IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata dal pubblico ministero degli artt. 513 c.p.p., come sostituito dall'art. 1, legge 7 agosto 1997, n. 267 e 6, comma quinto, della medesima legge, in relazione agli artt. 3, 25, 101, 111 e 112 Cost. nel procedimento contro Lo Gerfo Paolo + 3, imputati come da decreto che dispone il giudizio; All'esito della discussione osserva; Al termine delle indagini preliminari veniva disposto il giudizio nei confronti di Lo Gerfo Paolo, Carboni Armando, Floris Mauro e Gioi Pierpaolo per i delitti di rapina aggravata perche' commessa da piu' persone riunite, travisate, mediante uso di armi ai danni dell'Agenzia n. 1 del Banco di Sardegna di Cagliari. Nelle more della celebrazione del dibattimento, entrata in vigore la legge 7 agosto 1997, n. 267, il pubblico ministero, avvalendosi della facolta' accordatagli dal primo comma dell'art. 6, legge citata, chiedeva e otteneva incidente probatorio onde procedersi all'esame del Lo Gerfo e del Carboni, che in sede di indagini avevano reso ampia confessione chiamando altresi' in correita' il Floris e il Gioi, nei cui confronti, in ragione di tali accuse, riscontrate da altri elementi, era stata emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere, eseguita e tuttora in corso per il Floris, mentre rimaneva ineseguita per il Gioi, latitante. In sede di incidente probatorio il Lo Gerfo e il Carboni si avvalevano della facolta' di non rispondere. Ribadivano detta volonta' anche nel dibattimento, ove rendevano peraltro spontanee dichiarazioni negando la loro stessa responsabilita'; su richiesta del pubblico ministero venivano acquisiti al fascicolo per il dibattimento i verbali delle dichiarazioni rese dai predetti nel corso delle indagini, gia' acquisiti in sede di incidente probatorio; tutti i difensori degli imputati negavano il consenso all'utilizzazione, nei confronti dei loro assistiti, dei suddetti verbali. All'esito del dibattimento il pubblico ministero concludeva nel merito chiedendo la condanna di tutti gli imputati, ritenendo l'utilizzabilita' a carico di tutti delle dichiarazioni rese in sede di indagine da Lo Gerfo e Carboni, ai sensi della norma transitoria di cui all'art. 6, comma quinto, legge citata e valutando comunque la sufficienza delle ulteriori risultanze dibattimentali. In subordine, sollevava questione di legittimita' costituzionale sia della norma transitoria citata, sia della nuova formulazione dell'art. 513 c.p.p. I difensori degli imputati concludevano tutti chiedendo in via principale l'assoluzione dei loro assistiti, quelli di Lo Gerfo e Carboni, in via subordinata, chiedevano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; si opponevano comunque all'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale e in caso di accoglimento della stessa, chiedevano la revoca o l'attenuazione della misura cautelare in atto nei confronti di Floris e Gioi, richiesta subordinata cui si associava pubblico ministero. All'esito della discussione il tribunale ritiene rilevanti ai fini della decisione e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale prospettate. In ordine alla rilevanza, deve osservarsi in primo luogo che, contrariamente all'assunto del pubblico ministero, non e' applicabile al caso di specie la norma transitoria di cui al quinto comma citato. La tesi avanzata dal pubblico ministero si basa sia sul fatto che nel corso dell'incidente probatorio il g.i.p. aveva gia' acquisito i verbali delle precedenti dichiarazioni rese dal Lo Gerfo e dal Carboni, sia sul tenore letterale del quinto comma dell'art. 6, legge 7 agosto 1997, n. 267 che, nel prevedere "la citazione delle persone indicate nei commi precedenti" comprenderebbe anche quelle di cui al primo comma, che contempla appunto l'incidente probatorio. In realta', nonostante il suo tenore letterale, l'interpretazione sistematica della disposizione in esame conduce a ritenere che il quinto comma si riferisca esclusivamente ai casi in cui alla data dell'entrata in vigore della nuova legge sia stata gia' disposta la lettura in dibattimento dei verbali delle dichiarazioni delle persone indicate dall'art. 513 c.p.p. Infatti, l'incipit del quinto comma va letto in relazione ai precedenti commi da 2 a 4, in cui e' fatto riferimento alla possibilita' che le parti richiedano la citazione per un nuovo esame delle persone indicate dall'art 513 c.p.p le cui dichiarazioni siano state gia' acquisite per la loro lettura; mentre non puo' riferirsi anche ai casi di cui ai primo comma perche' la ratio della norma appare ispirata