IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha  emesso  la  seguente ordinanza, letti gli atti del procedimento
 penale a carico di Rizzo Giuseppe imputato  del  delitto  previsto  e
 punito   dagli  artt.  10  e  14,  legge  1974,  n.  497,  per  avere
 illegalmente detenuto presso la propria    abitazione  un  fucile  da
 caccia ad avancarica cal. 32.
                             O s s e r v a
   Con  informativa  del  14  giugno 1996 i C.C. di Rometta ( Messina)
 denunziavano Rizzo Giuseppe per avere illegalmente detenuto un fucile
 da caccia ad una canna cal. 32. Il fucile,  che  veniva  sequestrato,
 era  stato regolarmente denunziato nel 1949 dal padre, deceduto il 30
 novembre 1995  ed  era  rimasto  custodito  nella  stessa  abitazione
 pervenuta in eredita' al figlio.
   In  data 17 settembre 1996 il p.m. il chiedeva il rinvio a giudizio
 dell'imputato e veniva fissata ludienza preliminare.
   All'odierna  udienza   questo   g.i.p.   sollevava   questione   di
 legittimita'  costituzionale degli artt. 38 t.u.l.p.s. e artt. 2 e 7,
 legge 2 ottobre 1967, n. 895 e 10 e 14, legge 14 ottobre 1974, n. 497
 per violazione dell'art. 3 della  Costituzione  nella  parte  in  cui
 prevedendo  come reato la illegale detenzione di armi comuni da sparo
 non distinguono la posizione di  chi  non  abbia  mai  denunciato  la
 detenzione di un'arma da quella di chi non abbia ripetuto la denuncia
 di  un'arma  gia' regolarmente denunziata e pervenutagli in eredita',
 mandando  alla  cancelleria  di  trasmettere  gli  atti  alla   Corte
 costituzionale per il giudizio di legittimita'.
   Denuncia   questo   giudice   l'illegittimita'  costituzionale,  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, degli artt. 38  t.u.l.p.s.
 e  artt.    2  e  7, legge 2 ottobre 1967, n. 895 e 10 e 14, legge 14
 ottobre  1974,  n.  497  nei  termini  sopra  enunciati,  in   quanto
 costituisce  una  palese  disparita' prevedere uno stesso trattamento
 sanzionatorio e la punizione a titolo di dolo tanto per  i  cittadini
 che  ereditano  un'arma  regolarmente denunciata dal de cuius, quanto
 per  i  cittadini  che  detengono  un'arma  che  non  e'  stata   mai
 denunciata.
   Va  innanzitutto  osservato  che  con  riferimento alla ratio delle
 norme in oggetto - che mirano a  garantire  la  facile  ed  immediata
 controllabilita'   ai   fini   di   un  pronto  riconoscimento  della
 provenienza delle armi - non puo' sostenersi che nel caso di  un'arma
 ereditata,  che  rimanga  custodita nello stesso luogo indicato nella
 denuncia, sia impedito il controllo, essendo in tal  caso  facilmente
 individuabile  sia  il  luogo  ove  dette  armi sono detenute, sia il
 proprietario delle stesse.
   Non si puo' pertanto assoggettare alla medesima pena ipotesi  molto
 diverse  tra  loro,  quali  quella  di  chi  non abbia mai denunciato
 un'arma rispetto a quella di chi ha omesso di ripetere  la  denunzia,
 posto  che  in quest'ultimo caso il controllo dell'arma e' facilmente
 garantito:  e' infatti sufficiente recarsi  nel  luogo  dove  risulta
 denunziata l'arma e accertato che il legittimo detentore e' deceduto,
 identificare  l'erede  e  invitarlo  in  caserma  o  al commissariato
 perche' provveda a regolarizzare  la  sua  posizione,  magari  previo
 pagamento  di  un'ammenda,  per non averlo fatto entro un determinato
 termine (da stabilire) dalla morte del de cuius.
