IL PRETORE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  penale   n.
 1699/B/95  r.n.r.p.m.  -  2309/97 r.g.p. a carido di Piol Gianluigi e
 Gorda Maria, imputati dei reati di cui agli artt. 20, lett. c), legge
 n. 47/1985, 1, 1-sexies legge n. 431/1985, 221 t.u.ll.ss.
   All'udienza  del  6  novembre   1997,   prima   dell'apertura   del
 dibattimento,  il  difensore  degli  imputati,  premesso  che  questo
 giudice aveva emesso, quale  giudice  per  le  indagini  preliminari,
 nella relativa fase, decreto di sequestro preventivo dell'immobile di
 proprieta' dei convenuti, in quanto abusivamente costruito e abitato,
 sollevava  eccezione  di  illegittimita'  costituzionale dell'art. 34
 c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa  partecipare  al
 giudizio  dibattimentale  il  giudice  che abbia in precedenza, quale
 g.i.p., emesso una misura cuatelare reale.
   Il p.m. non aderiva all'eccezione, asserendo che la  questione  non
 presentava il requisito della non manifesta infondatezza.
   Questo  giudice riteneva invece la non manifesta infondatezza della
 questione e la sua rilevanza nel  presente  processo,  disponendo  la
 sospensione  del  medesimo  e  la  trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale, come da separata ordinanza.
   Nella  presente  sede, a motivazione di quanto disposto in udienza,
 osserva questo giudice quanto segue.
   Il   contenuto   attuale   dell'art.   34    c.p.p.,    concernente
 l'incompatibilita'  del  giudice  determinata  da  atti  compiuti nel
 procedimento, va considerato alla luce  dalle  numerose  pronunce  di
 illegittimita'  della  Corte  costituzionale  susseguitesi  in questi
 pochi anni di vigenza del codice di rito.
   In particolare, tra le piu' vicine  alla  questione  sollevata  nel
 presente  processo,  meritano  di  essere richiamate le sentenze 6-15
 settembre  1995,  n.  432  (in  tema  di  incompatibilita'  derivante
 dall'azione  di  misure  cuatelari personali) e 17-24 aprile 1996, n.
 131.
   In quest'ultima la Corte, richiamando  varie  pronunce  antecedenti
 (tra   le   quali   appunto   la   n.   432/1995),  ribadiva  che  la
 incompatibilita' del giudice  determinate  da  ragioni  interne  allo
 svolgimento   del   processo   sono   finalizzate   a   evitare   che
 condizionamenti,  effettivi  o  apparenti,  derivanti  da  precedenti
 valutazioni  compiute nel medesimo procedimento, possano pregiudicare
 o far apparire pregiudicata l'attivita' di giudizio.
   Il principio veniva meglio illustrato dalla Corte con  le  seguenti
 precisazioni.
   In   primo   luogo,   il   presupposto   di  ogni  incompatibilita'
 endoprocessuale e la preesistenza di valutazioni  che  riguardino  la
 medisima res judicanda.
   In secondo luogo, rilevante ai fini dell'incompatibilita' non e' la
 mera  conoscenza  di  precedenti  atti riguardanti il processo, ma il
 fatto che il giudice sia stato chiamato a  compiere  una  valutazione
 degli stessi, al fine di una decisione.
   In  terzo  luogo,  non  tutte  le  valutazioni  danno  luogo  a  un
 pregiudizio rilevante, ma solo quelle non formali, di contenuto, vale
 a dire concernenti il merito dell'accusa.
   Infine, le valutazioni che danno luogo ad  incompatibilita'  devono
 appartenere  a  fasi  diverse  del processo, ragionevole essendo che,
 all'interno  di  ciascuna  di  esse,  sia  preservata  l'esigenza  di
 continuita' e globalita'.
   Orbene,  nel  caso  di  specie  sembrano  sussistente  tutti questi
 presupposti.
   E' ben vero che l'emissione di un decreto  di  sequesto  preventivo
 non comporta la previa valutazione dell'esistenza di "gravi indizi di
 colpevolezza",  richiesti  invece  per l'adozione di misure cautelari
 personali dall'art. 273 c.p.p., norma non  richiamata  dall'art.  321
 c.p.p.:  tuttavia,  non vi e' dubbio che la misura cautelare reale di
 specie implichi, da parte  del  giudice,  la  convinzione  in  ordine
 all'esistenza,  quanto  meno,  di  indizi  di  reato;  tanto  si puo'
 ricavare dal testo della norma, laddove essa pone a presupposto della
 misura  "il  pericolo  che  la  libera  disponibilita'  di  una  cosa
 pertinente  al  reato  possa  aggravare o protrarre le conseguenze di
 esso ovvero agevolare la commissione di altri reati...".
   Ad avviso di questo giudice, tali indicazioni normative significano
 che per l'emissione del provvedimento non  e'  sufficiente  una  mera
 ipotesi   astratta   di   reato,  ovvero  la  semplice  pendenza  del
 procedimento e l'esistenza di un'imputazione, ma e' necessario che il
 giudice compia un apprezzamento anche in fatto, sia  pure  non  cosi'
 approfondito come quello richiamato dall'art. 273 c.p.p.
   Per  il  resto,  in  ipotesi come quella di specie paiono ricorrere
 tutti i  presupposti  della  incompatibilita'  indicati  dalla  Corte
 costituzionale nella sentenza n. 131/1996.
   Pertanto,  non  si  ritiene  azzardato  ravvisare  una lacuna nelle
 ipotesi previste dall'art. 34 c.p.p., anche alla luce delle  pronunce
 della  Corte  in  subiecta  materia,  lacuna tale da far apparire non
 manifestamente infondata la questione di legittimita' della norma, in
 relazione agli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione.
   Quanto alla rilevanza della questione nel presente  processo,  essa
 e'  palese,  posto  che  questo  giudice,  come  accennato, ha emesso
 decreto di sequestro preventivo, quale g.i.p., dell'immobile  cui  si
 riferiscono  i  capi  d'imputazione, con la seguente motivazione "...
 l'immobile di cui sopra, edificato senza concessione edilizia e senza
 autorizzazione, in zona sottoposta a vincolo  paesaggistico,  risulta
 abilitato,  nonostante  l'assenza  di certificato di abitabilita' (v.
 verbale di sopralluogo 16 agosto 1995 del comune di Arsie'). Sussiste
 quindi il reato di cui all'art. 221 t.u.ll.ss.
   Tale reato e' permanente e quindi  suscettibile  di  protrarsi  nel
 tempo".