all'esigenza di salvaguardare l'utilizzabilita' - sia pure in misura limitata - di quelle prove, quando siano state gia' validamente acquisite ai fini della decisione sulla base delle norme anteriormente vigenti. Nei casi descritti dalla norma in relazione ai commi 2, 3 e 4 dello stesso articolo ci si trova, infatti, in una fase processuale in cui si e' gia' avverata, per effetto dell'avvenuta lettura delle dichiarazioni dei chiamanti in correita', la sottoposizione al giudice di elementi di prova inerenti la responsabilita' di altri imputati. Situazione che ha imposto al legislatore il transitorio contemperamento tra il principio - introdotto dalla novella - dell'esclusiva formazione in contraddittorio tra le parti (o sotto il "controllo" delle medesime, a favore delle quali e' all'uopo prevista dal secondo comma la facolta' di richiedere la citazione dei dichiaranti) della prova costituita dalle dichiarazioni dei coimputati e imputati in procedimento connesso con il principio del libero convincimento del giudice: contemperamento che e' stato attuato attraverso il non impedire che tali dichiarazioni, quali elementi di prova, rientrino nel novero degli elementi valutabili dal giudice, e nella contemporanea indicazione dell'ambito entro cui egli puo' valutarle come prova dei fatti affermati. Il primo comma dell'art. 6 di detta legge, invece, introduce nella disciplina transitoria la facolta' del pubblico ministero di chiedere l'incidente probatorio anche dopo la richiesta di rinvio a giudizio, istituto che non ha alcuna relazione con le ipotesi di cui ai commi seguenti dello stesso articolo; nonostante l'imprecisione della parte iniziale, il quinto comma e' quindi applicabile soltanto nei casi in cui sia gia' avvenuta l'acquisizione dibattimentale delle suddette dichiarazioni, cioe' la sottoposizione di esse quali elementi di prova al giudice del dibattimento. Esclusa l'applicabilita' al caso in esame della disciplina transitoria, appare evidente la rilevanza delle questioni di legittimita' prospettate, il cui accoglimento inciderebbe sia in riferimento agli imputati Floris e Gioi, sia agli stessi Lo Gerfo e Carboni, le cui dichiarazioni confessorie, pur utilizzabili rispettivamente nei confronti di chi le ha rese, non possono essere valutate ai fini del riscontro reciproco, ed essendo l'impianto accusatorio del processo fondato principalmente sulle predette dichiarazioni. Innanzitutto, sulle dichiarazioni del Carboni, che per primo confesso' la sua partecipazione alla rapina chiamando in correita' il carabiniere Lo Gerfo e due "desulesi", poi identificati in Gioi e Floris; anche Lo Gerfo confesso' la sua partecipazione alla rapina, attribuendo a se' ed a Carboni un ruolo di "copertura", anche per la sua funzione di carabiniere e chiamando pure lui in correita' i due "desulesi", che riconobbe nelle fotografie di Floris e Gioi. Il nuovo testo dell'art. 513, comma primo, c.p.p., infatti, impedisce qualsivoglia utilizzazione dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da Lo Gerfo e da Carboni - si e' detto, acquisite, previa lettura, al fascicolo per il dibattimento dopo che detti imputati si sono avvalsi della facolta' di non rispondere - quali prove dei fatti in essi affermati in relazione alla responsabilita' di Floris e di Gioi, imputati dei medesimi delitti, ed anche come riscontro reciproco delle dichiarazioni dei confitenti. Le dichiarazioni rese nella fase predibattimentale da Lo Gerfo e da Carboni, contengono, per un verso, ampia confessione da parte di ciascuno delle rispettive responsabilita', per altro verso, chiamate in correita' di tutti i coimputati. E di palese evidenza e' la necessita' di consentire al giudicante di giungere alla decisione attraverso una valutazione unitaria delle dichiarazioni di Lo Gerfo e Carboni con quella degli altri elementi - da soli non sufficienti a costituire fondamento di un sicuro convincimento - emersi nei confronti di tutti gli imputati dall'istruzione dibattimentale finora svolta. La decisione della Corte adita di accoglimento delle questioni prospettate inciderebbe pertanto nel presente procedimento. Stabilita la rilevanza della sollevata questione di illegittimita' costituzionale sia della norma transitoria citata, per la sua inapplicabilita' anche nel caso di specie, sia della nuova formulazione dell'art. 513 c.p.p, deve altresi' evidenziarsi la non manifesta infondatezza delle stesse per contrasto con gli artt. 3, 25, 101, 111 e 112 Cost. Al riguardo, deve innanzitutto osservarsi che le dichiarazioni rese dall'imputato prima