   La circostanza poi che rilevi, secondo la costante  giurisprudenza,
 la denunzia del possesso dell'arma da parte di colui che la detiene e
 non la denunzia dell'esistenza di essa - sul presupposto che la norma
 persegue  la  finalita'  di consentire il controllo delle persone che
 detengono le armi, nonche' il controllo dell'arma in quanto sia nella
 sfera di disposizione di un certo soggetto - ha senso se riferita,  a
 voler  tutto  concedere,  ai  casi  di  vendita,   cessione, permuta,
 scambio di armi  tra  persone  non  legate  da  uno  stretto  vincolo
 familiare,  ma  non  gia'  nei  casi  di  eredita',  allorche' l'arma
 continua a restare nello stesso  luogo  e  nella  sfera  di  soggetti
 facilmente individuabili, perche', come gia' detto, sia il luogo, ove
 e' detenuta l'arma, che la persona destinataria dell'arma pervenutale
 in eredita' sono facilmente e prontamente individuabili.
   Non  e' inoltre da trascurare il fatto che mentre nel primo caso vi
 e' un'attivita' specifica e attiva dell'acquirente o del cessionario,
 direttamente  interessati  al  possesso  dell'arma,  nell'ipotesi  di
 un'arma  pervenuta in eredita' spesso non vi e' neppure una relazione
 stabile tra l'arma e  il  soggetto,  non  avendo  l'erede  mai  usato
 quell'arma di cui viene ad averne il possesso involontariamente.
   E'  da  osservare  poi  sotto  un  altro  profilo  che  nei casi di
 detenzione di arma ereditata da un congiunto, colui il  quale  omette
 di  provvedere all'obbligo previsto dalla legge ignora l'esistenza di
 una normativa che prevede la rinnovazione della denuncia.
   Pur non dimenticando che l'ignoranza della legge penale non  scusa,
 si  avverte  forte  l'esigenza  che,  oltre alla coscienza e volonta'
 dell'atto,  vi   sia   la   consapevolezza   della   illiceita'   del
 comportamento  e  pertanto  non  puo'  mai essere sufficiente la mera
 coscienza e volonta' dell'atto ai fini del dolo.
   Il principio affermato dall'art. 5 c.p. che escluderebbe  non  solo
 la  consapevolezza  dell'antigiuridicita'  del  fatto,  ma  anche  la
 coscienza  dell'illiceita'  e'  cosi  rigido  soltanto  nella  nostra
 legislazione   italiana,  mentre  e'  assai  attenuato  in  tutte  le
 legislazioni vigenti.
   In tema di delitti, nei  casi  in  cui  si  richiede  il  dolo,  e'
 innegabile  che  nello  stesso  concetto  di dolo e' insita una certa
 malizia, inconciliabile con comportamenti posti in essere in perfetta
 buona fede e non lesivi di alcun  interesse protetto, sicche' sarebbe
 da escludere l'antigiuridicita' del fatto.
   Ma  anche  ammesso  che  per  il  dolo  non  si  richieda  ne'   la
 consapevolezza  dell'antigiuridicita'  ne' quella dell'illiceita', ci
 era stato  insegnato  che  per  l'esistenza  del  dolo  era  comunque
 necessaria  la  consapevolezza di agire in  contrasto con le esigenze
 della vita in comune ossia di far male ad altri.
   In altri termini e' indispensabile che vi sia la consapevolezza del
 carattere antisociale del fatto, vale  a  dire  la  possibilita'  per
 ciascuno di rendersi conto che con la propria condotta lede o pone in
 pericolo interessi che non gli appartengono.
   La  Cassazione,  tuttavia,  continua  a  ribadire  che  la erronea,
 opinione di non dovere ripetere la denunzia di  un'arma  regolarmente
 denunziata si risolve in ignoranza della legge penale e come tale non
 puo' essere invocata a propria scusa.
   Questo  giudice trova ripugnante condannare per detenzione illegale
 di arma la moglie o il figlio perche' non hanno ripetuto una denuncia
 che ignoravano di dovere ripetere.
   Non bisogna inoltre mai dimenticare il principio  della  necessaria
 offensivita'  della  norma  penale,  se  non  si  vuole costruire una
 legislazione di norme  formali  in  cui  vi  sia  solo  una  astratto
 potenziale pericolo di beni gia' tutelati da altre norme.
