IL PRETORE
   Alla pubblica udienza  del  19  giugno  1996  nel  procedimento  in
 epigrafe  nei  confronti di Romano Angelo, ha pronunciato la seguente
 ordinanza.
   Rilevato che il p.m. di udienza ha chiesto la pronuncia  di  questo
 pretore   in  ordine  alla  ipotesi  di  rilevanza  e  non  manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' dell'art. 9,  comma  14,
 d.-l.  n. 285/1996, nell'intero suo testo, per violazione degli artt.
 3, 25 e 77 della Costituzione con trasmissione degli atti alla  Corte
 costituzionale;
   Osserva  il  pretore  che  la  richiesta    e'  fondata  e ritiene,
 pertanto,  di  dover  dichiarare  rilevante  e   non   manifestamente
 infondata  la  questione di legittimita' dell'art. 9, comma 14, d.-l.
 285/1996, nell'intero suo testo, per la violazione degli artt. 3,  25
 e 77 della Costituzione.
   1.  -  A  tal  proposito  osserva  relativamente  all'art.  3 della
 Costituzione:  la norma in questione, stabilendo che  "per  le  opere
 pubbliche  dei  comuni,  delle province e delle comunita' montane, la
 deliberazione, con la quale il progetto  viene  approvato  o  l'opera
 autorizzata,  ha  i  medesimi effetti della concessione edilizia", di
 fatto  sottrae  la  realizzazione  della  opera   pubblica   comunale
 all'obbligo    della    preventiva    concessione   edilizia,   cosi'
 determinandosi,  a  parere  di  questo  giudice,  una   irragionevole
 disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  realizzazione  di  opere
 private le quali,  ancorche'  di  norma  di  assai  minore  incidenza
 sull'assetto urbanistico del territorio,
  solo  per  essere  eseguite  da  soggetti diversi da quelli indicati
 dalla disposizione in questione  sono  sottoposti  all'obbligo  della
 concessione  edilizia  ed  alla  normativa  amministrativa  e  penale
 relativa.   Cio' appare tanto  piu'  irragionevole  alla  luce  della
 riflessione  per  la  quale  le  opere  pubbliche sono normalmente di
 maggiore rilevanza ed impatto sull'assetto urbanistico del territorio
 di quanto lo siano le opere dei privati. Inoltre, se e' vero  che  il
 comune   e'   proprio   l'ente   territoriale   titolare  dei  poteri
 autorizzativi e di controllo in materia  di  realizzazione  di  opere
 implicanti  modificazioni  o trasformazioni dell'assetto territoriale
 (superflua  nel  caso  in  esame  appare  la  riflessione  che   tale
 titolarita  non  sussiste  in  capo  alla provincia ed alla comunita'
 montana, pure ricompresi  nella  disposizione  in  esame),  la  norma
 censurata   realizza   una   irragionevole   equiparazione   tra   le
 deliberazioni che approvano il progetto o autorizzano l'opera  ed  il
 provvedimento   concessorio:   i   primi,   adottati  sulla  base  di
 valutazioni anche economiche, contabili e  politiche,  non  hanno  la
 medesima   funzione  del  secondo,  finalizzato  al  controllo  sulla
 trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
   Ancora  le  perplessita'  in   merito   alla   legittimita'   della
 disposizione  in  esame  non  vengono  attenuate ma amplificate dalla
 prescrizione a norma della quale i  progetti  delle  opere  pubbliche
 "dovranno  peraltro  essere  corredati da una relazione a firma di un
 progettista abilitato che attesti la conformita'  del  progetto  alle
 prescrizioni  urbanistiche  ed  edilizie", demandando ad un soggetto,
 diverso  dal  sindaco   e   potenzialmente   estraneo   alla   stessa
 amministrazione  comunale,  il  relativo controllo, sottraendolo agli
 organi competenti per legge.
   Del resto, appare chiara  la  distinzione  tra  la  competenza  del
 sindaco  per  la  concessione  edilizia  e  quella degli altri organi
 comunali per le diverse potesta' di approvazione del  progetto  o  di
 autorizzazione  dell'opera pubblica, per cui non puo' non spettare al
 sindaco il dovere di controllare la  conformita',  alle  prescrizioni
 urbanistiche vigenti nel comune, della opera deliberata dal consiglio
 comunale ed approvata dalla autorita' tutoria.
   2.  -  Relativamente  agli  artt.  25  e  77 della Costituzione: in
 materia penale l'art. 25, comma secondo della Costituzione  fissa  il
 principio  della  riserva  di  legge,  attribuendo  al  Parlamento il
 monopolio   esclusivo   delle   scelte   di    politica    criminale;
 l'ammissibilita'  della introduzione di nuove norme di diritto penale
 attraverso decreti  legislativi  o  decreti-legge  e'  connessa  alla
 circostanza  che,  per  entrambi i casi, sia assicurato e si realizzi
 l'intervento del Parlamento in funzione di garanzia e di controllo.
   La reiterazione di un decreto-legge  in  materia  penale  viola,  a
 parere  di  questo  giudice,  il principio della riserva di legge, di
 fatto  sottraendo  al  Parlamento  la  sua  esclusiva  competenza   a
 legiferare  in  materia  penale:  in  particolare, la reiterazione di
 norme sottrae di fatto all'organo rappresentativo di tutto il  popolo
 la  sua  esclusiva  competenza  a bilanciare e valutare gli interessi
 incisi dalla normativa de qua.
   Inoltre,  la   reiterazione   del   decreto-legge   determina   una
 inevitabile sfumatura dei requisiti di necessita' ed urgenza ai quali
 tale tipo di fonte normativa deve essere necessariamente ancorata, in
 considerazione  della  possibilita' della ordinaria legiferazione del
 Parlamento.
   Ancora, la prassi della reiterazione dei decreti-legge  in  materia
 penale  ha,  come  nella  specie,  la  conseguenza  di  sottrarre  al
 Parlamento la possibilita', di cui all'art. 77, ultimo  comma,  della
 Costituzione  "di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla
 base dei decreti non convertiti". E' evidente che con la reiterazione
 dei decreti si  potranno  determinare  effetti  definitivi  quali  il
 giudicato,  non  modificabili in sede giudiziaria, con la conseguente
 gravissima compressione dei diritti dei  singoli,  resa  ancora  piu'
 incisiva dalla disparita' di trattamento che potrebbe verificarsi ove
 due  fattispecie  di  identico  contenuto,  ma commesse e/o giudicate
 sotto la vigenza di un diverso decreto-legge, venissero  diversamente
 giudicate.
   Infine  non  puo'  non  considerarsi  che  la  reiterazione  di  un
 decreto-legge, contenente norme per loro natura provvisoria  e  prive
 di   effetto   ab   origine  se  non  intervenga  successivamente  la
 conversione del decreto in legge, intacca il principio della certezza
 del diritto.
   3.  -  Tanto  premesso  in  ordine  alla  ritenuta  non   manifesta
 infondatezza  della  questione,  ne  appare evidente la rilevanza nel
 presente giudizio, relativo proprio alla  realizzazione  di  un'opera
 pubblica  comunale,  che  pertanto  non  puo' essere definito in modo
 indipendente  dalla  risoluzione  della  prospettata   questione   di
 legittimita' costituzionale.