del dibattimento all'autorita' giudiziaria o alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero, allorquando lo stesso imputato non si presenta volontariamente al dibattimento ovvero ivi si avvale della facolta' di non rispondere, sono sicuramente atti irripetibili, poiche' la mancata presentazione dell'imputato o l'esercizio da parte sua del diritto al silenzio - atti di concreto esercizio del diritto alla difesa, "inviolabile" e quindi incondizionato ai sensi dell'art. 24 Cost. - configurano un caso di sopravvenuta non ripetibilita' delle dichiarazioni pregresse che consegue all'assolutamente imprevedibile verificarsi di una condizione potestativa, situazione modificativa in ordine alla quale non puo' ipotizzarsi a carico del pubblico ministero alcun onere di diligenza quanto alla prevedibilita' e all'evitabilita', tanto piu' perche' successiva ad atteggiamenti processuali di segno contrario. Cio' e' stato chiarito proprio in occasione di un intervento della Corte costituzionale sul secondo comma dell'art. 513 c.p.p. nella formulazione previgente, allorche' la Consulta, con la sentenza n. 254/1992, dichiarando l'illegittimita' costituzionale di detto comma, rilevo' l'irrazionalita' del trattatnento differenziato riguardo all'utilizzabilita' delle dichiarazioni predibattimentali dell'imputato in procedimento connesso che si rifiutasse di rendere l'esame dibattimentale non solo in relazione alla disposizione del primo comma dell'allora vigente art. 513 c.p.p. ma, soprattutto, riguardo alla diversa regola generale dettata dal nostro codice in ordine alla necessaria sottoposizione al giudice, ai fini della decisione, di ogni atto che sia ab origine irripetibile o tale sia divenuto per causa sopravvenuta ed imprevedibile. E d'altro canto la conseguenza introdotta dalla novella al verificarsi di tale condizione, cioe' l'attribuzione agli interessati della facolta' di sottrarre alla conoscenza del giudice elementi di prova legalmente emersi nel corso delle indagini, determina un'evidente violazione dei principi cardine sui quali e' fondata la nozione di processo e la stessa funzione giurisdizionale. lnnanzitutto, il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, teso a realizzare nell'ambito del principio di legalita' affermato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione la concreta uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale, il quale ha come necessario postulato il principio di tendenziale completezza delle indagini, in quanto esse sono rivolte a quell'accertamento della verita' che e' fine, secondo la stessa Corte, primario ed ineludibile del processo penale. Il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale in quanto rivolta all'accertamento della verita' trova logico complemento nel principio di difesa, proprio perche' l'affermazione di quella verita' da parte del giudice, alla quale il processo e' diretto, e' garantita soltanto attraverso il pieno dispiegamento della difesa nell'ambito di esso. Tra i vari metodi attraverso i quali la prova puo' formarsi per essere sottoposta alla valutazione del giudice affinche' questi pervenga attraverso l'accertamento della verita' alla sua affermazione, il legislatore del 1988 ha quindi privilegiato, con riferimento alla fase dibattimentale, quello dell'oralita', che della difesa consente senz'altro il massimo dispiegamento, ma soltanto in quanto questo metodo di conoscenza dei fatti e' ritenuto il piu' idoneo al loro pieno accertamento. Tuttavia tale metodo - riservato, come si e' detto, al dibattimento, benche' esso non costituisca se non una delle eventualita', e nemmeno la favorita, di conclusione del processo - anche nel dibattimento rappresenta il modo precipuo, ma non esclusivo di formazione della prova, essendosi gia' in diverse occasioni progressivamente ritenuto dalla Corte (sentenze nn. 255/1992, 88/1991, 255/1992, 111/1993) che, sulla base del principio di non dispersione delle prove (sentenza n. 255/1992), venga accordato rilievo ad atti formatisi prima e al di fuori del dibattimento, individuando la ragione di tale rilievo nella necessita' di non permettere il frapporsi di ostacoli irragionevoli al processo di accertamento del fatto storico necessario a pervenire ad una giusta decisione. Proprio nel principio del libero convincimento del giudice, sul quale soltanto puo' essere fondata la giusta decisione che rappresenta il fine del processo e dei cui presupposti il giudice e' tenuto a dare conto nella motivazione, trovano ragione le diverse ipotesi di deroga al principio dell'oralita' presenti