ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  di  Rita Bernardini, Raffaella
 Fiori, Mauro Sabatano, nella qualita' di promotori e presentatori dei
 referendum abrogativi in tema di Ordine  dei  giornalisti,  incarichi
 extragiudiziari  dei  magistrati,  carriera dei magistrati, esercizio
 della caccia, obiezione di coscienza e golden share, notificato il  9
 giugno   1997,  depositato  in  cancelleria  il  17  successivo,  per
 conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera adottata  il
 20   maggio  1997  dalla  Commissione  parlamentare  per  l'indirizzo
 generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi con la  quale  e'
 stata   disciplinata  la  trasmissione  di  Tribune  da  parte  della
 concessionaria del servizio  pubblico  radiotelevisivo  in  occasione
 delle  consultazioni  referendarie del 15 giugno 1997, iscritto al n.
 35 del registro conflitti 1997;
   Visto l'atto di costituzione  della  Commissione  parlamentare  per
 l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  30  settembre  1997  il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Uditi l'avvocato Achille Chiappetti per Rita Bernardini,  Raffaella
 Fiori  e  Mauro  Sabatano  e  l'avvocato    Giuseppe Abbamonte per la
 Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza  dei
 servizi radiotelevisivi.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Con ricorso depositato il 24 maggio 1997, Rita Bernardini,
 Raffaella Fiori e Mauro Sabatano, nella loro  qualita'  di  promotori
 dei   referendum  abrogativi  in  tema  di  Ordine  dei  giornalisti,
 incarichi extragiudiziari dei magistrati,  carriera  dei  magistrati,
 esercizio  della  caccia,  obiezione  di  coscienza  e  golden share,
 dichiarati ammissibili da questa Corte e indetti, per  il  15  giugno
 1997, con altrettanti decreti del Presidente della Repubblica in data
 15  aprile 1997, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 90 del 18 aprile 1997, hanno sollevato conflitto  di  attribuzione
 tra  poteri  dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare
 per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi  radiotelevisivi,
 del   Parlamento,   della  Camera  dei  deputati,  del  Senato  della
 Repubblica e del Governo, in ordine al regolamento (recte:  delibera)
 del  20  maggio  1997  con  il  quale  la  Commissione  di vigilanza,
 nell'esercizio dei poteri ad essa conferiti dall'art. 4, primo comma,
 della legge 14 aprile 1975, n.    103  (Nuove  norme  in  materia  di
 diffusione  radiofonica  e  televisiva),  ha stabilito i criteri e le
 modalita' per lo svolgimento  delle  Tribune  referendarie  da  parte
 della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.
   Quanto  alla sussistenza del requisito soggettivo di ammissibilita'
 del conflitto, i ricorrenti ricordano come questa  Corte  abbia  piu'
 volte   riconosciuto  la  legittimazione  del  comitato  promotore  a
 proporre conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e come, in
 particolare, secondo quanto affermato nella sentenza n. 161 del 1995,
 il comitato stesso sia stato legittimato a  dolersi  delle  eventuali
 restrizioni   apportate   alla   campagna   referendaria   in  quanto
 suscettibili di incidere sulla formazione della  volonta'  di  coloro
 che esprimono il voto.
