ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 4,
 del  d.-l. 20 settembre 1996, n. 489, recante "Interventi programmati
 in agricoltura per l'anno 1996", convertito dalla  legge  5  novembre
 1996,  n.  578,  promosso  con  ricorso  della  provincia autonoma di
 Trento, notificato il 13 dicembre 1996 e depositato in cancelleria il
 successivo  18  dicembre,  ed  iscritto al n. 51 del registro ricorsi
 1996.
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1998 il giudice relatore
 Valerio Onida;
   Uditi  l'avvocato  Giandomenico Falcon per la provincia autonoma di
 Trento e l'avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  notificato il 13 dicembre 1996 e depositato il
 successivo 18 dicembre la provincia autonoma di  Trento  ha  proposto
 questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art.  8,
 n.  21,  e  all'art.  16  dello statuto speciale per il Trentino-Alto
 Adige, nonche' alle relative norme di attuazione, ed  in  particolare
 all'art.  4  del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, dell'art. 2, commi 1 e
 4, del d.-l. 20 settembre 1996, n.  489  (Interventi  programmati  in
 agricoltura   per   l'anno  1996),  come  convertito  in  legge,  con
 modificazioni, dalla legge 5 novembre 1996, n. 578.
   Il decreto-legge in esame, all'art. 1, autorizza la  spesa  di  517
 miliardi  "al  fine  di dare continuita' all'azione di programmazione
 per gli interventi pubblici nel  settore  agricolo  e  forestale  per
 l'anno  1996",  a  completamento  delle somme destinate da precedenti
 leggi di programmazione in agricoltura. Detta  somma,  ai  sensi  del
 comma  2  dell'art.  1,  e'  destinata in parte alla realizzazione di
 programmi di rilevanza nazionale, da svolgersi da parte del Ministero
 delle risorse agricole, alimentari  e  forestali  (oggi  soppresso  e
 sostituito  dal  Ministero  per  le  politiche agricole, ai sensi del
 d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143); in parte alla copertura finanziaria di
 rate di mutui di miglioramento fondiario contratti dalle regioni;  e,
 per   lire   147   miliardi,   alla   "realizzazione   di   programmi
 interregionali" (comma 2, lettera b). Tali somme sono  assegnate  dal
 CIPE  su proposta del Ministro delle risorse agricole d'intesa con il
 Comitato permanente delle politiche agro-alimentari di cui all'art. 6
 della  legge  4  dicembre  1993,  n.  491,  istitutiva  del  predetto
 Ministero (comma 3).
   L'art.  2  del  decreto-legge,  oggetto  dell'odierna impugnazione,
 disciplina appunto i "programmi di rilevanza interregionale": a norma
 del comma 1, essi "possono essere proposti dal Ministero o da  almeno
 tre   regioni  e  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano",  e
 "individuano le azioni attuate rispettivamente, dalle regioni e dalle
 province autonome e dal  Ministero  e  sono  approvati  dal  Comitato
 permanente"  delle politiche agro-alimentari. Il comma 4 del medesimo
 art. 2 a sua volta prevede  che,  "qualora  i  programmi  di  cui  al
 presente  articolo  riguardino  azioni  da realizzare nelle regioni a
 statuto speciale o nelle province autonome di Trento e di Bolzano, le
 stesse finanziano la spesa relativa  agli  interventi  ricadenti  nei
 propri territori".
   Ad  avviso  della provincia ricorrente, tali disposti ledono la sua
 autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria.
   Una prima censura investe il comma 1 dell'art. 2 "in quanto dispone
 che i programmi di rilevanza interregionale interessanti la provincia
 autonoma  di Trento possano essere proposti dal Ministero e approvati
 dal Comitato permanente".
