ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  23, primo
 comma, della legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifiche  al  sistema
 penale),  promosso  con  ordinanza  emessa  il 12 febbraio 1997 dalla
 Corte di cassazione sul ricorso proposto da Bosso Annibale  ed  altra
 contro  il  comune  di  Buriasco  iscritta  al  n.  438  del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Udito nella camera di consiglio del 10  dicembre  1997  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1. - In data 26 ottobre 1994 il sindaco del comune di Buriasco (TO)
 emetteva ordinanza-ingiunzione con cui - ai sensi dell'art.  16 della
 legge  della  regione Piemonte 3 aprile 1989, n. 20 (Norme in materia
 di tutela dei beni culturali, ambientali e paesistici) - irrogava  ai
 coniugi Annibale Bosso e Luigia Romagnollo la sanzione amministrativa
 pecuniaria  di  lire  dieci  milioni  ed  ordinava  la  rimessione in
 pristino di un bosco insistente su un  terreno  di  loro  proprieta',
 sulla   base   dell'assunto   che   gli   ingiunti   avessero,  senza
 autorizzazione, determinato una modificazione dello stato dei  luoghi
 provocando,  con l'uso di prodotti diserbanti, il disseccamento dello
 stesso bosco.
   In calce al provvedimento, che veniva notificato il 26 ottobre, era
 apposta   l'esplicita   avvertenza   "che    contro    la    presente
 ordinanza-ingiunzione   e'  ammessa  opposizione  avanti  il  pretore
 competente per territorio,  entro  il  termine  di  60  giorni  dalla
 notifica della presente ordinanza".
   I  coniugi  Bosso proponevano opposizione in data 21 dicembre 1994,
 ma il pretore di  Pinerolo  la  dichiarava  inammissibile,  ai  sensi
 dell'art.    23,  primo  comma,  della legge 24 novembre 1981, n. 689
 (Modifiche al sistema penale), in quanto presentata oltre il  termine
 di  trenta  giorni  fissato,  a pena di decadenza, dall'art. 22 della
 medesima legge. Osservava il pretore "che nessun  valore  ha,  a  tal
 fine,  l'indicazione  erronea  dell'Autorita' amministrativa ... alla
 quale la legge non conferisce alcun potere di modificare  il  termine
 fissato dalla legge 689/1981".
   Contro  l'ordinanza  pretorile i coniugi Bosso presentavano ricorso
 avanti la Corte di cassazione,  invocando  l'applicazione  anche  nel
 giudizio   di   opposizione  ad  ordinanza-ingiunzione  dell'istituto
 dell'errore  scusabile,  previsto  per  il  procedimento  davanti  al
 giudice amministrativo dall'art. 36 del regio decreto 26 giugno 1924,
 n.  1054  (Approvazione  del testo unico delle leggi sul Consiglio di
 Stato)   e  dall'art.  34  della  legge  6  dicembre  1971,  n.  1034
 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali).
   2. - La Corte di cassazione ha ritenuto che il pretore abbia  fatto
 corretta applicazione degli artt. 22, primo comma, e 23, primo comma,
 della legge n. 689 del 1981 e che non sia invocabile l'istituto della
 rimessione  in  termini  per  errore scusabile, in quanto estraneo al
 giudizio di opposizione, "posto che  quello  della  citata  legge  n.
 689/1981  per l'irrogazione delle sanzioni amministrative costituisce
 un sistema organico e compiuto, integrato da rinvii  alle  norme  del
 processo civile".
   Tuttavia,  ritenuto  che - in base non alla citata legge n. 689 del
 1981, bensi' alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia
 di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai  documenti)
 -  vi  sia  ormai  il  dovere  di  indicare  in tutti i provvedimenti
 amministrativi il termine  e  l'autorita'  alla  quale  e'  possibile
 ricorrere,   ha   sollevato   d'ufficio   questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 23, primo comma, della legge n.  689,  nella
 parte  in  cui  non  prevede  il  potere  del pretore di escludere la
 tardivita' dell'opposizione, quando il ritardo sia stato  determinato
 dall'indicazione  -  ad  opera  dell'ordinanza stessa - di un termine
 piu' lungo di quello previsto, a  pena  di  decadenza,  dall'art.  22
 della stessa legge.
