ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 94  e  95  del
 codice penale promossi con n. 3 ordinanze emesse il 21 marzo 1997 dal
 pretore  di  Ancona,  sezione distaccata di Fabriano, rispettivamente
 iscritte ai nn.  484,  485  e  486  del  registro  ordinanze  1997  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 35, prima
 serie speciale, dell'anno 1997;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di consiglio dell'11 febbraio 1998 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  tre  ordinanze  di  identico  contenuto,  rese  in  tre
 procedimenti  a  carico  dello stesso imputato, il pretore di Ancona,
 Sezione distaccata di Fabriano, ha  sollevato,  in  riferimento  agli
 artt.   3   e  111  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt.  94 e 95 del  codice  penale.  A  premessa
 della  ordinanza  il  giudice  a  quo  espone,  in  relazione  ai tre
 procedimenti, che si era  fatto  luogo  ad  una  compiuta  istruzione
 dibattimentale,   sentendo  testi  ed  ammettendo  la  produzione  di
 documenti, fra i quali una dichiarazione di un centro di accoglienza,
 con la quale si dava atto che l'imputato era inserito  in  un  regime
 residenziale  presso tale centro comunitario da circa due anni per un
 programma psicoterapeutico di recupero; e  che  nel  corso  di  detta
 istruzione  sia i testi che lo stesso imputato avevano dichiarato che
 all'epoca dei fatti contestati  (sui  quali  l'imputato  asseriva  di
 nulla  ricordare)  il soggetto in questione era sovente in preda agli
 effetti  sia  di  alcool  che  di  sostanze  stupefacenti;   con   la
 conseguenza   che,   eccepito   dalla  difesa  lo  stato  di  cronica
 intossicazione sia da alcool che da sostanze stupefacenti, era  stata
 disposta perizia volta ad accertare se l'imputato all'epoca dei fatti
 versasse nelle condizioni di cui all'art. 95 del codice penale.
   Aggiunge  il  pretore  che  il  perito,  titolare della cattedra di
 tossicologia forense, aveva fatto conoscere di non  poter  rispondere
 al  quesito, sia per la mancanza di qualsivoglia referto clinico o di
 laboratorio, sia perche' gli esami sul  periziando,  fatti  "ora  per
 allora",  non  avrebbero  potuto  dar  luogo  ad  alcun  risultato di
 certezza. Tuttavia lo stesso  perito  "a  maggior  chiarimento  della
 propria  risposta",  aveva  precisato che uno stato di intossicazione
 cronica da alcool  o  da  sostanze  stupefacenti  puo'  essere  anche
 reversibile  in  rapporto  all'eta',  alle  condizioni  generali  del
 soggetto, alla gravita' dello stato di intossicazione ed al  tipo  di
 sostanza  assunta,  tutti  elementi  validi  tanto  per formulare una
 diagnosi  di  intossicazione  cronica,  di cui all'art. 95 del codice
 penale, quanto per formularne una di abituale assunzione di alcool  o
 di sostanze stupefacenti, di cui all'art. 94 stesso codice.
   A  questo punto il pretore osserva che queste ultime considerazioni
 del perito si pongono in contrasto con il costante orientamento della
 giurisprudenza, secondo cui,  fermo  il  carattere  della  permanenza
 dell'alterazione patologica proprio della fattispecie di cui all'art.
 95,  il  principale  criterio  di  distinzione  tra  l'intossicazione
 cronica e lo stato di  cui  all'art.  94  cod.  pen.  starebbe  nella
 irreversibilita'  della  prima.  Inoltre  questo  orientamento  della
 giurisprudenza sarebbe contrastato nell'ambito della scienza  medica,
 alcuni   autori   facendo   rilevare  che  uno  stato  permanente  ed
 irreversibile di alterazione cerebrale non si ravvisa che nella  rara
 demenza alcoolica e che al contrario psicosi alcooliche che insorgono
 nel  corso  dell'intossicazione cronica (delirium tremens allucinosi,
 ecc.) sono suscettibili di  guarigione  anche  in  breve  periodo  di
 tempo;  mentre  altri  autori aggiungono che la definizione stessa di
 intossicazione  cronica  da  sostanze  stupefacenti  non  ha   ragion
 d'essere,   non   essendo  riscontrabile  una  patologia  di  rilievo
 somatico,  psicologico  e   psichiatrico   con   caratteristiche   di
 permanenza ed osservabile anche oltre la cessazione dell'abuso.