   Cio'  detto,  i  ricorrenti  osservano  che  la  delibera impugnata
 richiama, in premessa, sia la disposizione dell'art. 52  della  legge
 25   maggio  1970,  n.  352  (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
 Costituzione e sulla  iniziativa  legislativa  del  popolo),  che  in
 materia  di  propaganda  attribuisce  ai  partiti  o  gruppi politici
 rappresentati in Parlamento nonche' ai promotori  del  referendum  le
 medesime  facolta'  riconosciute  ai  partiti  o  gruppi politici che
 partecipano  alle  competizioni   elettorali,   sia   le   precedenti
 deliberazioni  della stessa Commissione. Nel diversificare i soggetti
 legittimati a partecipare ai differenti  cicli  di  Tribune  in  essa
 previsti,  la  delibera  non  si  sarebbe  pero'  attenuta  alla  sua
 premessa: l'art. 1 dispone che  siano  trasmessi,  per  ciascuno  dei
 quesiti  referendari,  un ciclo di confronti e un ciclo di appelli ai
 votanti, riservati entrambi ai comitati promotori e ai  comitati  per
 il  NO; l'art. 2, alle lettere a) e b), prevede un ulteriore ciclo di
 quattro dibattiti, nei quali il tempo, come per gli altri cicli,  "e'
 ripartito  ugualmente  tra le opposte indicazioni di voto" e ai quali
 possono partecipare i gruppi parlamentari ma non i comitati promotori
 dei  referendum;  ad  avviso  dei  ricorrenti,   la   previsione   di
 quest'ultimo   ciclo   di  quattro  dibattiti  sarebbe  lesiva  delle
 attribuzioni dei comitati. Risulterebbe infatti  attribuita  ai  soli
 gruppi  parlamentari,  in  dibattiti previsti per di piu' nell'ultima
 settimana  prima  del  voto,  la   rappresentanza   delle   posizioni
 referendarie.  L'art. 52 della legge n. 352 del 1970, pur formalmente
 richiamato, sarebbe stato quindi nella  sostanza  disatteso  nel  suo
 prevedere che le facolta' in materia di propaganda referendaria siano
 riconosciute ai partiti o gruppi politici rappresentati in Parlamento
 nonche' ai promotori del referendum considerati come gruppo unico. Il
 presupposto  dal  quale  la  Commissione bicamerale procederebbe, che
 cioe' i gruppi parlamentari si ripartiscano equamente tra i  SI  e  i
 NO,  sarebbe  oltretutto  indimostrato, e sarebbe stato trascurato il
 fatto  che  il  Parlamento,  in  quanto   titolare   della   potesta'
 legislativa,  si  porrebbe,  nel sistema costituzionale, in posizione
 antitetica a quella dei comitati   promotori, la  partecipazione  dei
 quali   dovrebbe  essere  pertanto  assicurata  anche  nei  dibattiti
 destinati ai gruppi politici.
   Un'ulteriore lesione delle proprie attribuzioni e' individuata  dai
 ricorrenti nel ritardo con il quale la Commissione avrebbe provveduto
 ad  approvare  la  regolamentazione  delle Tribune referendarie. Tale
 ritardo,  infatti,  avrebbe  posto  la  concessionaria  del  servizio
 pubblico   radiotelevisivo   nella   impossibilita'  di  iniziare  la
 programmazione prima del 26 maggio, mentre, essendo stati  indetti  i
 referendum  per  il 15 giugno, la campagna referendaria avrebbe avuto
 inizio  il  15  maggio.  La  restrizione  dei  tempi  della  campagna
 referendaria,   osservano  i  ricorrenti,  si  ripercuoterebbe  sulla
 formazione della volonta' di coloro che sono chiamati ad esprimere il
 proprio voto e,  di  conseguenza,  sulle  attribuzioni  garantite  al
 comitato promotore dall'art. 75 della Costituzione.
   In   conclusione,  i  ricorrenti  chiedono  l'annullamento,  previa
 sospensiva,  dell'art.  2,  lettere  a)  e  b),  della  delibera   in
 questione.
   2.  -  Questa  Corte,  con  ordinanza  n. 171 del 5 giugno 1997, ha
 respinto la richiesta di provvedimento  cautelare  ed  ha  dichiarato
 l'ammissibilita'  del  ricorso per conflitto di attribuzione nei soli
 confronti della Commissione parlamentare per l'indirizzo  generale  e
 la  vigilanza  dei servizi radiotelevisivi, fissando ai ricorrenti il
 termine di dieci giorni per la notifica del ricorso e dell'ordinanza.
   3. - Nel giudizio si  e'  costituita,  il  16  settembre  1997,  la
 Commissione  parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei
 servizi radiotelevisivi, chiedendo  che  il  proposto  conflitto  sia
 dichiarato inammissibile o, subordinatamente, sia rigettato.