   La ricorrente non contesta la possibilita' della collaborazione tra
 le regioni e le province autonome per la realizzazione  di  programmi
 di  comune  interesse,  ne' nega pregiudizialmente l'ipotesi che tali
 programmi possano esser concepiti, su base consensuale, anche con  la
 collaborazione  del  Ministero,  ove  richiesta;  e  afferma  che  il
 problema non si porrebbe se  il  programma  potesse  essere  proposto
 dalle sole regioni o province autonome interessate, o se, da chiunque
 proposto,  esso  richiedesse  necessariamente, per l'approvazione, il
 consenso della regione o provincia autonoma interessata.  Ma  ritiene
 che  il  testo  della  disposizione in esame consenta che i programmi
 siano  proposti  e  persino  approvati  a  prescindere  dal  consenso
 specifico  della  regione  o provincia autonoma interessata, dato che
 proponente puo' essere il Ministero, e l'approvazione e' devoluta  al
 Comitato  permanente  delle  politiche  agro-alimentari,  in cui sono
 presenti i rappresentanti delle regioni e province autonome,  ma  che
 potrebbe  deliberare  a  maggioranza,  senza  il voto della regione o
 provincia autonoma interessata.
   Sarebbero  cosi'  lese  la  potesta'  legislativa  primaria   della
 provincia,  in  quanto modalita' e regole di un'azione amministrativa
 interna a questa sarebbero decise  al  di  fuori  della  legislazione
 provinciale,  e  la corrispondente potesta' amministrativa, in quanto
 specifiche azioni amministrative verrebbero  decise  da  un  soggetto
 diverso  dalla  provincia;  sarebbero  altresi'  violate  le garanzie
 previste dall'art.   4 del  decreto  legislativo  n.  266  del  1992,
 secondo  cui,  nelle  materie di competenza provinciale, la legge non
 puo' attribuire agli organi statali funzioni  amministrative  diverse
 da  quelle  spettanti  allo  Stato  secondo  lo statuto e le norme di
 attuazione, e le amministrazioni statali non possono  disporre  spese
 ne'  concedere finanziamenti per attivita' nell'ambito del territorio
 provinciale.
   Una seconda censura riguarda parimenti il comma 1 dell'art. 2,  "in
 quanto   dispone   che   i   programmi  di  rilevanza  interregionale
 interessanti la provincia  autonoma  di  Trento  possano  individuare
 azioni   attuate   nella   provincia   stessa  dal  Ministero".  Tale
 previsione, gia' illegittima, ad avviso della ricorrente, in  via  di
 principio,   in   quanto   consente   una   attivita'  amministrativa
 ministeriale in sede locale, contrasterebbe in ogni caso col divieto,
 posto dal citato art. 4 del decreto legislativo n. 266 del  1992,  di
 attribuire  agli  organi  statali  nuove funzioni amministrative e di
 concedere  finanziamenti  statali  per  attivita'   nell'ambito   del
 territorio provinciale.
   Una  terza  censura  ha  ad  oggetto  il  comma  4  dell'art. 2 del
 decreto-legge,  "in  quanto  dispone  il   finanziamento   da   parte
 provinciale  ...  dei  programmi interregionali riguardanti azioni da
 realizzare nel proprio territorio", qualora si tratti  di  interventi
 decisi  senza  il consenso della provincia, o comunque non realizzati
 nell'ambito di una decisione e  responsabilita'  di  questa,  sicche'
 essa  "verrebbe  paradossalmente  -  e  del  tutto illegittimamente -
 chiamata a "pagare il conto" di cio' che altri hanno proposto, deciso
 e realizzato".
   2.  - Si e' costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, che, in una memoria presentata successivamente, chiede  che
 sia  dichiarata  cessata  la  materia  del  contendere  ovvero che il
 ricorso sia respinto come infondato.
   Secondo l'Avvocatura erariale le censure della ricorrente sarebbero
 frutto di un equivoco.
   Essa osserva che con la istituzione del Comitato  permanente  delle
 politiche  agro-alimentari  (ora soppresso dal decreto legislativo n.
 143 del 1997, istitutivo del Ministero delle politiche  agricole)  si
 era stabilito il principio della cogestione della politica agricola e
 agro-alimentare  nazionale, con la conseguenza che regioni e province
 erano chiamate a concertare e definire, tra l'altro, tutti  gli  atti
 di  rilevanza  politica  avviati  dal  Ministero,  compresi  quelli a
 carattere legislativo: cosi' sarebbe avvenuto per il provvedimento in
 esame, preventivamente istruito a livello  tecnico  e  approvato  dal
 Comitato  senza  osservazioni contrarie di alcuna regione o provincia
 autonoma.
