IL PRETORE
   Letti  gli  atti  del  procedimento  a  carico  degli imputati Lega
 Silvio, Moro Graziano e Prada Maurizio, esaminata l'istanza formulata
 dal  p.m.  che  ha  chiesto  sollevarsi  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 513 c.p.p. cosi' come novellato dalla legge
 7 agosto 1997 n. 267 e udite conclusioni dei difensori dei  prevenuti
 sul punto, rileva quanto segue.
   I  predetti  soggetti  sono stati tratti   per rispondere tutti, in
 concorso tra loro, del reato di  cui  agli  artt.  7  e  3  legge  n.
 195/1974,  Lega e Moro del delitto di ricettazione e Lega e Prada del
 reato di cui agli artt. 4 e 6 legge n. 659/1981.
   Nel corso del dibattimento l'imputato Moro Graziano si  e'  avvalso
 della  facolta'  di  non  rispondere  e  questo  organo giudicante ha
 acquisito i verbali delle dichiarazioni dal medesimo rese al  p.m.  e
 al g.i.p.  nella fase delle indagini preliminari.
   Invero,  ad avviso di questo pretore le argomentazioni svolte dalla
 pubblica accusa a sostegno  della  eccezione  di  incostituzionalita'
 appaiono  condivisibili.  In  primo  luogo,  va premesso che la norma
 sospetta di incostituzionalita' introduce chiaramente  regole  legali
 di  valutazione  della prova che si pongono in aperto contrasto con i
 principi di verita' storica e di "non dispersione" dei mezzi di prova
 che il giudice delle leggi, con le proprie sentenze n. 255 e 254  del
 3 giugno 1992, aveva individuato come tipici del processo penale e in
 quanto  tali acquisiti dall'ordinamento costituzionale.  La Consulta,
 in particolare, in quelle sedi  aveva  sottolineato  come  l'oralita'
 "assunta  a  principio  ispiratore del nuovo sistema, non rappresenta
 nel codice  il  veicolo  esclusivo  di  formazione  della  prova  nel
 dibattimento"  poiche'  lo  stesso  codice  attribuisce  rilievo, nei
 limiti e alle condizioni di volta in volta indicate nella ipotesi  in
 cui  la prova non possa prodursi oralmente, ad atti formatisi prima e
 al  di  fuori  del  dibattimento.  In  realta'   il   principio   del
 contraddittorio  non  e' contraddetto e comunque deve essere superato
 dal fondamentale principio della conserazione dell'atto nella ipotesi
 di sopravvenuta impossibilita' di ripetizione di un mezzo di prova.
   Ebbene, la recente riforma dell'art. 513 c.p.p. ha  determinato  un
 drastico  ridimensionaniento della valenza probatoria riconosciuta al
 materiale di natura dichiarativa raccolto nella fase  delle  indagini
 preliminari,  con  la  chiara  finalita'  di  aderire  ad  un modello
 accusatorio puro. Tuttavia;  occorre  osservare  che  le  restrizioni
 imposte  dalla  legge  n. 267/1997 si riferiscono specificamente alle
 dichiarazioni  provenienti  dai  coimputati  o  dagli   imputati   in
 procedimenti   connessi  o  collegati.  In  particolare,  per  quanto
 concerne il primo comma dell'art.  513 cosi' come novellato, si  puo'
 sicuramente  parlare  di  una  valenza  probatoria  "dimezzata" delle
 dichiarazioni rese nella fase delle indagini dall'imputato contumace,
 assente, o che si sia avvaso della facolta' di non rendere esame,  in
 quanto  le  predette  dichiarazioni,  pur  mantenendo il carattere di
 leggibilita' e quindi di acquisibilita' al fascicolo del dibattimento
 ex art. 515 c.p.p., sono inutilizzabili nella parte eteroaccusatoria,
 in assenza del consenso degli altri imputati, ancorche' confluite nel
 fascicolo   del   dibattimento.   Tale   ultimo   divieto    comporta
 evidentemente   oltre  all'effetto  secondario,  ma  comunque  sempre
 rilevante, di precludere al giudice la possibilita'  di  valutare  la
 portata  collaborativa delle dichiarazioni dell'imputato, al fine per
 esempio della commisurazione della pena ex art. 133  c.p.,  l'effetto
 principale   di  impedire  all'organo  giudicante  di  ponderare  con
 cognizione di causa gli elementi di  prova  esistenti  a  carico  del
 chiamato di correita', ma anche con pienezza gli elementi a carico di
 colui  che  si  autoaccusa. Invero, per quanto attiene al chiamato di
 correita', appare ovvio che attraverso la nuova disciplina  normativa
 viene  ad  essere sottratto al giudice l'elemento basilare nell'esame
 di tale prova complessa.  La  inutilizzabilita'  della  dichiarazione
 accusatoria  rende, infatti, probatoriamente insignificanti anche gli
 elementi accessori di riscontro di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p.
