IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione degli atti  alla
 Corte  costituzionale  nella  causa  iscritta  al  r.g.l. n. 55262/97
 promossa da: Marietti Margherita, Magnino Enrico e Magnino  Riccardo,
 nella  loro qualita' di eredi del defunto Magnino Giovanni, residenti
 in Rivarolo Canavese ed elettivamente domiciliati in Torino -  piazza
 della  Consolata  n.  5, presso lo studio degli avv.ti Nino Raffone e
 Paolo Berti che li rappresentano e difendono come da delega  in  atti
 (parti   ricorrenti),   contro   l'E.N.P.A.C.L.  (Ente  nazionale  di
 previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro) con sede in  Roma,
 viale  del Caravaggio n. 78, in persona del suo legale rappresentante
 pro-tempore  rag.  Giuseppe   Innocenti,   rappresentato   e   difeso
 (congiuntamente  e  disgiuntamente)  dagli  avv.ti  Ludovico Grassi e
 Loredana  Agnetis  presso  la  quale  elegge  domicilio  in  Rivarolo
 Canavese, via Ivrea n. 17 come da delega in atti (parte convenuta).
   Oggetto: restituzione contributi versati.
   I ricorrenti, nella loro qualita' di eredi di Magnino Giovanni, con
 ricorso  depositato in data 10 ottobre 1997, e ritualmente notificato
 a controparte, convenivano in  giudizio  l'E.N.P.A.C.L.  per  vederlo
 condannare  alla restituzione, in loro favore, dei contributi versati
 dal loro congiunto all'Ente; contributi che non avevano dato luogo  a
 trattamento pensionistico.
   Eccepivano,  in  via preliminare e quale presupposto della domanda,
 la incostituzionalita' dell'art. 21 della  legge  n.  249/1991  nella
 parte in cui e' stabilito che la restituzione dei detti contributi ai
 superstiti avvenga solo nella ipotesi in cui il decesso dell'iscritto
 sia avvenuto in costanza di rapporto assicurativo (nel caso di specie
 il loro dante causa, deceduto il 16 ottobre 1996, era stato costretto
 a  richiedere  la  cancellazione  dall'albo  professionale in data 31
 dicembre 1993 per motivi  di  salute,  dato  che  le  sue  condizioni
 fisiche non gli consentivano piu' di esercitare la professione).
   Rilevavano  la  incostituzionalita'  dell'art.  21  della  legge n.
 249/1991 sotto un triplice profilo:
    a)  perche'  contrasterebbe  con  il  principio   di   eguaglianza
 stabilito  dall'art.  3  della  Costituzione,  che assicura a tutti i
 cittadini pari dignita' ed effetti giuridici favorevoli  rispetto  ad
 una identica situazione giuridica;
    b)  in riferimento all'art. 38 della Costituzione, con riguardo al
 secondo comma della norma stessa, dove e' affermato che "i lavoratori
 hanno diritto che siano preveduti ed assicurati i mezzi adeguati alle
 loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita'  e
 vecchiaia, disoccupazione involontaria";
    c) perche' difforme al principio generale della razionalita' delle
 leggi in conformita' alla Costituzione.
   Ora,  secondo  questo  giudicante,  la questione prospettata sub a)
 appare non manifestatamente infondata; nel caso in  esame  l'art.  21
 prevede  che  soltanto  gli  eredi  di  coloro  che siano deceduti in
 costanza di iscrizione all'Albo professionale possano  pretendere  la
 restituzione delle somme versate dal de cuius all'ente previdenziale.
   Cio'  comporta  una  palese disparita' di trattamento, a parita' di
 contribuzione ed oneri versati, fra gli eredi dei defunti iscritti  e
 gli eredi dei defunti non piu' iscritti all'Albo.
   Se  il  principio  di  uguaglianza  sancito  dall'art.  3  ha  come
 presupposto e come scopo  quello  di  trattare  in  maniera  omogenea
 situazioni  omogenee,  ne consegue la palese illegittimita' dell'art.
 21 della legge citata nella parte in cui consente soltanto agli eredi
 del  defunto  iscritto  all'Albo  la  possibilita'  di  ottenere   la
 restituzione  delle  somme da quest'ultimo versate in vita al proprio
 ente previdenziale.
   Infatti in entrambi i casi (che fosse o meno  iscritto  al  momento
 del   suo   decesso)   il  dante  causa  ha  effettuato  le  medesime
 prestazioni, versando i relativi contributi, ma  le  conseguenze  per
 gli  eredi  sono  divergenti;  in  un  caso  permanendo il diritto al
 rimborso, nell'altro negando il rimborso stesso.
   Cio'  comporta  una  evidente  discriminazione  nei  confronti   di
 soggetti  che  si trovano, sotto il profilo giuridico, nella medesima
 posizione, vale a dire nella condizione di eredi di persone che hanno
 contribuito alla Cassa di previdenza con le stesse precise modalita'.
   Del pari non manifestatamente infondato risulta il dubbio  indicato
 sub  b);  infatti l'art. 38 secondo comma della Costituzione sancisce
 il principio in forza del quale ciascun cittadino, non piu' in  grado
 di lavorare, ha diritto ad un trattamento previdenziale-assistenziale
 tale da garantirgli una esistenza dignitosa.