   Il Comitato aveva poi definito anche i criteri per la realizzazione
 dei programmi,  precisando  che  essi  avrebbero  dovuto  essere  non
 sostitutivi  ma  sussidiari  di  iniziative  regionali o nazionali in
 atto; e per la loro realizzazione era stata prevista una  "azione  di
 partenariato"  fra  le  regioni  o  province  e fra queste e soggetti
 pubblici e privati, nonche', per le regioni a statuto speciale  e  le
 province  autonome - che non potevano, in forza della legge n. 38 del
 1990, fruire della assegnazione di fondi statali derivanti  da  leggi
 pluriennali  di spesa -, l'utilizzazione di risorse proprie di queste
 ultime per gli interventi ricadenti nei rispettivi territori.
   Tutto  cio',  ad  avviso  dell'Avvocatura  erariale,   portava   ad
 escludere,  nella pratica attuazione della normativa, la possibilita'
 che una decisione ministeriale o del Comitato potesse essere  assunta
 senza  il  consenso della regione o provincia interessata, tanto piu'
 per le regioni speciali, che dovevano finanziare per intero la  spesa
 per gli interventi nel proprio territorio.
   In  effetti  -  prosegue  la  difesa del Presidente del Consiglio -
 nella fase attuativa, ormai conclusa, della normativa in questione, i
 programmi interregionali sono stati proposti e  realizzati  di  piena
 intesa, e, per quanto riguarda la provincia di Trento, non si e' dato
 corso all'attuazione di alcun programma interregionale riguardante il
 suo  territorio,  in quanto si e' ritenuto di esaminare solo proposte
 avanzate  dalla  stessa  provincia,  e  nessuna  proposta  e'   stata
 avanzata.
   L'Avvocatura  erariale  conclude  dunque  osservando  che  la norma
 avrebbe esaurito i suoi effetti senza  toccare  gli  interessi  della
 provincia  autonoma  ricorrente,  onde  potrebbe ritenersi cessata la
 materia del contendere.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione proposta dalla ricorrente provincia  autonoma  di
 Trento investe l'art. 2, commi 1 e 4, del d.-l. 20 settembre 1996, n.
 489  (Interventi  programmati  in  agricoltura per l'anno 1996), come
 convertito dalla legge n. 578 del 1996. Dette disposizioni, in quanto
 prevedono la possibilita' che programmi interregionali di  interventi
 in   agricoltura,  interessanti  il  territorio  della  provincia,  e
 destinati ad essere finanziati dalla provincia stessa, siano proposti
 dal Ministero e approvati dal Comitato permanente  per  le  politiche
 agro-alimentari   e  forestali  senza  il  consenso  specifico  della
 provincia  autonoma  medesima,  e  che  essi individuino anche azioni
 amministrative  destinate  ad  essere  attuate  dal   Ministero   nel
 territorio  provinciale, lederebbero la potesta' legislativa e quella
 amministrativa  della  provincia  in  materia   di   agricoltura,   e
 violerebbero   il   divieto,   posto,  nelle  materie  di  competenza
 provinciale, dalle norme di attuazione contenute  nell'art.    4  del
 decreto  legislativo n. 266 del 1992, di attribuire ad organi statali
 funzioni amministrative diverse da quelle  spettanti  allo  Stato  in
 base  allo  statuto  e  alle  norme  di  attuazione,  e  di  disporre
 finanziamenti  statali  per  attivita'  nell'ambito  del   territorio
 provinciale.
   2. - Non puo' accogliersi la richiesta del Presidente del Consiglio
 di  dichiarare cessata la materia del contendere, per il fatto che le
 norme impugnate avrebbero ormai ricevuto  completa  attuazione  senza
 che  alcun programma interregionale approvato contempli interventi da
 attuare nel territorio della provincia autonoma di Trento.
   Nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  in  via  principale,
 infatti,  si  puo'  pervenire  ad  una  pronuncia di cessazione della
 materia del contendere solo quando le disposizioni di legge impugnate
 siano state private di ogni  effetto,  anche  per  il  passato  (cfr.
 sentenze  n.  253 del 1989; n. 215 del 1985): il che nella specie non
 si e' verificato.