   Preliminarmente  la  Commissione  eccepisce  che, in considerazione
 dell'esito dei referendum proposti dai  comitati  promotori,  sarebbe
 venuto   meno  l'interesse  dei  ricorrenti,  poiche'  dall'eventuale
 accoglimento  del  ricorso  non  potrebbe  discendere  alcun  effetto
 giuridico   sulle  procedure  svoltesi  e  sui  relativi  esiti,  che
 sarebbero  derivati  unicamente  dalla  astensione  massiccia   degli
 elettori,  in  nessun  modo  riferibile  ad  un  preteso  difetto  di
 propaganda.
   In  merito  alla  censura  relativa  all'esclusione  dei   comitati
 promotori   dai  quattro  dibattiti  ai  quali  hanno  partecipato  i
 rappresentanti dei gruppi parlamentari, la Commissione rileva che  la
 dialettica e il pluralismo degli indirizzi sarebbero stati assicurati
 dalla ripartizione degli interventi secondo le opposte indicazioni di
 voto e dalla diversa estrazione politica dei singoli gruppi.
   La  Commissione  contesta poi l'affermazione dei ricorrenti secondo
 cui  i  gruppi  avrebbero  monopolizzato  la   rappresentanza   delle
 posizioni  referendarie,  in  quanto sarebbe stata, invece, "prevista
 sia la partecipazione dei comitati per il si' e per il  no,  sia  dei
 gruppi   parlamentari,   sia   la   pubblicita'   con  spot,  sia  la
 trasmissione, anche per radio, dei dibattiti televisivi".
   L'art.  52  della  legge  n.  352  del  25  maggio  1970   avrebbe,
 d'altronde, trovato piena applicazione ed esatta corrispondenza nella
 delibera  adottata,  nel  suo  riferirsi  da  un lato alle formazioni
 parlamentari e dall'altro ai  comitati  promotori,  contrapponendo  a
 questi ultimi i comitati per il no, ove esistenti.
   Ancora,  il  dibattito  fra  i  gruppi  parlamentari  sarebbe stato
 necessario  per  esprimere  "la  politica  nazionale  quale  essa  si
 presenta  in  Parlamento  in occasione del voto referendario", mentre
 l'unanimita' dei gruppi su  singole  posizioni  referendarie  sarebbe
 "eventualita' storicamente trascurabile".
   In   riferimento  alla  tardivita'  della  delibera  rispetto  alla
 campagna referendaria, la Commissione parlamentare sostiene che  "non
 e'  il  conflitto un rimedio contro il ritardo". La sfera di potesta'
 del comitato promotore, secondo la Commissione,  consisterebbe  nella
 garanzia delle attivita' necessarie a promuovere il referendum mentre
 la  propaganda  porrebbe  il  diverso  problema dell'accesso al mezzo
 radiotelevisivo, che, ove negato, potrebbe eventualmente  determinare
 un illegittimo esercizio della funzione parlamentare, contro il quale
 vi sarebbero rimedi diversi da quelli diretti a reprimere l'invasione
 della  sfera di potesta' altrui. Ne' potrebbe costituire invasione di
 potesta' la asserita restrizione della campagna referendaria, poiche'
 questa  non  si  configurerebbe  come  autonoma  sfera  di   potesta'
 costituzionalmente    tutelata   ai   sensi   dell'art.   134   della
 Costituzione.
   D'altra parte, ad avviso della  Commissione  parlamentare,  nessuna
 norma  stabilirebbe  il termine entro il quale devono avere inizio le
 operazioni di propaganda per le consultazioni referendarie  e,  nella
 materia  delle  elezioni  politiche e amministrative, i trenta giorni
 precedenti  il  voto verrebbero in rilievo piuttosto come termine per
 la presentazione delle candidature, cosi' che la  stessa  fattispecie
 "campagna   elettorale"   sarebbe  giuridicamente  individuabile  con
 difficolta'.
