  va
 valutato  anche  in relazione alla gravita' della illegittimita' che,
 in  ipotesi,  vizierebbe  l'atto  impugnato.  Nel  caso,  il  decreto
 impugnato  subirebbe, in ipotesi, un vizio di legittimita' di massimo
 livello, quale atto di un procedimento per la formazione di un organo
 elettivo regolato da una norma di cui si denuncia  il  contrasto  con
 principi costituzionali.
   Il  Collegio  e',  poi,  dell'avviso  che lo svolgimento di per se'
 delle elezioni, con il conseguenziale insediamento  di  un  Consiglio
 non  correttamente rappresentativo - secondo la tesi di parte - della
 categoria cui appartiene il ricorrente, e'  idoneo  ad  integrare  un
 danno  grave ed irreparabile nella sfera professionale del ricorrente
 medesimo. Infatti, la  giusta  rappresentativita'  in  un  organo  di
 autogoverno  e'  valore  determinativo  dello  status,  cioe'  di una
 situazione soggettiva che e' preliminare e precedente qualunque altro
 interesse.   Va, infine, considerato, a  ragionevole  sostegno  della
 immediata  lesivita'  del  decreto  di  indizione delle elezioni, che
 momento assolutamente preminente del procedimento e'  proprio  quello
 delle   elezioni,   quale  espressione  del  diritto  di  liberta'  a
 concorrere con il voto alla formazione di un  organo  a  composizione
 valida  secondo Costituzione, rimanendo i successivi provvedimenti di
 nomina degli eletti e di insediamento al livello  di  atti  meramente
 conseguenziali ed obbligati.
   Peraltro,  nel  caso, il Collegio, in un ponderato bilanciamento di
 ogni interesse, non reputa sufficiente ad integrare un adeguato fumus
 boni  iuris  la  sola  ritenuta  non  manifesta  infondatezza   delle
 questioni  di  costituzionalita'  prospettabili,  ma ritiene di dover
 acquisire quanto puo' trarsi da una preliminare pronuncia della Corte
 costituzionale sulle stesse.
   Da  tutto  cio',  a  giudizio del Collegio, la rilevanza diretta ed
 immediata, per la fase della tutela  cautelare,  della  questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  7, secondo comma, legge n.186 del 1982;
 infatti, la caducazione in ipotesi di tale  norma  comporterebbe  che
 non  vi  sarebbe  luogo del tutto per il procedimento di elezione dei
 componenti per il Consiglio di presidenza nella composizione  per  la
 quale e' preordinato il decreto 18 luglio 1997 impugnato.
   V.  -  Il  ricorrente constata che il Consiglio di presidenza della
 giustizia amministrativa e' l'unico fra  gli  organi  di  autogoverno
 delle  magistrature  formato  esclusivamente  da componenti "togati".
 Cio' farebbe dubitare - secondo il ricorrente - "della sua  effettiva
 capacita', in assenza di qualsiasi controllo esterno, di garantire la
 reale indipendenza della magistratura".
   Osserva  il Collegio che per la Magistratura quale "ordine autonomo
 ed  indipendente  da  ogni  potere",  la  presenza   nell'organo   di
 autogoverno  di  componenti  esterni ("laici") e' di valore e rilievo
 costituzionale (art. 104  della Costituzione).
   La presenza di componenti laici appare  valore  costituzionale  non
 tanto   in   relazione   ad   una  garanzia  dell'indipendenza  della
 magistratura, quanto piuttosto quale sistema "aperto all'esterno"  in
 funzione  del  buon  andamento  e  dell'imparzialita' di un organismo
 amministrativo  di  autogoverno,  ed  in  funzione  di  garanzia   da
 inclinazioni curtensi nell'attivita' degli organi di autogoverno.
   Tale  principio  e'  ormai  da  tempo  attuato  sia  nell'organo di
 autogoverno della Corte dei conti (art. 10, legge 3  aprile  1988  n.
 117),  che  in  quello  della magistratura militare (art. 1, legge 30
 dicembre 1988, n. 561). A ben vedere e' attuato anche  nel  Consiglio
 di presidenza della giustizia tributaria (art. 17, d.lgs. 31 dicembre
 1992,  n.    545) tenuto conto della molteplicita' di provenienza dei
 giudici (artt. 4 e 5 d.lgs. citato).
   Tanto  basta,  ad   avviso   del   Collegio,   per   ritenere   non
 manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art.
 7,  secondo comma, legge n. 186 del 1982, per contrasto con gli artt.
 3 e 97 della Costituzione, nella parte in  cui  non  e'  prevista  la
 presenza  di  componenti  "laici"  nell'organo  di  autogoverno della
 giustizia amministrativa, in relazione al principio di  cui  all'art.
