IL PRETORE Sciogliendo la riserva che precede, rileva che: 1. - Si pone la questione della legittimita' costituzionale della normativa regionale che, con la legge n. 10 del 2 aprile 1996, modificata dalla legge n. 14 del 16 maggio 1997, ha disciplinato, tra l'altro, la fissazione dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Il comune di Padova, infatti, ha chiesto - applicando negli esatti termini la normativa e le fasce di valutazione in essa stabilite - il pagamento di un canone superiore a quello che risulta dall'applicazione degli artt. 12-24 della legge n. 392/1978. I ricorrenti contestano la legittimita' di tale risultato. Giova precisare, poi, che gli alloggi dei ricorrenti rientrano, pacificamente, nell'ambito di applicazione della normativa che ricomprende (art. 1, 1 legge regionale citata) "tutti gli alloggi realizzati o recuperati da enti pubblici, comprese le aziende municipalizzate dipendenti dagli enti locali, a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato o della regione, delle province o dei comuni, nonche' agli alloggi acquistati, realizzati o recuperati da enti pubblici non economici e utilizzati per le finalita' sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica" oltre a quelli specificamente indicati dal comma 2 art. 1 della legge citata. Si tratta, infatti, di immobili che risultano ab ovo appartenenti all'Ater (gia' IACP) con destinazione per l'edilizia residenziale pubblica. 2. - Appare opportuno, preliminarmente, individuare e delimitare la normativa rilevante per l'esame delle questioni. In particolare: Deliberazione CIPE del 13 marzo 1995 (in G.U. n. 122 del 27 maggio 1995). Al punto 8, in particolare, viene stabilito che il canone di locazione "e' diretto a compensare i costi di amministrazione, di gestione e di manutenzione nonche' nel recupero di una parte del costo delle risorse impiegate". In altri termini, quindi, i criteri per la determinazione del canone sono funzionali a due esigenze: da un lato quelle di economicita' della gestione da parte dell'ente pubblico e, dall'altro, quelle connesse al soddisfacimento dei bisogni sociali legati all'abitazione. Per la realizzazione di tale finalita' la delibera CIPE individua tre tipi di canone (A: sociale, B: di riferimento, C: di locazione) applicabili avuto riguardo al reddito dell'intero nucleo familiare. Il canone di riferimento -B- poi, viene sostanzialmente identificato, quantomeno in via transitoria e suppletiva, in quello determinato ai sensi della legge n. 392/1978, con un possibile incremento non superiore al 25%; mentre il canone della categoria C diviene, in concreto, pari a quello di riferimento (ossia al "canone equo") maggiorato in misura non inferiore al 50%. Legge regionale n. 10 del 2 aprile 1996 (G.U. s. speciale n. 29 del 27 luglio 1996). La legge regionale ha dato puntuale applicazione alle indicazioni contenute nella delibera del CIPE identificando la fascia A con l'"area di protezione" (con un canone determinato sul parametro della pensione minima INPS), la fascia B con l'"area sociale" e con un canone che puo' giungere fino ad essere pari a quello "equo" maggiorato del 20% e, infine, prevedendo, per la fascia C (identificata con l'"area di decadenza") l'applicazione del canone come determinato ai sensi della legge n. 392/1978, maggiorato, per talune categorie, fino al 150%. (v. art. 18, legge citata). Deliberazione CIPE del 20 dicembre 1996 (in G.U. n. 37 del 14 febbraio 1997). Il punto 8 viene modificato per cui il "canone di riferimento", lett. B), diviene, in via definitiva "quello determinato con le modalita' previste dagli artt. 12-24 legge 8 agosto 1978 n. 392" con onere per la regione di individuare un numero di fasce tali da assicurare progressivita' rispetto al reddito e di definire un graduale passaggio tra il massimo canone della fascia A e il minimo della B. Per i nuclei familiari collocati nella fascia C - del c.d. "canone di locazione" - poi, il canone e' determinato ai sensi della legge n. 392/1978 e non puo' comunque essere inferiore all'"equo canone". Legge regionale n. 14 del 16 maggio 1997 (G.U. S. Speciale n. 36 del 6 settembre 1997). La normativa regionale, pur sostanzialmente invariata, subisce