   Nelle  leggi  in  vigore  non  si  rinverrebbero   poi   specifiche
 previsioni   di   comportamento   in   materia   per  la  Commissione
 parlamentare per i servizi radiotelevisivi, poiche'  l'art.  4  della
 legge  n.  103  del  14  aprile  1975  si limiterebbe a delimitare le
 competenze della Commissione, l'art. 52 della legge  n.  352  del  25
 maggio  1970  attribuirebbe  ai  promotori  dei  referendum  i poteri
 riconosciuti ai partiti e ai gruppi politici organizzati e  la  legge
 n.  515 del 1993 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione
 alla Camera dei  deputati  e  al  Senato  della  Repubblica)  non  si
 riferirebbe alle procedure referendarie.
   4.  -  In  prossimita' dell'udienza sia la Commissione parlamentare
 per l'indirizzo generale e la vigilanza dei  servizi  radiotelevisivi
 che  i  comitati  promotori  ricorrenti  hanno  depositato  memorie e
 documentazione relativa, rispettivamente, alla  formazione  dell'atto
 oggetto  del  conflitto  e  ai  regolamenti  di  precedenti  campagne
 radiotelevisive referendarie.
   5. - Nella propria  memoria  la  Commissione  parlamentare  insiste
 innanzitutto sull'assoluto difetto di interesse attuale, e chiede che
 venga dichiarata la cessazione della materia del contendere.
   Nel  merito,  l'ordinanza  di  questa  Corte  di ammissibilita' del
 conflitto  in  oggetto  darebbe  per  acquisiti  due  dati:  l'eguale
 ripartizione  del tempo radiotelevisivo tra le opposte indicazioni di
 voto e la complessiva presenza dei  comitati  promotori  nelle  varie
 fasi  delle  trasmissioni  di  propaganda. L'aver assicurato separati
 spazi alle rappresentanze parlamentari andrebbe  dunque  interpretato
 solo  come  sforzo  di  chiarificazione  di  distinte responsabilita'
 innanzi al corpo elettorale:  che  non  sarebbero  tanto  quelle  dei
 sostenitori  del  si'  o  del  no,  quanto,  da una parte, quella dei
 rappresentanti  istituzionali  titolari  del  mandato  politico,   e,
 dall'altra,   quella   di  coloro  i  quali  assumono  iniziative  di
 democrazia  diretta;  e  tale  separazione  escluderebbe  in   radice
 l'invasione dell'altrui competenza.
   Quanto  alla  denunciata restrizione dei tempi della propaganda per
 la ritardata approvazione della delibera  impugnata,  la  Commissione
 parlamentare  osserva  che  la  normativa dell'art. 52 della legge n.
 352 del 1970 e'  stata da essa ritenuta applicabile  alla  propaganda
 radiotelevisiva  solo  per  analogia e, quindi, con tutti i necessari
 adattamenti  derivanti  soprattutto  dalla  specificita'  dei   tempi
 dell'attivita'  di decisione parlamentare, che e' attivita' politica.
 L'iter formativo della delibera impugnata dimostrerebbe come  si  sia
 trattato  di  un procedimento tutt'altro che agevole, segnato, dall'8
 maggio  al  20  maggio  1997,  da  numerose  tappe  di  confronto   e
 riflessione,  che  escluderebbero  qualsiasi  invasione  di  potesta'
 altrui da parte della Commissione.  Anche la prassi,  d'altra  parte,
 disconoscerebbe   l'esistenza  di  vincoli  di  data,  nell'attivita'
 parlamentare  in   genere,   e   nell'attivita'   della   Commissione
 resistente;  anzi,  ad  avviso  di  quest'ultima, sarebbe sufficiente
 rilevare  -  a  dimostrazione  anche  dell'impossibile  equiparazione
 rigida  tra  la  ripartizione  degli  spazi destinati all'affissione,
 prevista  dalla  legge  n.  352  del  1970, e la regolamentazione per
 analogia dell'accesso alla televisione pubblica, - che spesso, per le
 campagne referendarie,  le  delibere  di  regolamentazione  sarebbero
 state  assunte  in  date  successive al trentesimo giorno antecedente
 allo svolgimento dei referendum stessi.