   Il   pretore  ricorda  anche  le  critiche  emerse  nella  dottrina
 penalistica sul sistema vigente  in  materia  e  assume  l'inutilita'
 della  disposizione di cui all'art. 95, che gia' la "Relazione al Re"
 sul  codice  del  1930  avrebbe   considerato   semplice   norma   di
 interpretazione autentica e solo per questa ragione "non superflua".
   Tutto  cio'  premesso, il pretore ritiene di non poter risolvere il
 problema insorto ne' facendo ricorso al disposto dell'art. 530, comma
 3, del codice di procedura penale ne' ricorrendo al principio secondo
 il quale il giudice e' pur sempre peritus peritorum.  Ed  infatti  il
 dubbio  su  una  causa  di  non punibilita' presuppone pur sempre che
 questa causa "si legittimi,  sotto  il  profilo  costituzionale,  sia
 quando  viene  ad escludere sia quando conferma la punibilita'": cosa
 che non avviene quando, come  nel  caso  in  esame,  si  contesti  la
 sussistenza stessa delle basi scientifiche poste a distinzione tra le
 due  ipotesi di cui agli artt. 94 e 95 del codice penale. Egualmente,
 per quanto concerne l'asserito potere del giudice di non tener  conto
 della   perizia   uniformandosi   alla   tralatizia   interpretazione
 giurisprudenziale, non si vede come un  simile  ordine  d'idee  possa
 essere  praticato  una volta che si pone in discussione "la validita'
 stessa del concetto sotteso agli artt. 94 e 95", con  il  rischio  di
 pervenire   ad   una   costruzione  inaccettabile  sotto  il  profilo
 costituzionale.
   Conclude il pretore che gli artt. 94 e 95 del  codice  penale,  dei
 quali  viene  in  considerazione  nel caso di specie una applicazione
 alternativa,  si  porrebbero  in  contrasto  con  il   principio   di
 ragionevolezza,  dal  momento  che  introducono  una differenziazione
 insussistente  "non  potendo  trovare   alcun   tipo   di   obiettiva
 specificazione",  e  con l'art.   111 della Costituzione, giacche' la
 motivazione "non  potrebbe  trovare  alcuna  effettiva  esplicazione,
 risolvendosi in formule stereotipe, incongrue e contraddittorie".
   2.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  non  fondata.
 Premessa l'autonomia delle categorie giuridiche rispetto alle nozioni
 scientifiche,  specie  in  tema  di  colpevolezza,  ed evidenziate le
 ragioni che  indussero  il  legislatore  del  1930  a  stabilire  una
 particolare   disciplina  in  materia  di  ubriachezza,  l'Avvocatura
 sottolinea come le cause  di  esclusione  della  imputabilita'  siano
 esemplificative   e  costituiscano  quindi  attuazione  del  generale
 principio sancito in materia dall'art.  85 cod. pen.  L'esclusione  o
 l'attenuazione  della  punibilita' nel solo caso di intossicazione da
 alcool riafferma pertanto  la  regola  generale  soltanto  quando  si
 determini  uno  stato  di  alterazione  psichica  permanente  tale da
 escludere o scemare  grandemente  la  capacita'  di  intendere  o  di
 volere,  a  nulla rilevando che una simile situazione si determini in
 un numero estremamente esiguo di casi. Per temperare il rigore  della
 disciplina  -  peraltro  gia'  verificata e risolta in senso negativo
 dalla  Corte  in  tema  di  ubriachezza  volontaria  -  si   potrebbe
 prospettare, a parere dell'Avvocatura, una lettura dell'art.  95 cod.