una importante innovazione. Il "canone equo" determinato ai sensi degli artt. 12-14 della legge n. 392/1978, infatti, diventa il fondamentale parametro di riferimento per tutti i tipi di canone: anche per la fascia A il canone non puo', in ogni caso, "essere superiore al 50% del canone determinato ai sensi degli artt. da 12 a 22 e 24 della legge 27 luglio 1978 n. 392". Per la fascia C, poi, vengono aumentate le fasce (da due a tre) di reddito (che risultano concepite con una maggiore adesione al reddito del nucleo familiare) anche se permane la possibilita' di un canone pari a quello "equo" con una maggiorazione fino al 150%. Legge n. 513 dell'8 agosto 1977. L'art. 22 della legge n. 513 del 1977 stabilisce un raccordo tra la normativa speciale per l'edilizia residenziale pubblica e quella locatizia: in particolare, il miglioramento delle condizioni economiche dell'assegnatario - tale da integrare un presupposto per la revoca ex art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1035/1972 - comporta che quest'ultimo possa continuare a mantenere il godimento dell'immobile a titolo di locazione, che resta regolata "dalle norme sulla disciplina della locazione degli immobili urbani" (art. 22, ultimo comma). Legge n. 457 del 5 agosto 1978: La normativa disciplina, tra l'altro, la potesta' del CIPE di determinare, con le proprie deliberazioni, i criteri generali per le assegnazioni e per la fissazione dei canoni delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica (art. 2, comma 2). 3. - Tutto cio' premesso, si deve ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18 della legge regionale Veneto n. 10/1996, come modificata dalla legge regionale n. 14/1997; nella parte in cui individua per la c.d. area sociale e per la c.d. area di decadenza la possibilita' di applicazione di un canone aumentato rispetto a quello previsto dalla legge n. 392/1978. La questione sussiste per due differenti profili. In particolare: a) Le deliberazioni del CIPE consentono ed impongono la determinazione di canoni superiori a quelli previsti dalla legge n. 392/1978 in contrasto con la previsione di cui all'art 2, legge n. 457/1978 - che consente la determinazione di criteri all'interno del tetto massimo quale indicato nel canone ex lege n. 392/1978 - nonche' con il disposto di cui all'art. 22, ultimo comma della legge n. 513/1977. Ritiene questo giudicante, poi, che la lettera dell'art. 22 citato importi un rinvio al regime della legge n. 392/1978, che viene a regolare l'eventuale prosecuzione del rapporto una volta intervenute le condizioni per la revoca dell'assegnazione per il miglioramento delle condizioni di reddito. In ogni caso, peraltro, va escluso che sia operativo il meccanismo dei patti in deroga introdotti con la legge n. 359/1992: sia le deliberazioni del CIPE che la stessa legge regionale, infatti, non solo fanno rinvio alla legge n. 392/1978, ma, anzi, introducono dei criteri per determinare il canone in via unilaterale e autoritativa a prescindere dalla visione "contrattuale" che caratterizza i c.d. patti in deroga e che, in ipotesi, dovrebbe assistere quantomeno la c.d. area di decadenza. Si deve dubitare, pertanto, del potere di modificare mediante le deliberazioni del CIPE una situazione normativa statuita con legge ordinaria, con conseguente illegittimita' della legge regionale che a tali delibere si e' richiamata. Giova poi osservare che si deve comunque escludere una autonoma competenza della regione in materia poiche' - come precisato dalla stessa Corte costituzionale (sent. 27 del 5-12 febbraio 1996) - l'aspirazione dei singoli a vedere soddisfatta la pretesa di disporre di un'abitazione a prezzo sociale si deve confrontare con le esigenze della finanza pubblica ed i due aspetti si caratterizzano per la dimensione generale (nazionale) degli interessi coinvolti. La conclusione, pertanto, non muta anche qualora si voglia assegnare autonomia alla legge regionale rispetto alla deliberazione CIPE. Il parametro del giudizio di legittimita' costituzionale va individuato negli artt. 70, 115 e 117 Cost.. b) Sussistono, in secondo luogo, ragioni oggettive che inducono a dubitare della costituzionalita' del complessivo assetto