 104, quarto comma, della Costituzione.
   VI.   -   Prospetta  il  ricorrente,  quale  ulteriore  profilo  di
 incostituzionalita', che l'organo di autogoverno  della  magistratura
 amministrativa  sarebbe  l'unico  la cui composizione non si basa sul
 criterio della rappresentativita' dei  magistrati  appartenenti  alla
 giurisdizione, ma su un criterio "gerarchico", che contrasterebbe con
 il  principio  costituzionale  secondo  cui  i  giudici sono soggetti
 soltanto alla legge e si distinguono fra loro solo per diversita'  di
 funzioni.
   Il  "peso"  del  Consiglio  di  Stato  -  continua  il ricorrente -
 presente  nel  Consiglio  di  presidenza  con  sette  componenti  (il
 Presidente  del  Consiglio di Stato, i due presidenti di Sezione piu'
 anziani e quattro magistrati) gli  darebbero  strutturale  prevalenza
 rispetto  ai  magistrati in sevizio presso i T.A.R. (sei componenti),
 cosi'  da  configurarsi  oggettivamente  quale  "organo  di  governo"
 dell'intera  magistratura  amministrativa  da  parte del Consiglio di
 Stato, cioe' della sua componente minoritaria, essendo circa cento  i
 magistrati  del  Consiglio  di  Stato,  a  fronte  dei  trecento  dei
 tribunali amministrativi.  Tale situazione di prevalenza e di governo
 avverrebbe,  inoltre,  ad opera di una componente per la quale, oltre
 tutto, le funzioni giurisdizionali non sono le uniche svolte, e  tali
 altre  determinano  "vicinanza"  al  potere esecutivo i cui atti sono
 sindacati proprio da tale magistratura amministrativa.  Si  riferisce
 il    ricorrente   alla   attivita'   consultiva   a   favore   delle
 Amministrazioni ed anche sugli schemi di atti normativi, nonche' allo
 "storicamente massiccio e sistematico affidamento  a  consiglieri  di
 Stato  di incarichi ministeriali...  (capo di gabinetto, capo ufficio
 legislativo,  consulente  giuridico   ecc.),   nonche'   al   normale
 espletamento  da  parte  dei  medesimi  di una serie di altri compiti
 extra-giudiziari nell'interesse delle Amministrazioni".
   L'Amministrazione resistente oppone che il  disegno  costituzionale
 (art.  100  della Costituzione) apparirebbe indirizzato a segnare una
 differenza di funzioni fra i T.A.R. ed il Consiglio di Stato; che non
 vi sarebbe unificazione  sotto  il  profilo  del  ruolo  fra  le  due
 categorie  di  magistrati;  che  ogni  profilo di incostituzionalita'
 sarebbe manifestamente infondato.
   Osserva il Collegio che il  Consiglio  di  Stato  e'  inserito  nel
 Titolo  III  ("Il  Governo"),  sezione III della Costituzione fra gli
 "organi ausiliari", insieme con il Consiglio nazionale  dell'economia
 e del lavoro.
   Il  Consiglio  di  Stato  e' definito (art. 100 della Costituzione)
 "organo  di  consulenza  giuridico-amministrativa  e  di  tutela   di
 giustizia nell'amministrazione". La stessa norma dice della Corte dei
 conti   quale   organo  che  "esercita  il  controllo  preventivo  di
 legittimita' sugli atti del Governo e anche quello  successivo..."  e
 prevede  (ultimo comma) che la legge assicuri "l'indipendenza dei due
 istituti e dei loro componenti di fronte al Governo".
   Considerate  le  descritte  funzioni   del   Consiglio   di   Stato
 (consulenza  e giustizia "nella" amministrazione), la sua qualita' di
 organo ausiliario del  Governo  e  "La  Magistratura  costituisce  un
 organo autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104 della
 Costituzione),  nella  previsione  della Costituzione il Consiglio di
 Stato - quanto alla  funzione  consultiva  ed  a  quella  giustiziale
 "nella"  amministrazione  -  agisce  quale  organo che non appartiene
 all'ordinamento giurisdizionale, di cui in  effetti  la  Costituzione
 tratta nel successivo Titolo IV.
   Va  aggiunto  che,  ai  sensi dell'art. 1 legge n. 186 del 1982, il
 Consiglio di Stato e' composto da tre sezioni consultive, cui  si  e'
 aggiunta  di  recente  una  quarta (art. 17, comma 28, legge15 maggio
 1997 n. 127), con cio'  rendendo  prevalente  l'attivita'  di  organo
 ausiliario  svolta  dal  medesimo  rispetto a quella giurisdizionale,
 finora  affidata  allo  stesso  dall'art.  103  della   Costituzione.
