LA COMMISSIONE
   Riunitasi nella camera di consiglio del 15 febbraio 1997;
   Rilevato  che  con  distinti  ricorsi depositati in data 19 gennaio
 1996 i signori Bernini Rigoletto ed  altri,  Grassi  Luca  ed  altri,
 Guerrazzi   Giovanni  ed  altri  proponevano  ricorso  avanti  questa
 Commissione  avverso  gli  avvisi  di  liquidazione  di  imposta   ed
 irrogazione   di   sanzioni   emessi  dall'Ufficio  del  registro  di
 Pontedera, con i quali venivano ricalcolati in base   alla  legge  13
 maggio  1988 n. 154, i valori di due immobili compravenduti nel corso
 dell'anno 1993 tra le parti ricorrenti, rispetto a quelli  dichiarati
 in atto, e conseguentemente ricalcolate le maggiori imposte dovute ai
 fini INVIM ed imposta di registro;
   Rilevato  che  l'Uffico determinava il valore dei due beni immobili
 censiti al N.C.E.U. del comune di Cascina, partita 1007959, fg. 8, n.
 254 sub A cat. C/1 cl. 6 e N.C.E.U. comune  di  Cascina,  partita  n.
 1007956, fg. 8, n. 254, sub. 7, cat. C/1 cl. 7, rispettivamente in L.
 123.134.200  e  L.  55.814.000,  a fronte di quelli determinabili per
 effetto delle nuove rendite come introdotte dalla legge n. 75/1993  e
 richieste  dai  ricorrenti  in  L.  87.393.600 e L. 39.535.200 e che,
 pertanto,  i  ricorrenti  Bernini  Rigoletto,  Simonetta,  Michela  e
 Leporelli  Leda  (venditori)  chiedevano  che  l'imposta ed accessori
 INVIM dovuta venisse statuita in,  rispettivamente,  L.  7.859.415  e
 3.079.755, a fronte di quella accertata dall'Ufficio in L. 12.398.000
 e  L.  5.521.600,  mentre i ricorrenti Grassi Luca, Zoppi Alessandra,
 Ulmiani  Giuseppe  Alessandro,  Grassi  Lina,  Guerrazzi  Giovanni  e
 Bernini  Vivetta  (acquirenti) determinavano e chiedevano che venisse
 accertata l'imposta di registro ed accessori in  L.  1.815.560  e  L.
 188.068   a   fronte  delle  maggiori  somme  accertate  e  richieste
 dall'Ufficio a titolo di imposta ed accessori per L. 6.266.000  e  L.
 2.114.000;
   Rilevato che con propria ordinanza emessa in sede di discussione la
 Commissione  provvedeva  alla  riunione  dei  ricorsi  per ragioni di
 connessione oggettiva;
   Rilevato  che  in  tali  ricorsi  i  contribuenti  sostenevano  che
 l'Ufficio aveva applicato, ai fini del calcolo dell'imposta, non gia'
 le  rendite  catastali  risultanti dalla applicazione della normativa
 prevista dall'art.  2,  comma  1,  d.-l.  23  gennaio  1993,  n.  16,
 convertito in legge 23 marzo 1993 n. 75, come ritenuto piu' corretto,
 ma  quelle,  per loro ben piu' onerose, derivanti dai d.m. 20 gennaio
 1990, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7 febbraio 1990;
   Rilevato  che  alla  pubblica  udienza  di  discussione   l'Ufficio
 tributario  ha sostenuto di aver applicato correttamente le rendite e
 cio' in virtu' del chiaro disposto della legge 23 marzo 1993,  n.  75
 che impone che fino alla data del 31 dicembre 1993 restino in vigore,
 ai fini delle imposte applicate nella fattispecie de qua (registro ed
 INVIM), le rendite gia' determinate in esecuzione del d.l. 20 gennaio
 1990;
   Rilevato   che   il  ricorrente  ha  proposto  una  interpretazione
 "estensiva"  dell'art.  2,  d.m.  16/1993,  ritenendo  che  esso  sia
 intervenuto  per correggere le rendite precedenti, ritenute errate, e
 che,  quindi,  l'abbassamento  intervenuto  non  potesse  che   avere
 efficacia   retroattiva,  dovendosi  ricondurre  al  momento  in  cui
 l'errore fu commesso;
   Tanto considerato, la Commissione osserva quanto di seguto:
     a) ritiene la Commissione di aderire,  in  linea  interpretativa,
 alla   impostazione   data   dall'Ufficio   del   registro,   essendo
 incontrovertibile che il dato normativo riportato nell'art. 2,  comma
 1, d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16, come convertito nella legge 23 marzo
 1993, n. 75, imponga effettivamente di applicare, in ogni caso in cui
 questo  sia richiesto dalla legge, le tariffe d'estimo risultanti dal
 decreto ministeriale 20 gennaio 1990 anche per tutto l'anno  1993  ad
 ogni fine che non sia quello delle imposte dirette;
     b)  cosi  argomentando, tuttavia, emerge una rilevante disparita'
 di trattamento cui la legge in questione sottopone i contribuenti che
 si  trovano   in   situazione   sostanzialmente   analoga.   Infatti,
 l'applicazione  letterale  della  norma,  necessitata allo stato, non
 essendo   consentito   alla  attivita'  interepretativa  del  giudice
 oltrepassare quello che e' il disposto risultante dal  senso  proprio
 delle parole secondo la connessione di esse, comporta per coloro che,
 per  avventura,  hanno dato luogo al momento genetico dell'imposta in
 data  successiva  al  31  dicembre  1993,  la  applicazione  di   una
 imposizione sensibilmente diversa;
     c)  scopo  della  attribuzione  di  una  rendita  catastale  agli
 immobili e', infatti, quello di omogeneizzare  e  predeterminare,  in
 via  preventiva  e  generalizzata, i valori minimi che possono essere
 attribuiti  a  detti  beni  ai  fini  della  imposizione   tributaria
 conseguente al loro possesso o negoziazione.