 pen.  che  ne  consenta  l'applicabilita'  in  tutti i casi in cui la
 intossicazione sia  di  tale  portata  da  rendere  inapplicabile  il
 concetto  di  actio  libera  in  causa. Negato quindi fondamento alle
 prospettate censure  di  irragionevolezza,  cadono  anche  i  rilievi
 formulati in riferimento all'art. 111 Cost., in quanto "ingiustamente
 il  giudice rimettente si sente vincolato al nomen che al disturbo ha
 attribuito la perizia medica", giacche' e' al  contenuto  sostanziale
 della   diagnosi  che  occorre  fare  riferimento  per  sussumere  la
 situazione nell'una o nell'altra delle figure evocate.
                         Considerato in diritto
   1. -   Poiche'  le  ordinanze  sollevano  l'identica  questione,  i
 relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere  decisi  con  un'unica
 sentenza.
   2. - Il pretore di Ancona, sezione distaccata di Fabriano,  solleva
 questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 94 e 95 del
 codice penale sotto il profilo della loro  irragionevolezza  e  sotto
 quello, collegato, della lesione dell'art. 111 della Costituzione per
 la  impossibilita' di motivazione di un provvedimento giurisdizionale
 che debba  fondarsi  sulla  impossibile  differenziazione  delle  due
 fattispecie.    Il  pretore contesta infatti la validita' scientifica
 della distinzione tra  abitualita'  nell'ubriachezza  e  nell'uso  di
 sostanze  stupefacenti  e  cronica  intossicazione  da  alcool  o  da
 sostanze stupefacenti sulla base di considerazioni svolte al riguardo
 nell'ambito della scienza medico-legale, considerazioni condivise dal
 perito d'ufficio, il quale, chiamato a giudicare se nel  caso  di  un
 imputato  era  da considerarsi presente una intossicazione cronica da
 alcool e stupefacenti al momento dei fatti allo stesso  ascritti,  ha
 concluso  di  non  essere in grado di rispondere per la inconsistenza
 della differenziazione tra  le  due  fattispecie  dell'abitualita'  e
 della  cronicita'  e  per  la  da lui ritenuta inattendibilita' della
 distinzione operata dalla giurisprudenza, fondata su di una  asserita
 irreversibilita' della intossicazione cronica.
   Il  giudice  rimettente  condivide  questo  giudizio  del  perito e
 constata pertanto di non poter far capo alla costante interpretazione
 giurisprudenziale fondata su presupposti non condivisi dalla  scienza
 medico-legale.   Nel caso sottopostogli si dovrebbe trovare una linea
 di demarcazione tra le due alternative contrapposte  dell'abitualita'
 e  della  cronica  intossicazione,  mentre  cio' non e' possibile. La
 normativa  in  questione,  composta  degli  artt.  94 e 95 del codice
 penale, e' dunque  del  tutto  irragionevole  perche'  introduce  una
 differenziazione  inesistente  in  astratto  in quanto priva di alcun
 tipo suscettibile di obbiettiva  specificazione.  Di  conseguenza  e'
 anche   rilevabile  nel  caso  un  contrasto  con  l'art.  111  della
 Costituzione perche' nelle  cennate  condizioni  e'  impossibile  una
 motivazione  che  si  risolva in qualcosa di diverso dall'adozione di
 formule  stereotipe,  incongrue  e  contraddittorie.    Conclude   in
 sostanza   per   la  illegittimita'  costituzionale  di  entrambe  le
 disposizioni denunciate.
   3. - La questione non e' fondata.
