ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  quinto
 comma,  della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, promosso con ordinanza
 emessa il 5 novembre 1996 dal Tribunale di Santa Maria  Capua  Vetere
 nei  procedimenti  riuniti  di  prevenzione  nei confronti di Gaudino
 Giuseppe, iscritta al n. 245 del registro ordinanze 1997 e pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  20,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 26 novembre 1997 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto che nel corso  di  un  procedimento  promosso  dal  locale
 Procuratore della Repubblica diretto all'applicazione della misura di
 prevenzione  della  sorveglianza  speciale  di pubblica sicurezza, il
 Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in presenza di  una  richiesta
 di  differimento  dell'udienza  in  camera  di consiglio avanzata dal
 difensore del proposto il quale aveva allegato il  proprio  legittimo
 impedimento  a  comparire all'udienza stessa, ha, con ordinanza del 5
 novembre 1996, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  24,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  questione  di legittimita' dell'art. 4,
 quinto comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella  parte  in
 cui  non  prevede l'applicazione della disciplina contenuta nell'art.
 486,  comma  5,  del  codice  di  procedura  penale,  relativa   alla
 valutabilita'    dell'impedimento   del   difensore   a   partecipare
 all'udienza camerale ed, in particolare, a quella  della  trattazione
 del procedimento di prevenzione;
     che  il giudice a quo premesso che il procedimento di prevenzione
 e' disciplinato, dopo l'entrata in vigore del codice del 1988,  dagli
 artt.  678 e 666 dello stesso codice, e che pur disponendo il comma 4
 dell'art.  666  che  "l'udienza  si  svolge  con  la   partecipazione
 necessaria  del  difensore  e  del pubblico ministero", la prevalente
 giurisprudenza ha ritenuto necessaria e sufficiente la presenza di un
 difensore anche nominato di ufficio, in  sostituzione  di  quello  di
 fiducia   legittimamente   impedito  -  cosi'  da  affermare  la  non
 applicabilita' della disposizione dell'art. 486, comma 5  -,  ravvisa
 nell'interpretazione  restrittiva  seguita  dalla Corte di cassazione
 quella  piu'  aderente,  "sotto  il  profilo  strettamente  formale",
 all'assetto  sistematico  del  nuovo  codice: sia per la collocazione
 topografica della norma sia per l'assenza di ogni richiamo a "vicende
 processuali  extradibattimentali";  una  scelta  da   ritenere   piu'
 rigorosa  per l'assenza di ogni richiamo alla figura del difensore di
 fiducia e per la conseguente operativita' dell'art. 97, comma 4,  che
 stabilisce  la  regola  della sostituzione del difensore di fiducia -
 ove la sua presenza sia richiesta come necessaria - con un  difensore
 d'ufficio;
     che, sempre secondo il tribunale rimettente, la detta disciplina,
 mentre  appare  coerente  ad  un  assetto che si ispira alla corretta
 esigenza di privilegiare  la  celerita'  dei  procedimenti  camerali,
 risulta pero' irragionevole, oltre che contrastante con il diritto di
 difesa  del proposto, anche considerando che la Corte costituzionale,
 con sentenza n. 76 del 1970, aveva gia'  dichiarato  l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  secondo comma, della legge n. 1423 del
 1956, nella parte in cui, disciplinando la misura della  sorveglianza
 speciale  della  pubblica  sicurezza,  da  adottarsi dal tribunale in
 camera di consiglio,  non  prevedeva  l'assistenza  obbligatoria  del
 difensore,   con   in   piu'   l'argomento   che  prioritario  doveva
 considerarsi "l'interesse umano oggetto del procedimento, vale a dire
 quello supremo della liberta' personale";
     che     il     tutto     si     uniformava    alla    progressiva
 giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, cui  non  ha
 fatto  riscontro nel nuovo sistema una corrispondente adeguata tutela
