IL TRIBUNALE CIVILE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 75042 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 1993 posta in deliberazione all'udienza collegiale del 2 maggio 1997 e vertente tra Macchioni Vittorio, attore, elett.te dom.to/i in Roma, via A. Cruto, 8 presso lo studio del procuratore avvocato Mitolo Antonio, che lo rappresenta e difende per delega a margine dell'atto di citazione, e il Ministero delle poste e telecomunicazioni, convenuto, elett.te dom.to/i in Roma, via dei Portoghesi, 12, all'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per delega in calce alla comparsa di risposta. Oggetto della causa: p.a. altri rapporti. Ritenuto in fatto ed in diritto Con atto di citazione notificato in data 16 ottobre 1993 il sig. Macchioni Vittorio, quale titolare della ditta Barbara Bijoux, conveniva in giudizio innanzi a questo tribunale il Ministero delle poste e telecomunicazioni al fine di sentir lo stesso condannato al risarcimento del danno, quantificato in lire seimilioni, conseguente al ritardato pagamento di un vaglia telegrafico; parte attrice, in particolare, esponeva di aver spedito in data 2 dicem-bre 1992 dall'ufficio postale di Roma Ostiense un vaglia telegrafico di L. 818.000 alla ditta Buttura di Milano per l'acquisto di merce da regalo da rifinire e porre in vendita per le feste natalizie e di capodanno; e che detto vaglia telegrafico venne recapitato, con grave disservizio comportante la responsabilita' dell'Amministrazione postale, con ben diciassette giorni di ritardo ovvero il 19 dicembre 1991 quando la lavorazione non poteva assolutamente piu' essere predisposta in tempo utile per le vendite di fine anno (la circostanza della grave entita' del ritardo risulta peraltro incontestata e formalmente ammessa con risposta - solo del 30 ottobre 1992 - della direzione centrale servizi bancoposta). Costituitosi in giudizio con apposita comparsa del 16 febbraio 1994 l'Ente poste italiane, succeduto ope legis al Ministero ex art. 6, comma 1, legge 29 gennaio 1994, n. 71 di conversione del precedente d.-l. 1 dicembre 1993, n. 487, prescindendo dalla circostanza dell'entita' del ritardo, affermava che ostava comunque all'accoglimento della domanda il disposto di cui all'art. 6 del codice postale (d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156), secondo il quale "l'Amministrazione non incontra alcuna responsabilita' per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni, fuori dei casi e dei limiti espressamente stabiliti dalla legge". Tale norma, direttamente applicabile alla fattispecie e di certo influente ai fini del decidere, e' gia' stata utilizzata al fine di limitare la responsabilita' dell'(allora) p.a. da talune decisioni della S.C. (ad es.: Cass. SS.UU. 6 dicembre 1978, n. 5750 e Cass. 29 aprile 1981, n. 5176), ma e' pure stata oggetto di declaratoria di illegittimita' con sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 17 marzo 1988. Con tale decisione (resa all'epoca in cui i servizi bancoposta ed assimilati non erano ancora gestiti dal neo-istituito Ente poste) la Corte costituzionale ebbe ad affermare l'incostituzionalita' del citato art. 6, nonche' degli artt. 28, 48 e 93 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 nella parte in cui non disponevano che l'amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni non e' tenuta al risarcimento dei danni, oltre all'indennita' di cui all'art. 28 cit., in caso di perdita o di manomissione di raccomandate con le quali siano stati spediti vaglia cambiari emessi in commutazione di debiti dello Stato. La citata decisione della Corte costituzionale, resa al fine di escludere l'illegittima limitazione della responsabilita', appare a questo collegio come la prima di una serie di decisioni tutte improntate, sotto vari profili, al superamento di anacronistiche situazioni di privilegio e disparita' in violazione di piu' norme dettate dalla Costituzione (cfr. Corte cost. sentenze n. 1104/1988 e n. 456/1994, con le quali - rispettivamente - e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 6 del cit. decreto del Presidente della Repubblica, nella parte in cui dispone che il concessionario del servizio telefonico non e' tenuto al risarcimento dei danni per le interruzioni del servizio dovute a sua colpa al di fuori dei limiti ex art. 89, secondo comma del r.d. 19 luglio 1941, n. 1198, e dello stesso art. 6 nella parte in cui esclude la responsabilita' della societa' concessionaria del servizio telefonico per le erronee indicazioni nell'elenco degli abbonati, come specificate dall'art. 25 del d.m. 11 novembre 1930). Anche con riguardo alla complessiva ratio delle cennate decisioni, questo Collegio ritiene che la questione di illegittimita' costituzionale del medesimo art. 6, nella parte in cui esclude ogni responsabilita' in ordine al risarcimento del danno conseguente a disservizio e grave ritardo nell'espletamento del servizio di vaglia telegrafico, vada oggi sollevata d'ufficio con riferimento alle norme di cui agli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione. La stessa questione, oltre che per gli analoghi citati precedenti di cui alle decisioni della Corte costituzionale, appare doverosa specie con riguardo alla nuova natura del gestore del servizio postale nel nostro paese ovvero all'Ente poste italiane, succeduto come detto ope legis alla precedente amministrazione: il tutto, quindi, con indubbia accentuazione del carattere e dell'impronta privatistica del servizio a maggior ragione inconciliabile con limitazioni di responsabilita' che non appaiono francamente piu' giustificabili e logicamente sostenibili (come, peraltro, dimostrato ulteriormente ed indirettamente da talune altre innovazioni quale - ad esempio - concernente la sottrazione al medesimo Ente dei poteri di controllo, ispettivi e sanzionatori sulla gestione di servizi eventualmente in violazione della privativa postale (v.: artt. 2 e 11 legge n. 71/1994 e 48 d.m.p.t. 4 settembre 1996 e parere C.d.S.- A.G. 27 luglio 1996, n. 124). Va, pertanto, stante l'innegabile e gia' ritenuta influenza ai fini del decidere della sollevata questione, sospeso il presente giudizio e disposta la trasmissione degli atti, per quanto di competenza, alla Corte costituzionale.