   Ci  si  domanda dov'e' mai l'offesa al bene giuridicamente protetto
 da parte ad es. di una vedova che non abbia rinnovato la denunzia  di
 un  fucile  regolarmente denunziato dal defunto marito e custodito in
 una vecchia casa di campagna|?
   E' veramente paradossale che in un momento in cui si  constata  che
 le   organizzazioni   criminali  si  servono  di  mezzi  sempre  piu'
 sofisticati per eludere fraudolentemente la legge, mascherando i loro
 traffici illeciti sotto la forma  di  una  parvente  legittimita',  e
 quindi  difficili  da  individuare,  e  in  un'epoca  in cui i nostri
 parlamentari approvano la normativa sull'abuso di ufficio, escludendo
 che   si   possa  commettere  reato  con  un  atto  posto  in  essere
 intenzionalmente con sviamento dalla causa tipica per favorire terzi,
 la Cassazione (con singolare coerenza,  a  differenza  dei  contrasti
 giurisprudenziali  che si registrano su altri temi continui invece ad
 affermare che "E' configurabile il delitto di detenzione illegale  di
 arma  nell'ipotesi  in  cui  il  soggetto ometta di denunciare l'arma
 stessa di cui sia venuto in possesso iure successionis, ancorche'  il
 precedente  possessore  avesse  presentato regolare denuncia e l'arma
 continui ad essere detenuta nello stesso luogo. Peraltro, ai fini del
 perfezionamento dell'elemento soggettivo del reato, e' sufficiente il
 dolo generico, consistente nella coscienza e volonta' della condotta,
 senza che sia richiesta la consapevolezza dell'antigiuridicita' della
 stessa o la volonta' di violare una determinata norma di legge" (vds.
 sent. Cass. sez.  I, 24 ottobre 1996).
   Restano quindi ancora in vigore reati  di  "creazione  legislativa"
 dove  la  violazione  del precetto penale non e' certo intenzionale e
 quindi non si puo' definire  dolosa  un'omissione  in  assenza  della
 consapevolezza della illiceita' del comportamento.
   Se  la  Cassazione  rimane  ancorata  a  vuote  e  rigorose forme e
 principi giuridici che  nella  loro  applicazione  finiscono  con  il
 tradursi  in  palesi  e  macroscopiche  violazioni del piu elementare
 senso di giustizia - e tali sono quelle massime in cui si continua  a
 ripetere   che  l'elemento  psicologico  del  delitto  di  detenzione
 illegale di arma e' rappresentato dal dolo generico e che non  incide
 su   tale   elemento  l'erroneo  convincimento  del  detentore  circa
 l'obbligo della denuncia, la  natura  dell'arma,  l'asserito  mancato
 accertamento   della   potenzialita'  dell'arma  stessa  e  che  tali
 convincimenti, ove  sussistenti,  si  tradurrebbero  in  inescusabile
 ignoranza  della  legge penale, posto che la genericita' del dolo non
 richiede la intenzione di violare la  legge,  ne'  la  consapevolezza
 dell'antigiuridicita' del fatto - si deve necessariamente pronunciare
 la  Corte  costituzionale  per  distinguere  delle  ipotesi  che sono
 sostanzialmente diverse tra loro.
   La Cassazione ha eliminato poi qualunque "scappatoia"  per  mandare
 esente  da pena i soggetti imputati del delitto di cui si denuncia la
 incostituzionalita'.
   Nel caso in esame  si  sarebbe  potuta  ritenere  sopravvissuta  la
 contravvenzione  prevista  dall'art.  697  c.p.,  ma la Cassazione ha
 escluso che la detenzione illegale di armi dopo  lentrata  in  vigore
 della  legge  74,  n.  497,  potesse essere punita a titolo di colpa,
 tranne che in ipotesi residuali relative ad es. al porto in un  luogo
 che  non  sia    pubblico,  e  che  allo stesso tempo sia fuori dalle
 appartenenze dell'abitazione.