 del diritto della difesa,  cosicche'  non  trova  giustificazione  la
 mancata estensione al procedimento per l'applicazione delle misure di
 prevenzione  delle  regole dettate a tutela del diritto di difesa per
 la  fase  dibattimentale,  nonostante  che   la   procedura   diretta
 all'applicazione di tali misure si concluda "con una pronuncia avente
 carattere  definitivo nel merito", senza contare l'esercizio da parte
 del pubblico ministero di "una  vera  e  propria  azione  diretta  ad
 ottenere,  come  con  l'azione penale, in dibattimento, una pronuncia
 definitiva eventualmente sfavorevole all'interessato";
     che,  in  conclusione,  malgrado  la   presenza   "di   oggettive
 difficolta'  a  presenziare  per  il  difensore,  che  pur andrebbero
 valutate con il rigore propriamente affermato dalla  Suprema  Corte",
 risulta  "palese la violazione del diritto di difesa del proposto, il
 quale  spesso,  a  fronte  di  questioni  complesse,  anche  per   la
 pluralita'  di  fatti  oggetto  di valutazione, verrebbe a subire una
 pronuncia privato della effettiva ed integrale difesa";
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
     che, relativamente alla  dedotta  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione,  l'atto  di  intervento  osserva  che l'evocato tertium
 rappresentato  dall'udienza  dibattimentale  sarebbe  non  pertinente
 attesa  la  diversa  "intensita'"  dell'istruttoria da svolgere nella
 fase del dibattimento, mentre quanto alla dedotta  lesione  dell'art.
 24,   secondo   comma,   della  Costituzione,  la  questione  sarebbe
 egualmente  non  fondata,  in  presenza  di  diverse   modalita'   di
 esplicazione  della  difesa tecnica, perfettamente compatibili con la
 norma costituzionale invocata.
   Considerato che il perdurante contrasto giurisprudenziale circa  la
 riferibilita'  dell'art. 486, comma 5, del codice di procedura penale
 anche al procedimento per l'applicazione delle misure di  prevenzione
 non  consente  di  ritenere  che  si sia formato un "diritto vivente"
 quanto all'estensibilita' dell'art.  486,  comma  5,  del  codice  di
 procedura penale a tale procedura;
     che,  in  assenza un indirizzo giurisprudenziale consolidato, "il
 giudice ha il  dovere  di  seguire  l'interpretazione  ritenuta  piu'
 adeguata  ai  principi  costituzionali" (cfr., da ultimo, sentenza n.
 350   del    1997),    perseguendo    altrimenti    l'incidente    di
 costituzionalita'  il solo fine di realizzare "un improprio tentativo
 di  ottenere  dalla  Corte  costituzionale  l'avallo  a   favore   di
 un'interpretazione  contro  un'altra interpretazione" (v. sentenza n.
 356 del 1996), tanto piu' che il rimettente, pur  affermando  la  non
 censurabilita'   sul   piano  interpretativo  dell'indirizzo  da  lui
 ritenuto contra Constitutionem non esclude che da altrettanto  rigore
 possa essere contrassegnata l'opposta interpretazione;
     che,  di  conseguenza,  ove  siano  possibili letture alternative
 della norma, si  impone  di  scegliere  quella  ritenuta  conforme  a
 Costituzione,  "senza pervenire alla extrema ratio della declaratoria
 di  illegittimita'  costituzionale"  (sentenza  n.  99   del   1997),
 finendosi  in  caso  contrario  per  utilizzare  surrettiziamente  la
 quaestio de legitimitate tanto da addossare sulla Corte  il  compito,
 attraverso la pronuncia di illegittimita' costituzionale, di superare
 le  perplessita' ermeneutiche che lo stesso giudice a quo e' in grado
 di dissolvere;
     che,  dunque,  dovendo  la  denuncia  in  tal  modo   prospettata
 definirsi  alla  stregua di un mero dubbio interpretativo, sollevato,
 oltre  tutto,  senza  verificare  adeguatamente  la  possibilita'  di
 applicare  nel  caso di specie la norma in grado di non compromettere
 l'osservanza dei parametri costituzionali invocati, la questione deve
 essere dichiarata manifestamente inammissibile;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.