   6. -  I  comitati  promotori  ricorrenti  chiedono  che  la  Corte,
 nonostante  l'avvenuta  effettuazione  dei referendum si pronunci sui
 principi costituzionali ai quali  hanno  fatto  appello  in  sede  di
 ricorso.    Dall'ordinanza  di ammissibilita' del conflitto, infatti,
 sembrerebbero  emergere  due  contrastanti   criteri   interpretativi
 dell'atto   impugnato  (eguale  ripartizione  del  tempo  complessiva
 presenza dei comitati promotori). Non sarebbe cioe' condivisibile  la
 tesi  secondo  cui  l'eguale  ripartizione  del  tempo tra le opposte
 indicazioni di voto consentirebbe di escludere la partecipazione  dei
 promotori  alle  tribune  serali  tra  tutti  i partiti politici, che
 sarebbero, da una parte, le piu' seguite e, dall'altra, l'espressione
 di un dibattito che si svolgerebbe tutto all'interno dell'organo  che
 ha  emanato  la  legge  di  cui  si chiede l'abrogazione o che non ha
 provveduto ad abrogarla.  Nessun partito o gruppo  parlamentare,  per
 quanto  favorevole  ai  referendum  potrebbe considerarsi abilitato a
 sostenere le ragioni che hanno indotto i promotori a richiederli.  La
 stessa  lettera dell'art.   52 della legge n. 352 del 1970, chiedendo
 che i promotori del  referendum  siano  considerati,  ai  fini  della
 propaganda,  "come  gruppo unico", garantirebbe la partecipazione dei
 promotori alla tribune riservate, e cio' sarebbe  stato  attuato  nel
 passato.
   7.  -  Nel corso dell'udienza pubblica, la difesa della Commissione
 parlamentare resistente ha depositato ulteriore documentazione.
                         Considerato in diritto
   1. -   Rita Bernardini, Raffaella Fiori  e  Mauro  Sabatano,  quali
 promotori  e presentatori dei referendum abrogativi in tema di Ordine
 dei giornalisti, incarichi extragiudiziari dei  magistrati,  carriera
 dei  magistrati,  esercizio  della  caccia,  obiezione di coscienza e
 golden share, indetti per la tornata del 15  giugno  1997,  sollevano
 conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato al fine di ottenere
 l'annullamento dell'art. 2, comma 1, lettere a) e b)  della  delibera
 della   Commissione   parlamentare  per  l'indirizzo  generale  e  la
 vigilanza dei servizi radiotelevisivi, adottata  in  data  20  maggio
 1997,  con cui viene disciplinata la trasmissione di Tribune da parte
 della  concessionaria  del  servizio  pubblico   radiotelevisivo   in
 occasione delle consultazioni referendarie del 15 giugno 1997.
   I   ricorrenti   si   dolgono   della   menomazione  delle  proprie
 attribuzioni,  garantite  dall'art.  75   della   Costituzione,   che
 discenderebbe  dall'essere  previsto nella delibera della Commissione
 parlamentare un ciclo di quattro dibattiti  riservato  esclusivamente
 ai  gruppi  parlamentari,  anche  se  costituiti  in un solo ramo del
 Parlamento, e dall'essere  stata  la  stessa  delibera  approvata  in
 ritardo  con  una conseguente, illegittima restrizione della campagna
 radiotelevisiva referendaria.
   2. - Deve essere confermata  la  ammissibilita'  del  conflitto  di
 attribuzione ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n.  87,
 gia' ritenuta, in via delibativa, nella ordinanza n. 171 del 1997.
   Sussistono  infatti  i  requisiti  soggettivi, essendo indubitabili
 anche in relazione alle attivita' preordinate all'esercizio del  voto
 referendario,  sia  la  competenza  dei  promotori della richiesta di
 referendum abrogativo a dichiarare definitivamente la volonta'  della
 frazione  del  corpo  elettorale  titolare  del  potere di iniziativa
 referendaria ex art. 75 della Costituzione, sia la  competenza  della
 Commissione  parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei
 servizi radiotelevisivi a dichiarare definitivamente, in materia  che
 attiene  agli indirizzi per l'informazione e la propaganda attraverso
 il servizio pubblico radiotelevisivo, la volonta'  della  Camera  dei
 deputati e del Senato della Repubblica.