 Peraltro,  se  si  considera  che  "ciascuna  sezione  consultiva  e'
 composta da due presidenti ... e da almeno nove consiglieri" (art. 1,
 terzo comma, legge n. 186/l982) e che  presidenti  e  consiglieri  di
 Stato  sono - a regime - novanta, ne deriva che solo la meta' di essi
 svolge funzioni giurisdizionali equiparabili a quelle dei giudici dei
 tribunali amministrativi, salva la eventuale commistione fra  le  due
 funzioni da parte di taluno dei primi.
   La  conseguenza  che  puo'  trarsi  e'  che i giudici dei tribunali
 amministrativi esprimono nel proprio organo di autogoverno un  numero
 di  rappresentanti irragionevolmente inferiore, a parita' di funzioni
 giurisdizionali, rispetto a quelli della componente del Consiglio  di
 Stato.
   Se  appare  ragionevole  e  coerente  che presidente dell'organo di
 autogoverno sia il presidente del Consiglio,  di  Stato,  non  appare
 convincente  la  tesi  delle  Amministrazioni  resistenti, secondo la
 quale i due presidenti di Sezione del Consiglio di  Stato  componenti
 di diritto (art. 7, secondo comma n. 2, legge n. 186 cit.) "non siano
 diretta  espressione  del  corpo  magistratuale,  ma rappresentino il
 momento istituzionale".
   Potrebbe piuttosto in proposito ritenersi che tutti i componenti di
 un organo di autogoverno esprimano, una volta che ne facciano  parte,
 un  "momento  istituzionale",  ne'  appaiono  esservi ragioni perche'
 talune lo esprima piu' di altri.
   Infatti, la situazione del complesso della giustizia amministrativa
 non e' equiparabile a quella  che  deriva  dalla  previsione  di  due
 componenti di diritto (il primo presidente ed il procuratore generale
 della Corte di cassazione) nel Consiglio superiore della magistratura
 (art.    104,  terzo  comma,  della Costituzione). In effetti, in tal
 caso,  e'   riscontrabile   una   evidente   ragione   istituzionale,
 costituendo  l'uno il vertice della componente giudicante, l'altro di
 quella inquirente della magistratura ordinaria.
   La stessa logica istituzionale  e'  rinvenibile  nel  Consiglio  di
 presidenza  della  Corte dei conti, ove sono componenti di diritto il
 procuratore generale della  Corte  dei  conti  ed  il  presidente  di
 sezione piu' anziano (art. 10 legge n. 117 del 1988).
   Nessuna  esigenza o logica istituzionale appare al Collegio porsi a
 valido  sostegno  della  previsione  di  due  membri   di   esclusiva
 provenienza  del  Consiglio  di Stato quali componenti di diritto del
 Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.
   Per il resto il principio  costituzionale  espresso  nell'art.  104
 della  Costituzione  ripreso  nella  normativa  ordinaria  (legge  n.
 117/1988; legge n. 561/1988; decreto legislativo n. 545/1992, citate)
 e' che i componenti dell'organo di autogoverno dei  magistrati  "sono
 eletti  da  tutti  i  magistrati  ... tra gli appartenenti alle varie
 categorie ..." (art. 104 della Costituzione), al piu' "in proporzione
 alla rispettiva consistenza numerica" (Consiglio di presidenza  della
 Corte  dei  conti),  ma mai in proporzione inversa rispetto al numero
 dei magistrati.
   Nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa succede,
 invece, che sinanco i componenti supplenti sono  previsti  in  numero
 inversamente  proporzionale  ai  membri  effettivi (due per i quattro
 magistrati eletti del Consiglio di Stato; due per  i  sei  magistrati
 eletti dei tribunali amministrativi) (art. 7, cit. ai numeri 5 e 6).
   Non  sembrerebbe,  poi, argomento di spessore giuridico opporre che
 per i magistrati dei T.A.R.  e  del  Consiglio  di  Stato  "sotto  il
 profilo  del  ruolo  non  vi  sia  formale  unificazione  fra  le due
 categorie".  Contrasterebbe invero con tale tesi il fatto che  l'art.
 23 legge 27 aprile 1982, n. 186 prevede un unico ruolo dei magistrati
 amministrativi,  all'interno  del quale v'e' solo una distinzione per
 qualifica.
