LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza vista l'istanza - avanzata dalle parti civili rappresentate dall'avvocato dello Stato Vigoriti e dall'avv. Sergio - di sospensione del procedimento, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimita' costituzionale degli artt. 228, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e 1, d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito, con modificazioni, nella legge 3 aprile 1979, n. 25, in relazione all'art. 3 della Costituzione, sollevata il 14 novembre 1997 dal tribunale di Napoli nel procedimento penale a carico di Marsiglio Valerio ed altri; Osservato che l'istanza, cosi' come proposta, non puo' essere accolta, ma che la Corte puo' esercitare la facolta' di risollevazione, d'ufficio, la questione, ex art. 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuto che la questione stessa va sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, in conseguenza dell'entrata in vigore della legge 16 luglio 1997, n. 234, che ha riformato l'art. 323 c.p., dal momento che il legislatore odierno ha ancorato la sussistenza del reato di cui all'art. 323 c.p. al verificarsi di un evento di danno, ne' e' piu' sufficiente, per la configurabilita' di quel reato, qualsivoglia condotta abusiva, questa dovendo concretizzarsi nella "violazione di norme di legge o di regolamento" ovvero nella violazione dell'obbligo "di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto"; Considerato, invero, che la differenza di trattamento venutasi a determinare per effetto delle modifiche apportate alla legge n. 234/1997 fra il curatore fallimentare (e gli altri soggetti equiparati) ed il pubblico ufficiale rispetto alla situazione precedente appare evidente, ove sol si osservi che il curatore e gli altri soggetti equiparati dovessero continuare a rispondere, ex art. 228 regio decreto cit., di qualunque condotta che comporti una presa d'interesse, vale a dire l'assunzione di un'interessenza di un affare attinente all'ufficio sucitato, senza che abbia rilievo, ai fini dell'integrazione dell'illecito, la legittimita' o meno dell'atto in se', la liceita' dei mezzi usati, il fatto che ne sia derivato o meno un danno patrimoniale o che, comunque, l'agente abbia realizzato un vantaggio non apprezzabile; Atteso che, in presenza di una riforma che ha operato un ridimensionamento del reato di abuso d'ufficio di portata tale da sostituire al controllo penale molte delle condotte gia' qualificabili di interesse privato ovvero di abuso non patrimoniale, non appare ammissibile che di tali condotte debbano invece continuare a rispondere indiscriminatamente il curatore fallimentare e gli altri soggetti equiparati; e cio' non senza considerate che la divaricazione tra le due norme incriminatrici dipende da un intervento legislativo diretto a soddisfare un'esigenza, ampiamente condivisa, di piu' puntuale determinazione delle condotta punibile a titolo di abuso ex art. 323 c.p., esigenza che, per le ragioni che le ispirano, non puo' ritenersi comune anche all'ipotesi di cui all'art. 228 legge fallimentare; Ritenuto che e' appena il caso di aggiungere che la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale de quo risulta, nella fattispecie, evidente, giacche' l'imputato e' chiamato a rispondere del reato di interesse privato in atti d'ufficio ex art. 228 legge fall. sulla base di una generica presa d'interesse, non ancorata alla "violazione di norme di legge o di regolamenti" ovvero all'obbligo di "astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto", e che la questione medesima va estesa, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, anche all'art. 1, sesto comma, d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 aprile 1979, n. 25, nella parte in cui prevede l'applicabilita' dell'art. 228 legge fall., anche al commissario straordinario delle imprese in causa.