   Quanto al requisito oggettivo, si deve poi ribadire che gli atti di
 indirizzo   delle   Camere   nei   confronti  del  servizio  pubblico
 radiotelevisivo sono intesi  ad  assicurare,  in  tale  servizio,  la
 realizzazione  del principio del pluralismo (sentenze n. 420 del 1994
 e n. 112 del 1993) e sono pertanto espressione  di  una  attribuzione
 costituzionale,   si'   che   ogni   limitazione  della  facolta'  di
 partecipare  ai  dibattiti  televisivi  sui  referendum  che  dovesse
 risultarne,   potrebbe,   in   astratto,  ledere  l'integrita'  delle
 attribuzioni che spetta ai comitati promotori tutelare.
   3. -  Non  puo'  essere  accolta  l'eccezione  della  difesa  della
 Commissione   secondo  la  quale,  a  seguito  dell'espletamento  dei
 referendum proposti  dal  comitato  ricorrente  e  in  considerazione
 dell'esito  degli  stessi  -  mancato  raggiungimento  del  quorum di
 validita' delle consultazioni  a  causa  della  massiccia  astensione
 degli aventi diritto al voto, non imputabile, secondo la Commissione,
 ad  un  difetto  di  propaganda ma conseguente alla libera scelta del
 corpo elettorale - sarebbe venuto meno  l'interesse  dei  ricorrenti,
 poiche' all'eventuale sentenza della Corte non potrebbe seguire alcun
 effetto giuridico sulle procedure gia' svoltesi.
   I  rilievi  della  difesa della Commissione investono il merito del
 presente conflitto e non  anche  la  sua  ammissibilita'.  Una  volta
 ricostruita  come espressione di un dovere costituzionale che incombe
 sul Parlamento, e per esso sulla apposita  Commissione  parlamentare,
 la formulazione di indirizzi sulla propaganda referendaria rispettosi
 dei  principi'  del  pluralismo, ed una volta riconosciuto che a tale
 dovere  fa  riscontro  una  attribuzione  dei   comitati   promotori,
 l'affermazione  che  una  sentenza  di questa Corte che accertasse la
 violazione di quel dovere e la lesione di quella attribuzione sarebbe
 inidonea a produrre  effetti  sul  procedimento  di  referendum  gia'
 concluso  non  puo', nella sua assolutezza, essere condivisa, essendo
 in linea teorica valutabile  l'incidenza  dell'accertata  menomazione
 sull'esito   del   referendum.     Ne'  varrebbe  disquisire  intorno
 all'esaurimento degli effetti dell'atto impugnato, poiche', come gia'
 a suo tempo  osservato  in  altra  occasione,  residuerebbe  comunque
 "l'interesse  del  ricorrente  ad  ottenere  quella  decisione  sulla
 spettanza delle  attribuzioni  in  contestazione  che  rappresenta  -
 specialmente  nei  conflitti  tra  poteri  dello  Stato  -  l'oggetto
 principale del giudizio di questa Corte, in base all'art.   38  della
 legge n. 87 del 1953" (sentenza n. 150 del 1981).
   4. - Nel merito, il ricorso e' infondato.
   La  delibera della Commissione parlamentare, approvata il 20 maggio
 1997, stabiliva che, in occasione  delle  consultazioni  referendarie
 del  15  giugno 1997, fossero trasmessi su rete nazionale, secondo un
 criterio  di  rigorosa  equiparazione  dei  tempi  tra   le   opposte
 indicazioni  di  voto, un ciclo di confronti per ciascuno dei quesiti
 referendari, riservato ai comitati promotori ed ai comitati per il no
 costituitisi anteriormente alla data del 23 maggio 1997, un ciclo  di
 appelli ai votanti riservato ai medesimi soggetti, da trasmettere per
 televisione  e  per radio in orario serale nella giornata di venerdi'
 13 giugno, nonche' un ciclo di quattro dibattiti riservato ai  gruppi
 parlamentari anche se costituiti in un solo ramo del Parlamento.