   Ma nemmeno puo' giungersi ad una dichiarazione di  inammissibilita'
 per  sopravvenuta  carenza  di  interesse, secondo una prospettazione
 adombrata dalla difesa erariale  nella  discussione  orale.  Infatti,
 anche  ammesso che l'applicazione delle disposizioni impugnate si sia
 effettivamente esaurita con l'adozione e l'attuazione  di  programmi,
 nessuno  dei  quali investe il territorio della provincia ricorrente,
 non si potrebbe dire per questo venuta meno l'efficacia del  disposto
 legislativo,   che   ha  di  per  se'  dato  luogo  alle  censure  di
 illegittimita' costituzionale sollevate dalla ricorrente. Senza  dire
 che  l'art.  14, comma 4, del d.-l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito,
 con  modificazioni,  dalla  legge  23  maggio  1997,   n.   135,   ha
 autorizzato,  per  il  1997,  l'ulteriore  spesa  di 517 miliardi "da
 ripartirsi secondo le finalita' e  con  le  modalita'  stabilite  nel
 d.-l.  20  settembre 1996, n. 489", cioe', appunto, nel provvedimento
 impugnato in questa sede:  onde  l'efficacia  delle  norme  censurate
 risulta   prorogata   ed   estesa   ad   ulteriori   procedimenti  di
 programmazione,  diversi  da  quelli  in   cui   si   e'   concretata
 l'applicazione delle medesime secondo la loro portata originaria.
   3.  -  La  questione,  che deve dunque essere decisa nel merito, e'
 fondata nei termini di seguito precisati.
   I programmi  "di  rilevanza  interregionale"  di  cui  e'  giudizio
 contemplano  interventi almeno parzialmente rientranti nell'ambito di
 competenza delle regioni e  delle  province  autonome  (infatti  agli
 interventi di rilevanza nazionale da svolgersi da parte del Ministero
 e'  destinata un'altra quota del finanziamento, prevista dall'art. 1,
 comma 2, lettera a) del decreto-legge n. 489  del  1996);  essi  sono
 finanziati,  in  generale, con risorse ricadenti in parte nell'ambito
 della  percentuale  dell'80  per  cento  dei  fondi  destinati   agli
 interventi in agricoltura, che veniva riservata alle regioni ai sensi
 dell'art. 2, comma 10, della legge n. 491 del 1993, e in particolare,
 per  quanto  riguarda  le  regioni  speciali  e le province autonome,
 esclusivamente  con  risorse   di   queste   ultime,   come   dispone
 espressamente  il  comma  4 dell'impugnato art. 2, in coerenza con la
 esclusione di tali enti dal riparto del fondo per l'attuazione  degli
 interventi  programmati in agricoltura, disposta, a partire dal 1990,
 dall'art. 20, comma 1, lettera b) del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415,
 convertito dalla legge 28 febbraio 1990, n. 38.
   Alla stregua  di  quanto  precede,  in  tanto  puo'  ammettersi  la
 legittimita'  di  un  procedimento  di programmazione come quello qui
 configurato, in quanto i programmi stessi siano approvati ed  attuati
 con  il  necessario  specifico consenso, in ordine al loro contenuto,
 delle regioni o province autonome nel  cui  territorio  ricadono  gli
 interventi  da  essi  previsti.  Ne'  tale  consenso  potrebbe essere
 sostituito dall'approvazione del programma - a maggioranza - da parte
 del Comitato per le politiche agro-alimentari e forestali,  istituito
 nell'ambito  della  Conferenza  Stato-regioni  dall'art.  2, comma 6,
 della legge n. 491 del 1993, ed  oggi  presumibilmente  destinato  ad
 essere sostituito, dopo l'abrogazione della predetta legge n. 491 del
 1993  (ad  opera dell'art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 143
 del 1997), dalla stessa  Conferenza  Stato-regioni,  nell'ambito  dei
 compiti  riordinati  dall'art.  2  del  decreto legislativo 28 agosto
 1997,  n.  281.   Diversa   e'   infatti   la   funzione   esercitata
 dall'organismo    collettivo   di   rappresentanza   delle   regioni,
 nell'ambito  di  procedimenti  di  concertazione  con  lo  Stato  che
 riguardino  tutte  le  regioni  o  parte  di esse, da quella che deve
 essere esercitata dalla singola regione o provincia interessata  allo
 specifico    procedimento    o   provvedimento,   quando   le   norme
 costituzionali, statutarie o di attuazione richiedano l'intesa  o  la
 partecipazione  procedimentale  della  medesima  (sentenza n. 121 del
 1997).