   4. - Questa Corte non intende  certo  escludere  che  il  sindacato
 sulla    costituzionalita'    delle   leggi,   vuoi   per   manifesta
 irragionevolezza vuoi sulla base di altri parametri desumibili  dalla
 Costituzione,  possa  e  debba essere compiuto anche quando la scelta
 legislativa si palesi in  contrasto  con  quelli  che  ne  dovrebbero
 essere  i  sicuri riferimenti scientifici o la forte rispondenza alla
 realta' delle situazioni che il legislatore ha inteso definire. Nella
 materia del diritto  penale,  anzi,  questo  specifico  riscontro  di
 costituzionalita' deve essere compiuto con particolare rigore, per le
 conseguenze che ne discendono sia per la liberta' dei singoli che per
 la tutela della collettivita'. E tuttavia, perche' si possa pervenire
 ad  una  declaratoria  di illegittimita' costituzionale occorre che i
 dati sui quali la legge riposa siano incontrovertibilmente erronei  o
 raggiungano  un tale livello di indeterminatezza da non consentire in
 alcun modo una interpretazione ed una applicazione razionali da parte
 del giudice.
   Non e' tuttavia questo il caso per gli artt. 94  e  95  del  codice
 penale del 1930.
   5. - Indubbiamente la disciplina legislativa vigente per la materia
 in  esame  non  trova nella dottrina psichiatrica e medico-legale una
 base sicura, ancorche' nella relazione ministeriale sul progetto  del
 codice  penale  si legga di essa una diffusa motivazione, nella quale
 ci si riferisce (sia per  la  netta  distinzione  tra  intossicazione
 acuta    e   intossicazione   cronica,   sia   quanto   all'esplicito
 riconoscimento  delle  difficolta'   di   distinguere   l'ubriachezza
 abituale  dall'etilismo  cronico)  proprio  agli  insegnamenti  della
 scienza psichiatrica. Anche nella piu' recente  dottrina  penalistica
 la  disciplina  stessa e' oggetto di dubbi, di controversie e perfino
 di  ferme  condanne.  Alcuni  studiosi  trovano   tuttavia   che   la
 distinzione  tra  le  fattispecie  dell'art.    94  e dell'art. 95 e'
 concettualmente  chiara,  pur  non  essendo  sempre  suscettibile  di
 agevole diagnosi. Frequentemente e' criticata anche la parificazione,
 che  tale  disciplina  comporta,  tra  gli  effetti dell'alcoolismo e
 quelli delle tossicodipendenze; e quanto a queste ultime si rileva (e
 il rilievo e' raccolto nelle ordinanze del  giudice  a  quo)  che  le
 regole  concernenti l'imputabilita' (e piu' ancora quelle concernenti
 la pericolosita' sociale: vedasi l'art. 221 del codice) non  appaiono
 perfettamente coordinate con i trattamenti che per i soggetti affetti
 da  tossicodipendenza  sono  stati  previsti  dalle leggi dell'ultimo
 quarto di secolo: si' che sono  presenti  auspicii  di  una  profonda
 revisione  della  materia  ad  opera  del legislatore. Controverso e'
 anche, sia nella dottrina medico-legale che in quella  giuridica,  il
 rapporto  che  lega  la non imputabilita' e la semi-imputabilita' per
 intossicazione   cronica   da   alcool  e  da  sostanze  stupefacenti
 rispettivamente al vizio totale e al  vizio  parziale  di  mente,  da
 taluno  ravvisandosi  una  piena identificazione della intossicazione
 cronica in queste ultime categorie (e in tale senso si esprime  anche
 la  giurisprudenza della Corte di cassazione, che esige una autentica
 affezione cerebrale o una permanente alterazione psichica), da  altri
 invece  parlandosi  di  forme  diverse  di  imputabilita'  esclusa  o
 diminuita da affiancarsi rispettivamente a quelle del vizio totale  e
 del  vizio  parziale  di  mente  e  per  le quali la legge non fa che
 disporre lo stesso trattamento giuridico.