   Ora,   la   norma   di   cui  si  discute  disattende  il  precetto
 costituzionale, dato che non solo la legge n. 249/1991 impedisce agli
 eredi  del  defunto  non  iscritto  di  godere  della   pensione   di
 reversibilita'  (vedasi  il disposto dell'art. 8, comma 3 della legge
 in questione, non  oggetto  dell'attuale  ordinanza)  ma  addirittura
 preclude  agli  eredi  medesimi  il  diritto  di vedersi restituire i
 contributi che il defunto aveva precedentemente versato la cui natura
 assistenziale e' indiscutibile, essendo stati pagati proprio  con  la
 finalita'  di  costituire  una  rendita pensionistica o quantomeno un
 capitale di risparmio obbligatorio.
    Il precetto di cui all'art. 21 non puo' percio' andare indenne  da
 censure  di illegittimita' costituzionale anche sotto questo profilo,
 dato che priva gli eredi di mezzi adeguati alle loro esigenze di vita
 penalizzandoli fortemente; in quanto il loro patrimonio familiare  e'
 stato  impoverito  durante  la  vita  del lavoratore per i contributi
 obbligatoriamente  versati,  e  dopo  la  morte   non   puo'   essere
 ricostituito.
   Con la conseguenza che ci si viene a trovare in presenza di un ente
 previdenziale che per anni ha potuto incassare sostanziosi contributi
 non  solo  senza dovere versare alcuna pensione ma anche senza dovere
 restituire gli importi ai legittimi pretendenti.
   Tutto  cio' contrasta con un ordinamento come il nostro, ispirato a
 principi di equita' e di mutuo soccorso.
   Anche  il  profilo  sub  c)  puo'  ritenersi  non  manifestatamente
 infondato,  e'  infatti  evidente  che  l'art.  21  contrasta  con il
 principio generale secondo  cui  il  legislatore,  nello  stilare  le
 leggi,  deve  osservare  alcuni  principi  fondamentali,  tra i quali
 quello della razionalita' delle disposizioni.
    Non e' comprensibile la ragione per la quale il legislatore  abbia
 condizionato,  nell'art.  21  citato,  la possibilita' di ottenere la
 restituzione dei versamenti al fatto che il de cuius  fosse  iscritto
 all'albo  al momento della morte; criterio che oltre ad essere iniquo
 non e' neppure ispirato a logiche razionali, non ravvisandosi  alcuna
 ragione  razionale  per  la quale i contributi versati debbano essere
 perduti.
   Va considerato, in merito, che i contributi sono obbligatori, ossia
 il consulente non puo' esimersi dal  versamento,  per  cui  non  puo'
 certo  essergli  imputato  di avere compiuto una scelta irrazionale e
 perdente; addebito di irrazionalita' che puo' invece essere mosso  al
 soggetto che l'ha istituzionalizzato.
   Non  dimentichiamo  che  nel  nostro  ordinamento  l'art. 2041 c.c.
 punisce coloro che, senza una giusta causa, si arricchiscano ai danni
 di  un'altra  persona,   costringendoli   a   restituire   le   somme
 indebitamente  percepite;  principio questo che risponde a logica e a
 buon senso e che viene completamente ribaltato dalla norma che stiamo
 esaminando.
   Nel caso di specie abbiamo un contribuente che  ha,  per  oltre  10
 anni, versato al proprio Ente previdenziale una somma di circa L.  15
 milioni,  senza  tuttavia ottenere alcun trattamento pensionistico, e
 nonostante la mancanza di una controprestazione  si  vede  negato  il
 diritto di recuperare il denaro versato.
   Quindi  l'Ente  previdenziale  ha incamerato un'ingente somma senza
 avere dovuto  sopportare  alcun  costo  pensionistico,  arricchendosi
 ingiustificatamente  alle spalle del signor Magnino e dei suoi eredi;
 ora, non pare allo scrivente, che la  legge  possa  essere  accettata
 come  fonte  che  permette  l'arricchimento  senza  causa,  in  pieno
 contrasto con i principi ispiratori del nostro ordinamento e in danno
 delle categorie piu' deboli.
   L'irrazionalita' dell'art. 21 e' ulteriormente evidenziata se la si
 confronta con altre  norme  di  legge  che  disciplinano  fattispecie
 analoghe;   basti   pensare  all'art.  21  della  legge  n.  576/1980
 (restituzione dei contributi) che con  riferimento  agli  avvocati  e
 procuratori  stabilisce:    "coloro  che cessano dall'iscrizione alla
 Cassa senza avere maturato i requisiti assicurativi  per  il  diritto
 alla pensione hanno diritto ad ottenere il rimborso dei contributi di
 cui  all'art.  10  ecc. .....; il rimborso di cui ai precedenti commi
 spetta anche agli eredi dell'iscritto che non abbia maturato  diritto
 alla   pensione,   sempreche'   non   abbiano  titolo  alla  pensione
 indiretta".
   Norma  che  parla  di  superstiti  dell'iscritto  (ai  fini   della
 restituzione dei contributi versati) senza richiedere, come fa invece
 l'art.  21  della  legge n. 249/1991, che il de cuius sia deceduto in
 costanza di rapporto assicurativo.
   Alla   luce  delle  considerazioni  che  precedono  la  prospettata
 questione  di  illegittimita'  costituzionale,  la  cui   definizione
 risulta  rilevante  rispetto  al  giudizio  in corso, va ritenuta non
 manifestatamente infondata, con conseguente  avvio  del  procedimento
 davanti al giudice delle leggi.