IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale contro Pienzi Alberto, Malacrida Luigi e Giacomelli Enrico, rinviati a giudizio con decreto del g.i.p. presso questo tribunale in data 24 ottobre 1996 per rispondere - originariamente in concorso con altri otto imputati - sub capo A) del reato di cui agli artt. 2621, n. 1, c.c., 110 e 81 c.p. perche', in concorso fra loro, gli imputati Bianchi, Gandini, Capetti, Guglielmana, Pienzi, Bongiolatti, Fallini) ed Acquistapace, nella qualita' di amministratori e gli imputati Malacrida, Antonioli e Giacomelli nella qualita' di sindaci della soc. coop. a r.l. Colavev con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nelle relazioni nei bilanci e nelle comunicazioni sociali inerenti gli anni 1988-90, esponevano fraudolentemente fatti non rispondenti al vero sulle condizioni economiche della societa', nascondendo fatti concernenti le condizioni medesime, al fine di non fare emergere consistenti perdite di esercizio su crediti e su partecipazioni di circa lire 5 miliardi e 500 milioni, per evitare il blocco di erogazioni e sovvenzioni pubbliche da parte di alcuni enti pubblici, evidenziando una perdita di esercizio soltanto nel bilancio 1991; nonche' del reato sub capo D) di cui agli artt. 640, comma I, 110 e 81 c.p. per truffa aggravata nei confronti di alcuni enti pubblici in relazione alla condotta ascritta sub capo A); nonche' infine del reato sub capo E) di cui agli artt. 110, 81 e 640-bis c.p. in relazione alle medesime circostanze sub capo A); con l'aggravante ex art. 2640 c.c.; Rilevato che in data odierna questo tribunale ha pronunciato sentenza di applicazione concordata della pena nei confronti degli imputati Bianchi, Capetti, Guglielmana, Bongiolatti, Fallini, Acquistapace e Antonioli, disponendo contestualmente lo stralcio della posizione dell'imputato Gandini perche' impossibilitato a comparire alla odierna udienza, e degli imputati non patteggianti Pienzi, Malacrida e Giacomelli; Rilevato che la Corte costituzionale, con sentenza del 2 novembre 1996 n. 371, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, comma II, c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilita' penale sia gia' stata comunque valutata; che in detta sentenza la Corte costituzionale ha ribadito il suo precedente orientamento nel senso di escludere che possa costituire causa di incompatibilita' la valutazione da parte del giudice della posizione processuale del coimputato, laddove si tratti di mero concorso eventuale nel reato, avendo limitato il dictum della sentenza alla sola ipotesi di concorso necessario; che, inoltre, nelle recenti sentenze nn. 306-307-308 del 29 settembre/1 ottobre 1997 la Corte costituzionale ha precisato che l'istituto dell'incompatibilita' e' limitato a salvaguardare l'imparzialita' (e l'apparenza di imparzialita') del giudice in relazione ai soli atti compiuti all'interno del procedimento, escludendo pertanto la sussistenza di ipotesi di incompatibilita' in relazione ad atti compiuti in altri procedimenti; che pertanto nel caso di specie vi e' una duplice ragione di motivi per non ritenere sussistente alcuna ipotesi di incompatibilita' del collegio a celebrare il dibattimento nei confronti dei suddetti imputati non patteggianti, sia perche' ai medesimi sono stati contestati reati a concorso eventuale, sia perche' la valutazione dell'insussistenza dei presupposti per pronunciare sentenza ex art. 129 c.p.p. nei loro confronti e' stata compiuta in altro, separato procedimento; Osservato peraltro che, in adesione a quanto affermato dallo stesso giudice delle leggi nella sentenza 20 maggio 1996 n. 155, la richiesta di applicazione della pena concordata dalle parti integra un vero e proprio giudizio e non richiede un compito di mera ricezione e certiticazione della volonta' ritualmente espressa dalle parti, e che nel procedimento previsto dagli artt. 444 e ss. c.p.p. il giudice - pur essendo il suo compito condizionato dall'accordo intervenuto tra imputato e pubblico ministero e quindi in questo senso circoscritto e indirizzato - e' chiamato a svolgere valutazioni fondate direttamente sulle risultanze in atti, aventi natura di giudizio non di mera legittimita' ma anche di merito, concernenti tanto la prospettazione del caso contenuta nella richiesta di parte, quanto la responsabilita' dell'imputato, quanto infine la pena; Ritenuto conseguentemente che la sopra prospettata valutazione operata da questo collegio, nel procedimento originariamente a carico di tutti e undici gli imputati, dell'insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per pronunciare sentenza di assoluzione (necessariamente nei confronti anche degli imputati non patteggianti) ex art. 129 c.p.p., ovvero per altrimenti rigettare l'istanza di applicazione concordata della pena (ad esempio per ritenuta incongruita' della pena proposta), abbia inevitabilinente pregiudicato l'imparzialita' di questo giudicante nei confronti degli imputati non patteggianti, a cagione della prospettabile forza di prevenzione intesa come "naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali" (Corte costituzionale 432/1995 e 131/1996); che, peraltro, nel caso di specie la suddetta valutazione di merito ha necessariamente riguardato anche gli imputati non patteggianti, chiamati a rispondere per gli stessi fatti e per le medesime qualita' rivestite nella soc. Colavev rispetto agli imputati patteggianti; che, pertanto, la sopra descritta situazione processuale dovrebbe normativamente concretizzare un obbligo di astensione in ossequio ai principi costituzionali desumibili dagli artt. 3 e 24 Cost.; che, al contrario, l'art. 36 c.p.p., come attualmente vigente, non consente in alcun modo ai giudici componenti di questo collegio di astenersi, non essendo prevista siffatta ipotesi, essendo i motivi di astensione e di ricusazione del giudice di stretta interpretazione e non suscettibili di interpretazione analogica, e non potendo certamente a fattispecie in esame essere fatta rientrare in quella di cui al comma I, lett. h), poiche' per giurisprudenza pacifica siffatta causa di astensione attiene esclusivamente a ragioni di convenienza extraprocessuali; che peraltro la stessa Corte costituzionale nelle sentenze nn. 306-307/1997 citate ha esplicitamente affermato che "qualora una situazione carente dal punto di vista dell'imparzialita' non potesse trovare soluzione alla stregua degli artt. 36 e 37 c.p.p., quali attualmente vigenti, potrebbe aprirsi la via per un'ulteriore, ma diversamente impostata (rispetto alla questione ivi dedotta ex art. 34 c.p.p. - nota del collegio -), questione di legittimita' costituzionale"; Ritenuto conseguentemente che non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata e che la stessa si appalesa rilevante nel presente giudizio, in quanto il suo eventuale accoglimento comporterebbe l'obbligo per i giudici di questo collegio di astenersi dal celebrare il dibattimento nei confronti dei suddetti imputati non patteggianti, mentre il suo rigetto comporterebbe l'obbligo per i giudici del collegio di celebrare il dibattimento stesso;