   Certo  e'  pure  che  sulla  imputabilita'   e   semi-imputabilita'
 dell'alcooldipendente    e    del   tossicodipendente   la   dottrina
 medico-legale segue  diverse  opzioni  e  che  effettivamente  si  e'
 domandata,  come  le  ordinanze ricordano, se lo stato definito dalla
 legge  come  intossicazione  cronica,  a  prescindere   da   un   suo
 confinamento   a   situazioni   marginali   o   rare,  sia  realmente
 identificabile  attraverso  i  requisiti  della  permanenza  e  della
 irreversibilita',   su   cui   si   fonda   una   lunga   e  costante
 interpretazione  giurisprudenziale.     Sempre   sotto   il   profilo
 medico-legale,  le  difficolta'  sono poi accresciute (come del resto
 per altri accertamenti) dal divario di tempo,  spesso  molto  grande,
 tra  il  momento  in  cui  la  perizia  viene compiuta e il momento -
 determinante   ai   fini    di    stabilire    l'imputabilita',    la
 semi-imputabilita' o la non imputabilita' del soggetto - nel quale il
 fatto  fu  commesso  (cfr. art. 85 del codice penale). Infine si puo'
 riconoscere  che  la  stessa  eliminazione  vuoi  dell'art.  94  vuoi
 dell'art. 95, postulata in via di illegittimita' costituzionale dalle
 ordinanze del giudice rimettente, potrebbe forse non produrre vistose
 lacune  nell'ordinamento,  sia  in  considerazione  dei  limiti molto
 modesti in cui puo' essere concretamente ridotto l'aumento  di  pena,
 tuttavia  obbligatorio,  previsto  dall'art.  94  (di  cui si auspica
 peraltro da alcuni autori la soppressione per  l'eccessiva  severita'
 dalla  quale e' ispirato e la cui previsione non e' stata ripetuta in
 alcuno dei recenti progetti di codice penale), sia in  considerazione
 della  riconducibilita' dell'intossicazione cronica, ove dia luogo ad
 un  effettivo  vizio  totale  o  vizio  parziale   di   mente,   alle
 disposizioni oggi dettate dagli artt. 88 e 89.
   Ciononostante il sistema oggi vigente in materia di imputabilita' e
 semiimputabilita'  dell'alcooldipendente  e del tossicodipendente non
 presenta il  carattere  di  palese  irragionevolezza  ipotizzato  dal
 giudice rimettente.
   6.  -  Non  puo'  infatti  negarsi  che,  ad  onta delle incertezze
 espresse  nella  dottrina  medico-legale   e   delle   richieste   di
 innovazioni    legislative   fortemente   presenti   nella   dottrina
 penalistica,   la   giurisprudenza   ordinaria,    segnatamente    la
 giurisprudenza  di  legittimita', si e' attestata da alcuni decenni e
 senza apprezzabili divergenze su una interpretazione che si  presenta
 con  caratteri di certezza e di uniformita' nella identificazione dei
 requisiti della  cronica  intossicazione  da  alcool  o  da  sostanze
 stupefacenti.  Secondo tale giurisprudenza, per potersi correttamente
 invocare lo stato di intossicazione cronica occorre  una  alterazione
 non  transitoria  dell'equilibrio  biochimico  del  soggetto  tale da
 determinare  un  vero  e   proprio   stato   patologico   psicofisico
 dell'imputato   e,  dunque,  una  corrispondente  e  non  transitoria
 alterazione  dei processi intellettivi e volitivi. Cio' significa che
 l'accertamento dell'imputabilita' vien fatto  ruotare  in  ogni  caso
 attorno ad un concetto di "infermita'" necessariamente riconducibile,
 sul   piano  gnoseologico,  ai  mutevoli  contributi  dell'esperienza
 clinica, cercando in tal modo di dissolvere  proprio quei  rischi  di
 aperta  contraddizione tra scienza e norma sui quali il giudice a quo
 ha fondato le proprie censure.