   La formulazione testuale dell'art. 2, comma 1, lascia invece aperta
 la strada alla possibile  approvazione  di  programmi  interregionali
 proposti  dal  solo  Ministero  e  approvati dal comitato anche al di
 fuori dello  specifico  consenso  della  regione  interessata:  cosi'
 contrastando   inevitabilmente   con  l'ordine  costituzionale  delle
 competenze.
   Tale specifico consenso deve dunque essere  acquisito,  perche'  il
 programma  possa  essere legittimamente approvato, chiunque ne sia il
 proponente, vale a dire, secondo la previsione del comma 1, dell'art.
 2, il Ministero, ovvero  almeno  tre  regioni  o  province  autonome,
 evidentemente destinatarie degli interventi medesimi.
   4.  -  La ricorrente censura anche la previsione dell'art. 2, comma
 1, secondo cui i  programmi  interregionali  "individuano  le  azioni
 attuate,  rispettivamente,  dalle regioni e dalle province autonome e
 dal Ministero", ritenendo che in tal modo si  legittimino  interventi
 ministeriali  diversi  da  quelli spettanti agli organi statali sulla
 base dello statuto e delle norme di  attuazione,  in  violazione  del
 divieto  di  cui  all'art. 4, commi 1 e 3, del decreto legislativo n.
 266 del 1992.
   La Corte ritiene che la disposizione in questione, nella parte  qui
 considerata,  sia  da  intendere  nel  senso  che gli interventi, che
 possono essere individuati in capo al  Ministero  e  alle  regioni  o
 province  autonome  interessate,  debbano  rientrare nelle rispettive
 attribuzioni, definite secondo l'ordine delle competenze  discendente
 dalla  Costituzione,  dagli  statuti  e  dalle  norme  di attuazione:
 secondo il principio  per  cui,  nel  silenzio  della  legge,  devono
 ritenersi  implicitamente  richiamate  le  norme  che  definiscono le
 rispettive competenze. Cio' tanto piu' vale,  in  quanto  si  tratta,
 nella specie, di norme che si limitano a disciplinare un procedimento
 di  programmazione  concertata,  e  non  sono dirette ad innovare o a
 derogare  all'ordine  delle  competenze  amministrative;  a   maggior
 ragione  avendo  riguardo alla provincia di Trento, nei cui confronti
 vale l'ulteriore norma di salvaguardia, contenuta nell'art. 4,  comma
 1,  del  decreto  legislativo  n. 266 del 1992, in forza della quale,
 nelle materie di competenza provinciale, la legge non puo' attribuire
 agli  organi  statali  funzioni  amministrative  diverse  da   quelle
 spettanti  allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme
 di attuazione.
   5.  -  Deve  pertanto  dichiararsi  costituzionalmente  illegittimo
 l'art.    2, comma 1, del decreto-legge impugnato, nella parte in cui
 consente  che  i  programmi  interregionali,  da  chiunque  proposti,
 possano  essere  approvati  senza  il  consenso specifico di ciascuna
 delle regioni o province  autonome  nel  cui  territorio  i  relativi
 interventi   sono   destinati   ad   essere   attuati   dai  soggetti
 rispettivamente competenti.
   6. - A seguito di tale dichiarazione di incostituzionalita',  viene
 meno il presupposto della censura che la ricorrente muove al comma 4,
 del  medesimo  art. 2, del decreto-legge impugnato, lamentando che si
 preveda  il  finanziamento  a  carico  della  provincia  autonoma  di
 interventi  da  essa  non  decisi  ne'  consentiti. Infatti le azioni
 contemplate dai programmi, e destinate  ad  essere  finanziate  dalla
 provincia  autonoma, non potranno che essere previste con il consenso
 specifico della provincia stessa.