   Ora,  nell'esercizio della propria potesta' impositiva lo Stato non
 dovrebbe ricorrere a criteri che possono dar luogo  a  situazioni  di
 disparita', essendo il prelievo tributario improntato da una parte al
 principio   di   progressivita'  e  dall'altro,  in  conseguenza,  di
 ragionevolezza.  Un tributo che colpisca  senza  motivo  solo  alcuni
 contribuenti,  e solo per un certo periodo, in maniera difforme ed in
 misura maggiore rispetto ad altri, non sembra rispondere ai requisiti
 costituzionali.
   Del  resto,  esaminando  la  situzione  nella  quale  la  legge  di
 riferimento   fu   emanata,   si  ricava  che  scopo  principale  del
 legislatore era, o avrebbe dovuto essere, quello  di  armonizzare  le
 rendite  catastali  riportandole ad una misura piu' congrua, dato che
 da molte parti, mediante ricorso alle Commissioni censuarie,  diversi
 comuni  avevano ottenuto l'abbassamento delle rendite determinate con
 d.m. 20 gennaio 1990.
   Da cio' discende, in  via  interpretativa,  che  effettivamente  il
 d.-l. 23 gennaio 1996, n. 16, come convertito nella legge n. 75/1993,
 sembra  essere  stato emanato a "correzione" di rendite che lo stesso
 legislatore  ha  riconosciuto  non  essere   congrue,   perche'   non
 rispondenti a criteri di ragionevolezza.
   Pertanto,  vincolare,  come  detta  disposizione  di legge fa, alla
 applicazione delle norme  "errate"  tutti  i  contribuenti  che,  per
 avventura,  hanno  posto  in essere il momento genetico della imposta
 solamente in un certo periodo, significa creare senza alcuna ragione,
 disparita' di trattamento tra questi e coloro che invece hanno  posto
 in essere tale momento genetico in tempi successivi;
     d)   tale   considerazione   porta   a   manifestare   dubbi   di
 illegittimita' costituzionale della norma  citata  sotto  un  duplice
 profilo,  per  violazione  degli  artt.  3 e 53, comma secondo, della
 Costituzione, irragionevoli;
     e)   per   le   considerazioni   sopra   esposte,   risulta   non
 manifestamente infondata una questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.    2,  d.-l.  2  gennaio 1993, n. 16, come convertito nella
 legge 23 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui prevede che restino in
 vigore, fino al 31 dicembre 1993, le tariffe di estimo e  le  rendite
 gia'   determinate   in   esecuzione   del   d.m.  20  gennaio  1990,
 relativamente alla  applicazione  delle  imposte  diverse  da  quelle
 dirette,  in  relazione all'art. 3 della Costituzione ed all'art. 53,
 comma secondo, della Costituzione.  Si osserva, infatti, anche da una
 sommaria analisi delle decisioni dei vari direttori  regionali  delle
 entrate,  che  la prassi interpretativa sul punto, posta in opera dai
 vari   uffici   tributari,   risulta   essere   assai   variegata   e
 contraddittoria,  proprio  per  il  tentativo,  posto in essere dagli
 uffici,  di  ovviare  in  via  interpretativa  alla   percezione   di
 sostanziale  incoerenza  e di disparita' di trattamento cui da' luogo
 la intepretazione letterale della norma citata;
     f) la medesima questione e' anche rilevante ai fini del  presente
 giudizio  in quanto, qualora non fossero rimessi gli atti alla Corte,
 dovrebbe  trovare   applicazione   nella   fattispecie   proprio   la
 disposizione   della  cui  legittimita'  questa  Commissione  dubita.
 Infatti, la norma da applicare al caso  di  specie  e'  pacificamente
 quella  sopra riportata, il cui tenore letterale non si ritiene, allo
 stato, superabile in via interpretativa.