   7. - D'altra parte non saprebbe negarsi che gli artt. 94 e  95  del
 codice  penale  sono  inseriti  in  modo  organico  - e indubbiamente
 coerente nel proprio interno -  in  un  sistema  completo,  quale  e'
 quello  che  il codice penale del 1930 ritenne di dover istituire per
 l'affermazione od esclusione dell'imputabilita' penale  dei  soggetti
 che  abbiano  commesso  il  reato  in  stato  di  ubriachezza o sotto
 l'azione di  sostanze  stupefacenti.  Tale  sistema  e'  notoriamente
 ispirato  a  intenti  di  prevenzione  generale  improntati  a grande
 rigore. Il suo nucleo primario, rappresentato dagli artt.  92,  primo
 comma,  e 93, che parificano i reati commessi in stato di ubriachezza
 o sotto l'azione di sostanze stupefacenti ai reati commessi in  stato
 di  normalita', eliminando le diminuzioni di pena previste nel codice
 Zanardelli e sottoponendo ad eguale regime penale tanto l'ubriachezza
 (o assunzione di  sostanze  stupefacenti)  volontaria  quanto  quella
 meramente  colposa,  e'  tuttavia  passato  indenne  proprio sotto il
 vaglio della irragionevolezza sin da  quando  la  sua  illegittimita'
 costituzionale  fu  prospettata  a  questa Corte da una pluralita' di
 ordinanze di rimessione  (sentenza  n.  33  del  1970).  Le  restanti
 disposizioni,  tra  cui quelle oggi denunciate, sono un corollario di
 quel nucleo essenziale e primario. E' ovvia infatti la  liberta'  del
 legislatore   di  segnare  con  una  circostanza  aggravante  -  come
 nell'art. 94 - il volontario ed abituale riprodursi di  quello  stato
 che  e'  gia' parificato dall'art. 92 al reato commesso in condizioni
 di normalita' mentale; ed e'  d'altra  parte  opportuno,  proprio  in
 relazione  al sistema di rigore instaurato con la sancita irrilevanza
 penale dello stato tossico acuto, l'avere espressamente  escluso  che
 una intossicazione cronica, e cioe' non piu' dominabile dal soggetto,
 possa dar vita a quella severa parificazione.
   Tale   e'   stato  del  resto  uno  dei  pensieri  dominanti  nella
 preparazione di questa parte del codice penale, come  e'  dato  anche
 desumere  da un passo della relazione ministeriale sul progetto, dove
 si legge  che  "non  era  possibile,  e  non  sarebbe  stato  giusto,
 applicare  all'intossicazione  cronica  le  norme dell'intossicazione
 acuta".
   8.  -  A  quest'ultimo  riguardo  una  osservazione  sembra  ancora
 necessaria.    Le  ordinanze  del  giudice  a  quo  per  sottolineare
 l'inutilita' della disposizione di cui all'art. 95 del codice penale,
 ricordano il passo della "Relazione al Re" in cui e'  detto  che  "la
 disposizione trova la sua ragion d'essere nell'intento di distinguere
 l'intossicazione   acuta   dalla   cronica,   la  quale  soltanto  e'
 equiparabile all'infermita' mentale: comunque l'articolo ha valore di
 interpretazione  autentica  e,  come   tale,   non   puo'   ritenersi
 superfluo".
