ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 409, commi 1 e 6, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 agosto 1997 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avezzano nel procedimento penale a carico di D.A., iscritta al n. 755 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1997. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1998 il giudice relatore Guido Neppi Modona. Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avezzano, investito della richiesta di archiviazione ex art. 411 del codice di procedura penale relativamente a un ipotizzato reato di falso in atto pubblico estinto per prescrizione, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dei commi 1 e 6 dell'art. 409 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, e 101 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono, rispettivamente, che il giudice per le indagini preliminari possa dichiarare con il decreto di archiviazione la falsita' di atti e documenti e che tale declaratoria vada notificata alla persona sottoposta alle indagini e sia da questa autonomamente impugnabile; che in particolare, ad avviso del giudice rimettente, la disciplina impugnata determinerebbe "una disparita' di trattamento della persona offesa che in caso di richiesta di archiviazione pur nell'accertata falsita' dell'attoche la danneggia non puo' ottenere la declaratoria di falsita' di quest'ultimo", mentre la dichiarazione di falsita' puo' essere pronunciata con la sentenza di non luogo a procedere e con la sentenza di condanna emessa a seguito di dibattimento (artt. 425 e 537 cod. proc. pen.); che, inoltre, la persona offesa, ove non abbia chiesto di essere avvisata della richiesta di archiviazione ex art. 408, comma 2, cod. proc. pen., non sarebbe in grado di conoscere l'avvenuto accertamento della falsita' dell'atto e, quindi, di promuovere le azioni civili dirette alla declaratoria della falsita' dell'atto; che risulterebbe pertanto violato anche il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto si consentirebbe "ad un atto pubblico manifestamente falso e tale riconosciuto dall'Autorita' giudiziaria di continuare a svolgere tutti gli effetti inerenti alla propria qualita'"; che ad avviso del rimettente la ratio dell'omessa previsione del potere del giudice dell'archiviazione di dichiarare la falsita' di un atto discenderebbe esclusivamente dal fatto che la legge non prevede che l'indagato possa autonomamente impugnare il decreto di archiviazione nella parte relativa alla declaratoria di falsita'; che pertanto, in caso di accoglimento della questione di legittimita' costituzionale, dovrebbe essere dichiarato illegittimo anche il comma 6 dell'art. 409 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la dichiarazione di falsita' sia notificata all'indagato e sia da questi autonomamente impugnabile; che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, sia per la diversa natura del provvedimento di archiviazione e della sentenza di non luogo a procedere, sia perche' la persona offesa potrebbe comunque promuovere le opportune azioni nelle sedi competenti per fare accertare la falsita' dell'atto. Considerato che la doglianza del giudice rimettente si fonda sulla supposta ingiustificata diversita' di trattamento riservata alla persona offesa, interessata alla dichiarazione della falsita' di un documento, a seconda che la falsita' del documento venga accertata in un decreto di archiviazione ovvero nella sentenza di non luogo a procedere pronunciata a conclusione dell'udienza preliminare; che la censura del giudice a quo e' priva di fondamento, per la ragione assorbente che il provvedimento di archiviazione non e' assimilabile alla sentenza di non luogo a procedere, diversi essendone la natura e gli effetti; che, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente messo in rilievo che le differenze tra il decreto (o l'ordinanza) di archiviazione e la sentenza di non luogo a procedere giustificano una diversa disciplina dei contenuti e degli effetti dei due provvedimenti, precisando, in particolare, che il primo, consistendo nel controllo da parte del giudice per le indagini preliminari sulla scelta del pubblico ministero di non esercitare l'azione penale e sostanziandosi quindi in "un mero accertamento di superfluita' del processo" (sentenza n. 88 del 1991), e' privo di "stabilita'", in quanto puo' sempre essere superato da una successiva riapertura delle indagini (sentenza n. 134 del 1993); che tale impostazione e' seguita anche dalla giurisprudenza di legittimita', che nel dichiarare abnorme la dichiarazione di falsita' di un documento contenuta in un provvedimento di archiviazione, ha rilevato che in sede di decisione sulla richiesta di archiviazione il giudice non compie alcun "accertamento" sul fatto, limitandosi a svolgere una mera funzione di garanzia della legalita' in ordine all'esercizio dell'azione penale; che, dunque, erroneamente il giudice a quo censura la mancata previsione del potere del giudice di dichiarare in sede di archiviazione la falsita' di un documento, in quanto tale dichiarazione presuppone un accertamento sul fatto, giuridicamente estraneo al contenuto decisorio del provvedimento di archiviazione; che la persona offesa interessata alla dichiarazione della falsita' di un documento non rimane priva di tutela, in quanto le e' data la possibilita' di proporre querela di falso a norma degli artt. 221 e seguenti del codice di procedura civile; che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.