normativo disegnato dalla legge regionale per il canone dell'area sociale. Giova premettere che questo giudicante - prescindendo dalle considerazioni sub a) - non ritiene che debba essere aprioristicamente considerata illegittima la possibilita' di applicare un canone superiore a quello determinato ai sensi della legge n. 392/1978 a coloro che, pur possedendo un reddito tale da poter locare un immobile sul mercato, occupino, invece, un alloggio pubblico, sottraendolo, quindi, a soggetti che ne abbiano maggiori e piu' stringenti necessita'. Il corrispettivo richiesto a coloro che si trovano in simili condizioni, infatti, persegue anche una evidente e giustificata funzione di dissuasione per la liberazione dell'immobile, fermo restando - una volta decorso un biennio dall'insorgenza delle condizioni di maggior reddito - l'eventuale declaratoria di decadenza. In tali ipotesi potrebbe suscitare perplessita', eventualmente, la previsione della possibilita' di stipulare, una volta intervenuta la decadenza, un contratto di locazione alle stesse condizioni di canone previste per la c.d. area di decadenza invece che secondo le disposizioni della legge n. 359/1992. La questione, peraltro, esula dal presente giudizio. Gli assegnatari che si trovano nella fascia a canone sociale, invece, sono coloro che sono titolari di un reddito che, pur superiore ai limiti di accesso, resta inferiore ai limiti di decadenza. Si tratta, quindi, di soggetti che appartengono ad una fascia medio-bassa del mercato dell'alloggio, la cui posizione, pertanto, pur non richiedendo una tutela eccezionalmente rafforzata (caratteristica dell'area di protezione, il cui canone - ai sensi dell'art. 18, primo capoverso lett. A), legge regionale n. 10/1996 come modificato dall'art. 9, legge regionale n. 14/1997 - non puo' superare il 50% del canone determinato ai sensi della legge n. 392/1978), non puo' che restare ancorata al regime ordinario (applicabile in assenza di una specifica contrattazione nelle forme della legge n. 359/1992) di cui alla legge n. 392/1978. La situazione, in altri termini, sembra debba essere ricondotta - per quanto concerne tale fascia - ai principi affermati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 155/1988 dichiarativa dell'illegittimita' dell'art. 26, 1 lett. c) della legge n. 392/1978 nella parte in cui non dispone che il canone di locazione di immobili soggetti alla edilizia convenzionata non deve comunque superare il canone risultante dalle disposizioni del titolo I capo I della citata legge. Va osservato, d'altra parte, che la stessa deliberazione CIPE del 20 dicembre 1996 all'art. 2, comma 2, identifica il "canone di riferimento" con quello determinato ai sensi della legge n. 392/1978, al terzo comma si preoccupa di puntualizzare che "la regione avra' cura di definire un graduale passaggio tra il massimo canone della fascia A e il minimo canone della fascia B", mentre appaiono eliminati i riferimenti espliciti - presenti invece nella delibera del 13 maggio 1996 - a percentuali di incidenza superiori al canone "equo". Giova precisare, poi, che l'assenza di una finalita' di lucro propria del tipo di edilizia mal si concilia con l'applicazione di un canone superiore, mancando altresi' una prospettiva di dissuasione dall'occupare un alloggio pubblico che, invece, come su osservato, puo' caratterizzare la posizione di coloro che rientrano nella c.d. area di decadenza. I soggetti che vengono in considerazione nell'ambito dell'area sociale, in altri termini, restano destinatari di una tutela avanzata che non sembra giustificare l'applicazione di un canone superiore a quello previsto dalla legge n. 392/1978. Il parametro del giudizio di legittimita', pertanto, va individuato, in questo caso, nell'art. 3 della Costituzione. 4. - Le questioni esaminate sono rilevanti nel presente giudizio poiche' si controverte sull'applicazione del canone come determinato dalla normativa regionale: le posizioni di Spollon Bruno, Luongo Orlando e Schiavon Giorgio rientrano nella fascia C.1, mentre quelle di Scorzon Luciano e Cesaro Luigi sono ricondotte alla fascia B.3. La decisione della presente causa, pertanto, dipende dalla soluzione dei problemi esposti.