LA CORTE D'ASSISE
   Ha emesso la seguente ordinanza, visti gli atti del procedimento n.
 2/97  r.g.  Corte  d'Assise, n. 639/96 g.i.p. e n. 728/96 r.g.n.r., a
 carico di Floramo Francesco, nato a Barcellona P.G. (Messina)  il  23
 gennaio  1965, residente a Falcone via Martiri del Congo n. 4/8, e di
 Munafo' Giancarlo nato a Torregrotta (Messina) il  19  gennaio  1973,
 domiciliato  a Roccavaldina (Messina) via Basso Casale n. 2, imputati
 come in atti.
   Esaminata  l'istanza  proposta  dal  pubblico  ministero   che   ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 513
 c.p.p. cosi' come  modificato  dall'art.  1  legge  n.  267/1997  per
 violazione  degli  artt.  2,  3, 24, 25, 101, 112 della Costituzione,
 nonche' dell'art.  6 legge n. 267/1997 per violazione degli artt.  2,
 3, 24, 101 e 112 della Costituzione.
   Ritenuto che la questione sollevata in relazione all'art. 6 legge 7
 agosto  1997  n.  267, e' rilevante nel presente giudizio, poiche' il
 pubblico ministero ha  chiesto  l'acquisizione  e  la  lettura  delle
 dichiarazioni  rese  da  Mondi  Carmelo  e  Imbesi  Franco,  entrambi
 imputati  in  procedimenti  connessi,  i  quali  si   sono   avvalsi,
 all'udienza  dibattimentale  del 30 settembre 1997, della facolta' di
 non rispondere.
   Rilevato che, nel caso  di  specie,  ricorrono  i  presupposti  per
 l'applicabilita' della disciplina transitoria di cui al secondo comma
 dell'art.  6  legge  citata,  poiche'  trattasi di "giudizio di primo
 grado in corso" al momento di entrata in vigore della legge 7  agosto
 1997  n.  267, risalendo il decreto che dispone il giudizio alla data
 del 29 gennaio 1997 e la prima udienza dibattimentale alla data del 7
 giugno 1997.
   Ritenuto  pertanto.   che   questa   Corte   deve,   per   decidere
 sull'istanza,   applicare   la   normativa   della  quale  si  deduce
 l'illegittimita'.
   Ritenuto che la questione sollevata non e' manifestamente infondata
 in relazione a  tutti  i  profili  di  illegittimita'  costituzionale
 indicati  dal  pubblico  ministero,  ponendosi  l'art. 6, commi 2 e 5
 legge n.  267/1997 in contrasto con gli artt. 2, 3,  24,  101  e  112
 della Costituzione.
   Rilevato,  in  particolare,  che  per  i  procedimenti  in corso di
 trattazione nella fase dibattimentale di primo grado  al  momento  di
 entrata  in  vigore  della  legge  n.  267/1997,  il  legislatore  ha
 previsto, nel solo caso in cui sia stata gia'  disposta  la  lettura,
 "nei  confronti  di  altri  senza il loro consenso, dei verbali delle
 dichiarazioni rese dalle persone indicate nell'art. 513 del codice di
 procedura penale al pubblico ministero, alla polizia  giudiziaria  da
 questo  delegata  o al giudice nel corso delle indagini preliminari o
 all'udienza  preliminare",  che  le  parti  hanno  la   facolta'   di
 richiedere  ed  il  giudice  di  disporre la citazione delle predette
 persone per un nuovo esame con la conseguenza che, ove queste  ultime
 si  avvalgano  ulteriormente  della facolta' di non rispondere ovvero
 non si presentino,  le  dichiarazioni  in  precedenza  rese  "possono
 essere  valutate  come  prova dei fatti in esse affermati, solo se la
 loro attendibilita' sia confermata da altri elementi  di  prova,  non
 desunti  da  dichiarazioni  rese  al pubblico ministero, alla polizia
 giudiziaria da questo delegata o al giudice nel corso delle  indagini
 preliminari  o all'udienza preliminare, di cui sia stata data lettura
 ai sensi dell'art. 513 c.p.p., nel testo vigente prima della data  di
 entrata in vigore della legge n. 267/1997".