   Andrebbe, piuttosto, tenuto  conto  che  l'unico  principio  valido
 nell'ordinamento  e'  quello fissato all'art. 107 della Costituzione,
 secondo il quale "I Magistrati si distinguono fra loro  soltanto  per
 diversita'   di  funzioni";  ne'  possono  esservi  dubbi  che  anche
 nell'attuale  architettura costituzionale il giudice amministrativo -
 in quanto tale -  e'  omogeneo  per  status  e  funzione  al  giudice
 ordinario.
   Ancor  meno  pregio  pare  al Collegio avere l'argomento secondo il
 quale "che non si tratti di un'unica carriera in senso proprio appare
 derivare dalla circostanza che il magistrato T.A.R. che transita  nel
 Consiglio  di  Stato non conserva l'anzianita' maturata nel ruolo dei
 T.A.R.".
   I resistenti si riferiscono all'art. 23,  quinto  comma,  legge  n.
 186  del  1982, che per i magistrati T.A.R., in servizio alla data di
 entrata in vigore della legge, che passino  in  Consiglio  di  Stato,
 limita  a  cinque  anni  l'anzianita'  acquisita  nella  qualifica di
 consigliere di tribunale amministrativo.  Tale  norma,  infatti,  non
 puo'  che  far  parte  del  sistema  di  salvaguardia delle posizioni
 all'epoca in atto, e quindi avere mero valore  di  norma  transitoria
 alla stregua dei successivi commi.
   Se cosi' non fosse, apparendo evidente il contrasto con l'art.  107
 della  Costituzione,  la  norma  potrebbe essere valutata dalla Corte
 costituzionale - ed a tal fine  si  segnala  -  per  l'esercizio  del
 potere  di  estensione  della  illegittimita'  costituzionale  di cui
 all'art.  27 legge 11 marzo 1953 n.  87,  essendo  espressione  della
 medesima incoerenza che ha ispirato l'art. 7 in discorso.
   Dalle  considerazioni  che  precedono  il  Collegio  e'  indotto  a
 ritenere che l'art. 7, secondo comma, piu' volte citato appare  quale
 singolare  anacronismo legislativo diretto non tanto alla garanzia di
 rappresentativita' di una minoranza, quanto piuttosto  al  predominio
 della  minoranza,  e  non  tanto  alla  garanzia  delle attivita' dei
 giudici,   quanto   piuttosto   all'ingresso   di    attivita'    non
 giurisdizionali,  e  tutto cio' in un organismo di autogoverno di una
 magistratura, per di piu' privo di componenti "laici".
   In  una  tale  situazione,  la  prospettazione   degli   interessi,
 istituzionali  e  non,  all'interno  dell'organo di autogoverno della
 magistratura amministrativa non puo' che seguire la logica dei numeri
 e delle differenti connotazioni delle due componenti.
   Ne deriva  per  il  Collegio,  da  tutto  quanto  precede,  la  non
 manifesta   infondatezza   delle   eccezioni  di  incostituzionalita'
 dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del 1982,  oltre  che  nella
 parte  precisata  nel  precedente  punto  V, anche nella parte in cui
 fissa la composizione del Consiglio  di  presidenza  della  giustizia
 amministrativa  in violazione del criterio della rappresentativita' o
 proporzionalita'  dei  magistrati  appartenenti  alla   giurisdizione
 amministrativa,   per   contrasto   con  i  seguenti  principi  della
 Costituzione:
     art. 3, primo comma,  della  Costituzione,  in  quanto  la  norma
 censurata appare creare una irragionevole discriminazione quanto alla
 rappresentativita'   nell'organo   di   autogoverno   fra  magistrati
 appartenenti alla stessa giurisdizione con violazione del  canone  di
 coerenza dell'ordinamento giuridico;
     art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto la violazione
 del   principio   di  rappresentativita',  dando  prevalenza  ad  una
 componente minoritaria  e,  quindi,  a  visioni  ed  interessi  della
 medesima,   appare   violare   il  principio  di  buon  andamento  ed
 imparzialita' dell'organo di autogoverno;
     art.  101,  secondo  comma,  e  art.  108,  secondo  comma, della
 Costituzione, in quanto lo sperequato sistema  di  rappresentativita'
 nell'organo di autogoverno appare idoneo ad incidere sul principio di
 indipendenza del giudice;
     art.   107,   terzo  comma,  della  Costituzione,  in  quanto  la
 sperequazione descritta  appare  porsi  in  contrasto  col  principio
 secondo  il  quale  i magistrati si distinguono fra loro soltanto per
 diversita' di funzioni.
   VII. - Stante la rilevanza e la  non  manifesta  infondatezza  come
 dianzi  precisate,  il  Collegio  sospende il giudizio cautelare, non
 potendo essere definito  indipendentemente  da  una  pronuncia  della
 Corte costituzionale.