nel nostro sistema processuale, cosi' come l'impossibilita' (sentenza n. 111/1993) delle parti di vincolare - sulla base di un inesistente principio dispositivo in materia - la conoscenza del giudice riguardo alle prove ed il correlativo potere - assegnatogli dall'art. 507 c.p.p. in armonia con l'obbiettivo di rimuovere le disuguaglianze di fatto di cui all'art. 3, secondo comma, della Costituzione di intervenire per supplire alle carenze probatorie di una delle parti onde evitare assoluzioni o condanne immeritate (sentenza n. 241/1992). In sostanza, come piu' volte affermato dalla Corte i principi dell'oralita' e del contraddittorio, pur costituendo la base del nuovo processo, ammettono deroghe costituzionalmente legittime ispirate alla necessita' di contemperare i predetti principi con l'esigenza di evitare la perdita ai fini della decisione di quanto formatosi prima del dibattimento e che sia in tale sede irripetibile. E' evidente pertanto l'incongruita' rispetto ai principi costituzionali, della disciplina denunciata, allorquando fa dipendere il dispiegarsi del contraddittorio dibattimentale dall'esercizio della facolta' di non sottoporsi all'esame da parte di imputati che in sede di indagine abbiano reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di altri, e che alla mancanza del contraddittorio, nell'ipotesi in cui costoro non si presentino al dibattimento o rifiutino di sottoporsi all'esame incrociato, fa conseguire l'impossibilita' per il giudice di conoscere le dichia-razioni eteroaccusatorie da essi precedentemente - e validamente - rese, dalle quali frequentemente tra l'altro hanno tratto origine ulteriori atti e provvedimenti (ad esempio, perquisizioni, sequestri, applicazione di misure cautelari, dei cui verbali invece e' prevista la necessaria conoscenza del giudice). Tanto piu' se si considera - attesa la mancata previsione di un obbligo di motivare il loro mutato atteggiamento processuale - l'anomalia rappresentata dall'ulteriore impossibilita' che il giudice valuti le ragioni dell'irripetibilita' dell'atto, particolarmente irragionevole soprattutto per l'impossibilita' di accertare in seguito a questo immotivato mutamento di scelta processuale le ragioni che lo hanno determinato, posto che esso potrebbe aver trovato origine anche in attivita' delittuosa posta in essere da altri o comunque estranea all'esercizio del diritto di difesa (cosa che, tra l'altro, potrebbe essersi verificata nel procedimento in corso, in cui e' stata acquisita tra le dichiarazioni dell'imputato Carboni una sua denuncia di patite minacce). In proposito, occorre mettere in rilievo che, pur trattandosi di situazioni diverse dettate per l'esame del testimone nei cui confronti vengano mosse contestazioni, sembra irragionevole non dare alcuna rilevanza alle sopravvenute ragioni di irripetibilita' dell'atto quando tali ragioni - se riguardano attivita' dirette a far dichiarare il falso o a non deporre o comunque situazioni che hanno compromesso la genuinita' dell'esame - comportano, ai sensi del quinto comma dell'art. 500 c.p.p., l'assunzione del valore di prova piena delle dichiarazioni oggetto di contestazione. I dubbi di costituzionalita' del nuovo art. 513 c.p.p. emergono tanto piu' se si considera che in un'ipotesi invece del tutto analoga altri atti, analogamente irripetibili come quelli scaturenti dall'esercizio della facolta' dei prossimi congiunti dell'imputato di astenersi dal deporre, alla sola condizione che le dichiarazioni precedentemente rese siano state validamente assunte, possono essere acquisite e utilizzate come prova. In questo caso infatti la Corte costituzionale, dichiarando non fondata la questione di costituzionalita' mossa in riferimento all'art. 512 c.p.p. nel caso di prossimo congiunto che, ritualmente avvertito della facolta' di astensione, aveva reso dichiarazioni in sede di indagini preliminari e si era avvalso della citata facolta' soltanto in sede dibattimentale, ricorreva ad una pronuncia interpretativa che concludeva nel senso che la testimonianza cosi' acquisita e' legittimamente e soprattutto stabilmente acquisita... ed e' certamente fuor di dubbio che l'acquisizione della prova testimoniale legittimamente assunta non puo' essere condizionata dall'eventualita' di una successiva invalidazione da parte del teste, nel caso di un suo tardivo esercizio della facolta' di astensione (sentenza n. 179/1994). Secondo la Corte costituzionale, quindi, in casi consimili pur in presenza dell'esercizio di un diritto, si determina un'oggettiva e non prevedibile