   Considerato  che  questa  normativa  trova  il  suo  fondamento nel
 principio piu' volte affermato dalla  Corte  costituzionale  di  "non
 dispersione  della  prova", che deve informare il sistema processuale
 penale, avente quale suo fine primario  e  ineludibile  quello  della
 ricerca  della  verita', e che finirebbe con l'essere particolarmente
 vulnerato  qualora,  in  mancanza  della  sopra  indicata  disciplina
 transitoria,  si  applicasse,  anche  ai  procedimenti  in  corso  di
 trattazione nella fase di primo grado, la normativa di  cui  all'art.
 513  c.p.p.,  quale  sostituito  dall'art.  1 della suindicata legge,
 specie se si osserva che il pubblico ministero non ha potuto,  a  suo
 tempo, ricorrere all'assunzione del mezzo di prova suindicato in sede
 di  incidente  probatorio,  atteso  che l'art. 392, comma 1, lett. d,
 c.p.p. prevedeva dei  limiti  di  ammissibilita',  significativamente
 venuti  meno  in  concomitanza  e  correlazione con il nuovo disposto
 dell'art. 513 c.p.p.
   Rilevato che la disciplina sopra richiamata, contenuta nell'art.  6
 legge citata, non puo', tuttavia, trovare applicazione nei casi, come
 quello di specie, non contemplati dalla legge, nei quali, sebbene  vi
 sia  un  "procedimento  in  corso  nella fase dibattimentale di primo
 grado", non e' stata disposta, prima  dell'entrata  in  vigore  della
 legge   piu'  volte  sopra  citata,  la  lettura  dei  verbali  delle
 dichiarazioni rese dalle persone indicate dall'art. 513  c.p.p.,  con
 evidente  disparita'  di  trattamento  rispetto alla situazione prima
 descritta, poiche' tali verbali  non  potranno  essere  acquisiti  al
 fascicolo del dibattimento e di essi il giudice non potra' valersi ai
 fini  della  prova  dei  fatti neppure nei modi limitati previsti dal
 comma 5 dell'art. 6 cit..
   Ritenuto che la suddetta disparita' di trattamento non trova alcuna
 ragionevole giustificazione e si pone in violazione dell'art. 3 della
 Costituzione, poiche' le situazioni regolamentate appaiono del  tutto
 simili  e  per  entrambe sorgono identici problemi di non dispersione
 della prova nei procedimenti in corso al momento di entrata in vigore
 della legge  n.  267/1997,  principio  fatto  salvo  dal  legislatore
 nonostante  la  nuova  previsione  legislativa  dell'art. 513 c.p.p.,
 nell'ottica del recupero delle direttive ispiratrici  del  codice  di
 procedura  penale  del 1988, quale puo' desumersi dal complesso delle
 norme introdotte dalla legge gia' menzionata.
   Ritenuto che l'art. 6 legge citata si pone, per le medesime ragioni
 sopra brevemente richiamate, in contrasto con gli artt. 2, 24  e  101
 della  Costituzione  e  con i principi di solidarieta', uguaglianza e
 legalita' in essi affermati, poiche' limita  ingiustificatamente  nei
 procedimenti   in  corso  l'acquisizione  di  elementi  di  prova  da
 sottoporre al vaglio del giudice, pur legittimamente acquisiti  nella
 vigenza di diverse norme processuali, con possibile pregiudizio anche
 del  diritto di difesa nella misura in cui impedisce la ricerca della
 verita' storica dei fatti.
    Ritenuto che l'art. 6 legge citata si pone, infine,  in  contrasto
 con   l'art.   112   della  Costituzione,  poiche'  il  principio  di
 obbligatorieta' dell'azione penale  esige  che  nulla  del  materiale
 probatorio  legittimamente acquisito venga sottratto alla valutazione
 del giudice come mera conseguenza del comportamento  di  un  soggetto
 del  processo  (dichiarante  ex  art.  210 c.p.p.) e della successiva
 scelta di una parte.
   Ritenuto che la questione di costituzionalita' relativa all'art.  6
 legge n. 267/1997 si pone, nel caso  di  specie,  come  assorbente  e
 preliminare  rispetto  a quella di cui all'art. 513 c.p.p., sollevata
 dal pubblico ministero unitamente alla prima.