   Secondo la Suprema Corte appaiono violati gli artt. 2, 3 e 24 della
 Costituzione,  dal  momento  che  - accertata l'obbligatorieta' delle
 indicazioni sopra ricordate (che assumono particolare rilevanza  alla
 luce  della  facolta',  concessa  dalla  legge,  di presentazione del
 ricorso  senza  l'assistenza  di  un  legale)  -  "risulta  non  solo
 irrazionale,  ma  anche  altamente  lesivo  del  diritto di difesa il
 permanere del dovere del pretore ... di rilevare la decadenza  ...  e
 di   rendere   cosi'  definitivo  l'illegittimo  atto  amministrativo
 opposto, senza poter valutare se l'ingiunto  sia  incorso  in  errore
 incolpevole  per  effetto  diretto  di tale illegittimita', ossia per
 l'erroneo convincimento in lui ingenerato  dalla  indicazione  di  un
 termine per l'opposizione maggiore di quello prescritto".
   Cio'  comporta  -  secondo la Cassazione - anche una ingiustificata
 diversita' di trattamento  rispetto    alla  tutela  degli  interessi
 legittimi   avanti   il  giudice  amministrativo,  per  la  quale  e'
 applicabile l'istituto dell'errore scusabile.
   3. - Nel giudizio davanti alla Corte  costituzionale  non  si  sono
 costituite  le  parti  private,  ne' e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei Ministri.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La   Corte   di   cassazione   dubita   della   legittimita'
 costituzionale,   in   riferimento   agli  artt.  2,  3  e  24  della
 Costituzione, dell'art.   23, primo comma, della  legge  24  novembre
 1981,  n.  689  (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non
 prevede  il  potere  del   pretore   di   escludere   la   tardivita'
 dell'opposizione  proposta  avverso una ordinanza-ingiunzione, quando
 il  ritardo  sia  stato  determinato  dall'indicazione  -  ad   opera
 dell'ordinanza  stessa - di un termine piu' lungo di quello previsto,
 a pena di decadenza, dall'art. 22 della medesima legge.
   2. - La questione non e' fondata.
   Questa  Corte costituzionale ha gia' avuto modo di affermare (nella
 sentenza n. 311 del 1994) che l'art. 3, comma 4, della legge 7 agosto
 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
 di diritto di accesso ai documenti), disponendo  che  "in  ogni  atto
 notificato  al  destinatario  devono  essere  indicati  il  termine e
 l'autorita' cui e' possibile ricorrere",  contiene  un  principio  di
 carattere   generale,   che   si   applica   anche   ai  procedimenti
 amministrativi disciplinati da disposizioni anteriori. Tale principio
 deve,  quindi,  ritenersi  applicabile  anche  al   procedimento   di
 irrogazione  delle  sanzioni  amministrative, regolato dalla legge n.
 689 del 1981,  come  e'  stato  riconosciuto  anche  dalla  Corte  di
 cassazione (si veda, da ultimo, Cass., n. 9080 del 1997).
   Per  conseguenza,  e'  stato  esattamente  ritenuto  nella medesima
 sentenza della Corte  di  legittimita'  che  la  mancata  indicazione
 nell'ordinanza-ingiunzione   del  termine  e  dell'autorita'  cui  e'
 possibile  ricorrere  impedisce  il  verificarsi  di  preclusioni   a
 proporre  opposizione  a  seguito  del  mancato  rispetto,  da  parte
 dell'interessato, del termine di cui  all'art.    22  della  predetta
 legge   n.   689   del   1981.  Tale  conclusione  e'  senz'altro  da
 condividersi: diversamente, si  vanificherebbe,  in  sostanza,  oltre
 alla  portata precettiva dell'art. 3, comma 4, della legge n. 241 del
 1990, l'esigenza di effettiva  tutela  del  cittadino  nei  confronti
 degli atti della pubblica amministrazione.
   3.  - La salvaguardia di tale fondamentale esigenza ha condotto, in
 precedenza, la Corte costituzionale ad intervenire  sulla  disciplina
 del giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, per impedire il
 formarsi  di  simili  preclusioni  a  proseguire il giudizio (sancite
 dalla medesima legge n. 689 del 1981),  quando  l'illegittimita'  del
 provvedimento   amministrativo   risulti   ex  actis  ovvero  qualora
 l'Amministrazione irrogante abbia omesso il deposito dei documenti su
 cui ha fondato la sua decisione (sentenze n. 534 del 1990  e  n.  507
 del 1995).
   Analogo  intervento  non  e', invece, necessario nel presente caso,
 dovendosi  evidentemente  affermare  che  non   possono   verificarsi
 preclusioni   a   proporre   opposizione   non   solo  quando  manchi
 nell'ordinanza-ingiunzione l'indicazione del  termine  entro  cui  e'
 possibile  farlo, ma, a maggior ragione, nel caso in cui sia indicato
 erroneamente un termine piu' lungo di quello fissato dalla legge.