impossibilita' di ripetizione dell'atto dichiarativo, che viene acquisito mediante lettura e quindi fuori del contraddittorio dibattimentale. Cio' significa che il principio del contraddittorio, di rango costituzionale e richiamato dall'art. 6, lett. d), della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, nel contemperamento con altri principi costituzionali e' stato gia' ritenuto dalla Corte suscettibile di ragionevoli e giustificate eccezioni. In definitiva, il tribunale si e' trovato di fronte ad una situazione in cui l'assunzione della prova e' stata inibita da una scelta processualmente imprevedibile dei dichiaranti senza possibilita' di qualsivoglia utilizzazione delle precedenti dichiarazioni erga alios. Cio, per le ragioni anzidette, lede il principio di uguaglianza sotto il profilo che vi e' una disparita' di trattamento con situazioni consimili in cui non e' accordato alcun rilievo all'eventuale dissenso delle persone raggiunte da dichiarazioni accusatorie, essendo consentita l'utilizzazione di atti dichiarativi formatisi prima del dibattimento e poi divenuti irripetibili. Senza considerare che tale scelta non puo' ritenersi giustificata dall'esercizio del diritto di difesa, certamente di preminente valore costituzionale, data la piena utilizzabilita' delle precedenti dichiarazioni proprio contro chi le aveva rese e si sia poi avvalso della facolta' di non rispondere. In questo caso, tra l'altro, viene attribuito alla parte privata un potere dispositivo alla prova e un potere di paralizzare le opposte deduzioni a fronte del dovere del pubblico ministero di fornire al giudice l'intero materiale probatorio acquisito al fine di attuare la finzione del processo che e' quella di pervenire ad una giusta decisione. Funzione che verrebbe frustrata subordinando ad insondabili scelte strategiche del dichiarante la stessa conoscenza delle prove da parte del giudice, con violazione del principio della sottoposizione dello stesso alla sola legge. Ulteriore aberrante conseguenza della disciplina del nuovo art. 513 c.p.p. e' costituita dalla possibilita' che il dichiarante si sottragga all'esame dibattimentale delle parti in un procedimento, con cio' rendendo inconoscibili o inutilizzabili erga alios davanti a quel giudice le proprie precedenti dichiarazioni, e che invece in un diverso procedimento a carico di altre persone risponda all'esame consentendo l'ingresso nel dibattimento delle stesse precedenti dichiarazioni, assegnando loro quindi valore di prova per il giudice di quel procedimento (l'ipotesi non e' affatto astratta, se si tiene presenti i casi non infrequenti di procedimenti che, originariamente uniti, per diverse ragioni approdano separatamente in sede dibattimentale): con evidente gravissima violazione sia dell'art. 3 sia dell'art. 101, secondo comma, Cost. Sotto altro profilo, la nuova disciplina contrasta altresi' con il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale perche' sulla base delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini il pubblico ministero, effettuati i necessari riscontri, puo' chiedere provvedimenti limitativi della liberta' personale e ha l'obbligo di esercitare l'azione penale, il cui esercizio puo' essere sostanzialmente vanificato nel caso in cui in dibattimento quello stesso dichiarante si avvalga della facolta' di non rispondere. L'irragionevolezza della nuova disciplina e' ancora piu' evidente nei casi, come quello in esame, in cui all'entrata in vigore della nuova legge le indagini erano ormai chiuse, ed era stata gia' esercitata l'azione penale con il rinvio a giudizio degli attuali imputati, proprio, in prevalenza, sulla base di dichiarazioni che non possono essere utilizzate nel dibattimento contro altri. In questi casi, infatti, assume carattere di maggiore gravita' e irragionevolezza la sottrazione alla conoscenza del giudice di un materiale probatorio non piu' surrogabile non avendo piu' il pubblico ministero la disponibilita' delle indagini e non potendo che subire la scelta processuale degli interessati. Sotto questo profilo, la mancata estensione della disciplina transitoria ai casi in cui il pubblico ministero abbia gia' esercitato l'azione penale appare lesiva del principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale. In definitiva la scelta del legislatore, pur ispirata dalla giusta esigenza di garantire che il diritto di difesa degli accusati si attui nel contraddittorio orale ha comportato la lesione di altri principi pure di rilievo costituzionale senza alcun ragionevole tentativo di contemperamento.