   La  circostanza  che per questi ultimi dibattiti non fosse prevista
 la partecipazione dei comitati promotori  non  ha  comportato  alcuna
 vulnerazione  della  loro  posizione giuridica ne' alcuna menomazione
 della  sfera  di  attribuzioni  loro  garantita.  La   scelta   della
 Commissione  di  mantenere  distinte  le  trasmissioni  destinate  ai
 comitati da quelle riservate ai gruppi  parlamentari,  anche  se  non
 imposta dalla Costituzione, rispecchia una non arbitraria visione del
 referendum   tendente   a  valorizzare  la  complessa  posizione  che
 l'istituto  assume  nel  sistema  costituzionale:     da   un   lato,
 manifestazione  di  sovranita'  popolare  non  mediata che, in quanto
 tale, postula un dibattito aperto nella  societa'  civile  nel  quale
 abbiano    voce,    oltre   ai   promotori,   di   norma   favorevoli
 all'abrogazione, anche i soggetti che si organizzino per esprimere un
 orientamento contrario; dall'altro, deliberazione su una  legge,  che
 investe,  cioe',  un prodotto della rappresentanza politica e che non
 puo'  pertanto  vedere  esclusi  dal  dibattito  pubblico  i   gruppi
 parlamentari, riflesso istituzionale del pluralismo politico, che del
 sistema rappresentativo costituiscono struttura portante.
   Da  nessun principio costituzionale e' desumibile un divieto a che,
 in tema di propaganda radiotelevisiva referendaria,  i  due  piani  -
 quello  del  libero  e  in  qualche modo contingente aggregarsi delle
 idee,  delle  opinioni  e  degli  interessi  attorno  ad  un  quesito
 specifico,  sul  quale  si  muovono  i  comitati, e quello delle piu'
 stabili aggregazioni politiche, proprio  dei  gruppi  parlamentari  -
 siano  mantenuti  distinti  per  una  piu' chiara percezione da parte
 dell'elettore della  complessiva  consistenza  del  quesito  e  della
 molteplicita' delle sue valenze.
   E' vero che il disegno costituzionale e' sul punto sufficientemente
 elastico  da  permettere,  nella  propaganda  attraverso  il servizio
 pubblico  radiotelevisivo,  anche  un'impostazione   diversa   e   da
 consentire,  in  assenza  di  un'apposita disciplina legislativa, che
 nella delibera della  Commissione  bicamerale  il  processo  politico
 referendario  sia  considerato  unitariamente,  con  la previsione di
 programmi di  confronto  diretto  tra  rappresentanti  dei  gruppi  e
 promotori,   come   avveniva   nelle   deliberazioni  adottate  dalla
 Commissione in occasione di precedenti tornate  referendarie.
   L'essenza del principio desumibile in materia  dalla  Costituzione,
 infatti,  e'  la  necessaria  democraticita'  del  processo  politico
 referendario e l'esigenza  che  in  esso  sia  offerta  dal  servizio
 pubblico televisivo la possibilita' che i soggetti interessati, anche
 attraverso  organizzazioni  costituite  in  vista della consultazione
 referendaria,  partecipino  alla  informazione  e   alla   formazione
 dell'opinione  pubblica; i modi e le forme in cui tale partecipazione
 deve svolgersi sono rimessi, pero', in  assenza  di  disposizioni  di
 legge,  alla  discrezionalita'  della  Commissione  parlamentare  che
 incontra i limiti, nella specie non  oltrepassati,  dell'idoneita'  e
 della congruita' della scelta rispetto al fine da perseguire.
   Non  depone  nel  senso  dell'esistenza di uno schema di propaganda
 radiotelevisiva fisso ed infungibile l'art. 52 della legge n. 352 del
 1970, invocato dai ricorrenti, il  quale,  nella  ripartizione  degli
 spazi  destinati  alle  affissioni,  tratta i promotori come un unico
 gruppo, sullo stesso piano, cioe', dei gruppi politici  rappresentati
 in  Parlamento.  Questa  disposizione pone la regola che ai promotori
 del referendum non  possono  essere  destinati  spazi  di  propaganda
 minori  o  meno importanti di quelli riconosciuti ai gruppi politici;
 non se ne desume l'ulteriore e diversa regola che gruppi  e  comitati
 debbano disporre contestualmente dei medesimi spazi.