   Questa  proposizione  -  che  e'  contenuta  anche nella precedente
 relazione ministeriale  sul  progetto  del  codice  penale,  dove  e'
 sostenuta da una diffusa argomentazione - pone in rilievo un problema
 gia'  piu' sopra accennato e controverso nella dottrina medico-legale
 formatasi  in  relazione  alle  disposizioni  del codice, se cioe' lo
 stato definito  come  "cronica  intossicazione"  dall'art.  95  debba
 essere  considerato  un  vero  e  proprio  vizio  di  mente (totale o
 parziale, a seconda del suo grado). La  ricordata  giurisprudenza  di
 legittimita',   con   il   suo  insistito  richiamo  al  concetto  di
 "infermita'", sembrerebbe porsi  in  questa  ottica.  E  tuttavia  la
 formula  usata  dalla  legge,  che  si  limita  a  stabilire  che "si
 applicano le disposizioni contenute negli artt.  88  e  89",  farebbe
 pensare  assai  piu' ad una assimilazione nel trattamento penale (non
 imputabilita'   con   totale   esclusione   della   punibilita',    o
 imputabilita'  diminuita con attenuazione della pena fino a un terzo)
 che non ad una identificazione. Ne', per venire ad epoca piu' vicina,
 si puo' trascurare che nel piu' importante disegno  di  nuovo  codice
 penale  degli  ultimi  anni, nell'elencare i casi di esclusione della
 imputabilita' (e  corrispondentemente  di  grande  diminuzione  della
 stessa,  con conseguente riduzione di pena) e' previsto quello in cui
 il soggetto "era, per infermita' o per altra anomalia o  per  cronica
 intossicazione  da  alcool  ovvero  da sostanze stupefacenti, in tale
 stato di mente da escludere la capacita' di intendere o  di  volere".
 Dove,  dunque,  alla  cronica  intossicazione da alcool o da sostanze
 stupefacenti si fa ancora uno spazio  autonomo,  non  identificandola
 necessariamente  con  l'infermita' (o semi-infermita') mentale, ma ad
 esse parificandola sotto il segno dell'assenza  o  della  diminuzione
 della imputabilita', e dunque della colpevolezza.
   Ed  e' proprio in questa opportunita' di riaffermare anche nei casi
 in esame - a prescindere da ogni  legittima  discussione  scientifica
 sulla  esatta  nozione  dell'infermita'  mentale  e del ricorso che a
 questa nozione ritiene di  fare  la  giurisprudenza  ordinaria  -  il
 superiore  valore del principio di colpevolezza che deve individuarsi
 la non irragionevolezza della disposizione di  cui  all'art.  95  del
 codice penale.
   E'  infatti,  in ultima analisi, il riferimento alla colpevolezza o
 meno del soggetto quello che  deve  permettere  di  distinguere,  dal
 punto  di  vista  della volonta' del legislatore e per le conseguenze
 dalla legge previste, la  intossicazione  acuta  da  quella  cronica:
 colpevole quella acuta, sia pure dandosi spazio a tutti i trattamenti
 di  recupero  e  agli altri provvedimenti ritenuti adeguati sul piano
 dell'applicazione e dell'esecuzione delle pene; incolpevole,  o  meno
 colpevole,   quella   cronica,  sia  pure  attraverso  il  passaggio,
 nell'ipotesi  della  pena  soltanto  diminuita,  per  la  discussa  e
 discutibile figura della semi-imputabilita'.
   9.   -   Cosi'   pure,  e'  facendo  riferimento  al  principio  di
 colpevolezza che il giudice  deve  porsi  in  grado  di  risolvere  i
 problemi  che  si presentano nella concreta applicazione dell'art. 95
 del codice penale, facendo applicazione, nel  dubbio,  proprio  delle
 regole   di   giudizio  espressamente  stabilite  nei  commi  2  e  3
 (quest'ultimo comma ritenuto in astratto dalle ordinanze del  giudice
 rimettente   riferibile   anche  alle  cause  di  non  imputabilita')
 dell'art. 530 del codice di procedura penale.
   Sotto questo profilo una motivazione della  sentenza  e'  non  solo
 possibile  ma  doverosa, anche a prescindere dal pur rilevante parere
 eventualmente   espresso,   sia    sull'imputabilita'    che    sulla
 pericolosita' sociale, dal perito o dai periti.
   La  motivazione delle sentenze essendo dunque, nei casi come quelli
 prospettati   dalle   ordinanze   di   rimessione,   tutt'altro   che
 impossibile,  la  questione di incostituzionalita' sollevata anche in
 riferimento  all'art.  111  della  Costituzione  deve  ritenersi  non
 fondata.