   L'introduzione del consenso, quale  condizione  di  utilizzabilita'
 delle  dichiarazioni  eteroaccusatorie,  appare  quindi  un artificio
 normativo  destinato   a   nascondere   gli   evidenti   profili   di
 incostituzionalita' che inficiano la nuova formulazione dell'art. 513
 c.p.p.  che  in  realta' ripropone la vecchia stesura gia' dichiarata
 costituzionalmente illegittima dalla  Corte adita.
   Per quanto attiene poi al secondo comma dell'art. 513 c.p.p., cosi'
 come riformato, la stessa norma connette all'esercizio, da parte  dei
 soggetti  menzionati  nell'art.  210  c.p.p.,  della  facolta' di non
 rispondere,  la  assoluta  dispersione   del   materiale   probatorio
 costituito  dalle precedenti dichiarazioni rese dai predetti soggetti
 nel corso delle indagini preliminari. In questo caso, il legislatore,
 realizzando una irragionevole diversificazione di disciplina rispetto
 al primo comma  della  norma  in  esame,  e'  intervenuto  non  sulla
 utilizzazione,  ma  addirittura  sul  momento  processuale anteriore,
 rappresentato  dalla  leggibilita'-acquisibilita'  al  fascicolo  del
 dibattimento.  E' precluso, infatti, il materiale inserimento ex art.
 515  c.p.p.,  nel  predetto  fascicolo,  dell'atto  incorporante   le
 pregresse dichiarazioni e, quindi, l'accesso del giudice a tale fonte
 di conoscenza.
   Ebbene,  appare  evidente  come il mutato assetto normativo vada ad
 intaccare in primo luogo la possibilita' per il giudice di  conoscere
 fatti   rilevanti  al  fine  della  decisione  precludendo  cosi'  la
 possibilita' per lo stesso di supportare con una corretta e  adeguata
 motivazione  la decisione medesima, oltreche' a svuotare di contenuto
 i principi sottesi dagli artt. 24 e 112  della  Carta  costituzionale
 che  di  fatto verrebbero ad essere elusi dalla facolta' per le parti
 di far dipendere il concreto esercizio della azione penale  e  quindi
 l'approfondimento  delle  posizioni  relative  ai singoli imputati da
 scelte di convenienza o da accordi piu' o meno espliciti. In  realta'
 il trattamento processuale riservato dalla nuova disciplina normativa
 alle dichiarazioni del concorrente rischia seriamente di pregiudicare
 la  capacita'  del processo penale di svolgere la propria funzione di
 ripristino della legalita'.
   Non  puo'  essere  infine  trascurata la manifesta irragionevolezza
 della  norma  in  questione  sotto  il  profilo   dell'ingiustificata
 diversifcazione,    dal   punto   di   vista   valutativo   e   della
 utlizzabilita',  delle   dichiarazioni   rese   dagli   imputati   di
 procedimento  connesso,  a  cui e' sicuramente attribuito il rango di
 prova  sia  pure  soggetta  a  particolari  criteri  di  valutazione,
 rispetto agli altri mezzi di prova.
   Alla  luce  di  quanto  sopra  evidenziato appare pertanto a questo
 pretore non manifestamente infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  513  c.p.p.  cosi'  come emodificato dalla
 legge n. 267/1997 per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 112  della
 Costituzione.
   La  questione  si  appalesa poi rilevante in quanto il giudizio non
 puo' essere deciso indipendentemente dalla risoluzione  della  stessa
 traendo fondamento il procedimento penale in corso, come sottolineato
 dal  p.m.,  dalle "dichiarazioni dei coimputati i quali con effetto a
 catena si chiamano in complicita' l'un l'altro".