   Dalla  disciplina  delle  affissioni  non  si  argomenta  dunque il
 diritto  dei  promotori  di  partecipare  alle  stesse   trasmissioni
 riservate  ai  gruppi  politici,  tanto  piu' che l'applicazione, nel
 significato preteso dai ricorrenti, dell'art. 52, il  quale  equipara
 gruppi  politici e comitati senza dare alcun rilievo all'orientamento
 che i  primi  intendano  manifestare  in  vista  della  consultazione
 referendaria, sarebbe stata difficilmente conciliabile con la scelta,
 non  irragionevole  e  non  preclusa  alla Commissione bicamerale, di
 valorizzare il carattere binario del quesito  e  di  adottare,  nella
 ripartizione  dei  tempi  di trasmissione, il criterio della rigorosa
 equiparazione tra le opposte indicazioni di voto, sia  nei  confronti
 tra  comitati,  sia  nei  dibattiti  tra  rappresentanti  dei  gruppi
 politici.
   5. - Infondata e' pure la censura dei ricorrenti secondo i quali la
 menomazione delle  proprie  attribuzioni  deriverebbe  dalla  tardiva
 adozione  della delibera, approvata dalla Commissione parlamentare il
 20 maggio 1997 in relazione a referendum indetti  per  il  15  giugno
 1997;  cio'  che  avrebbe determinato, a loro avviso, una illegittima
 compressione del periodo di campagna referendaria.
   Nessuna disposizione di legge stabilisce  quanto  tempo  prima  del
 giorno  previsto  per la consultazione popolare debba essere adottata
 la delibera relativa alla trasmissione  delle  tribune  referendarie.
 L'art.  1  della  legge  10 dicembre 1993, n. 515, che effettivamente
 dispone che tale deliberazione debba intervenire non oltre il  quinto
 giorno  successivo  alla indizione dei comizi elettorali, riguarda le
 elezioni politiche della Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della
 Repubblica;  e,  mentre  il  successivo art. 20 estende la disciplina
 alle  elezioni  del  Parlamento  europeo,  dei  Consigli   regionali,
 provinciali e comunali, del Sindaco e del Presidente della provincia,
 nessuna norma si riferisce espressamente al referendum. Anche a voler
 applicare   in  via  analogica  alle  consultazioni  referendarie  il
 principio ricavabile dal citato articolo  1,  tale  applicazione  non
 puo'  che  limitarsi, appunto, al principio e questo non e' nel senso
 che l'intero periodo compreso tra la data di adozione della  delibera
 e quella delle votazioni debba essere ininterrottamente coperto dalle
 trasmissioni   del   servizio   pubblico;  e'  infatti  positivamente
 richiesto soltanto  che  gli  spazi  di  propaganda  siano  "idonei",
 adeguati,   cioe',   a   una   corretta   e   completa   informazione
 radiotelevisiva che e' tutto quanto necessita all'espressione  di  un
 voto consapevole da parte degli elettori.
   D'altronde,  una lesione delle attribuzioni dei comitati promotori,
 in ordine alla propaganda referendaria, non potrebbe  consistere  nel
 mero  dato  formale del ritardo nell'adozione della delibera. Perche'
 la lesione sussista, occorre che essa sia sostanziale, che  cioe'  il
 periodo  di  effettiva  propaganda  e  gli  spazi  ad  essa destinati
 risultino  insufficienti  ed  inadeguati  secondo  un   criterio   di
 ragionevolezza.   Ma l'applicazione di tale criterio porta a ritenere
 che  nessuna  irragionevole  compressione  delle   attribuzioni   dei
 promotori  si  e' nella specie verificata, se si considera che l'atto
 impugnato  prevedeva,  in  loro  favore,  per  ciascuno  dei  quesiti
 referendari un ciclo di confronti suddivisi in piu' trasmissioni e un
 ciclo  di  appelli  ai  votanti  nella giornata di venerdi' 13 giugno
 1997, in orario serale.