   Si dice anche che non rileva la mancata denunzia per  dimenticanza.
 Non   si  comprende  in  realta'  come  si  possa  affermare  che  la
 dimenticanza di  fare  la  denuncia  o  addirittura  la  dimenticanza
 dell'esistenza  di  un  fucile (custodito ad es. in una campagna solo
 saltuariamente frequentata) attenga al concetto di dolo,  laddove  e'
 evidente  che  in tali casi e' ravvisabile tutt'al piu' la colpa, non
 potendosi ritenere che l'omessa denunzia sia volontaria.
   Ha poi affermato che  l'avverbio  "illegalmente"  non  rientra  nel
 fatto   incriminato,   ma  e'  un  dato  esterno  ad  esso,  una  sua
 qualificazione giuridica, e quindi una entita' normativa.  Anche  con
 questo tipo di sentenze la Cassazione ha eliminato la possibilita' di
 scriminare  la  condotta  di quel soggetto che ritiene lecita perche'
 legalmente autorizzata la  detenzione  dell'arma  denunciata  dal  de
 cuius, in quanto ha voluto precisare che quell'avverbio non significa
 che  sia  necessaria  la conoscenza dalla illegalita' perche' al pari
 dell'antigiuridicita' in generale non e'  necessaria  ai  fini  della
 sussistenza dell'elemento psicologico del reato.
   Questo  giudice  aveva sempre creduto che allorche' la legge avesse
 richiesto che il fatto fosse commesso illegittimamente, abusivamente,
 indebitamente arbitrariamente ecc. ossia in quelle  ipotesi  di  c.d.
 illiceita' speciale, l'antigiuridicita' della condotta fosse elemento
 dei  relativi  reati e quindi dovesse essere conosciuta, ancorche' il
 riferimento fosse  a  quelle  norme  extrapenali  che  devono  essere
 conosciute  ai  sensi  dell'ultimo  capoverso dell'art. 47, c.p. E su
 questa  ottica  si  sarebbe  potuto  sostenere,  magari  forzando  il
 concetto  di  errore su legge extra-penale, che vi e' un errore sulle
 norme contenute nel t.u.l.p.s., non potendosi pretendere che  vengano
 conosciute  anche  le  norme contenute nei testi unici e nei relativi
 regolamenti.
   Ed allora a questo punto l'intervento della Corte cstituzionale  si
 impone  avendo  la  Cassazione eliminato   qualunque possibilita' per
 trovare una soluzione favorevole  nell'ambito  dell'applicazione  dei
 principi  generali  in  tema  di  dolo,  posto  che afferma sempre e'
 comunque  nei  casi  sottoposti  al  suo  esame  la  configurabilita'
 dell'elemento psicologico del reato.
   Questo giudice non ha nessuna difficolta' in questo caso e in altri
 analoghi  a  pronunciare sentenza di non luogo a procedere perche' il
 fatto non costituisce reato per difetto di dolo, ma sa bene che molti
 altri  colleghi  di  fronte  a  una  giurisprudenza  costante   della
 Cassazione  che ravvisa la violazione delle norme in oggetto potranno
 pervenire anche ad un giudizio di condanna.
   La Corte costituzionale con sentenza n. 364/1988 ha introdotto  una
 deroga  all'art.  5,  c.p.,  attribuendo  una  certa  legittimita' al
 principio della buona fede dovuto alla ignoranza della legge penale e
 precisamente in quei casi in cui  numerose  norme  peraltro  non  ben
 coordinate  tra  loro  siano state emanate a getto continuo impedendo
 agli stessi tecnici del diritto una corretta interpretazione. Secondo
 la Corte costituzionale quindi l'ignoranza  della  legge  penale  non
 puo'  essere  invocata  a  propria  scusa se non nei limiti in cui si
 tratti di ignoranza inevitabile. La Corte nell'introdurre una  deroga
 all'art.  5,  c.p.,  consente  quindi  all'interprete  di invocare il
 principio della scusabilita' dell'errore inevitabile  anche  in  casi
 come  quello  in  esame,  in  cui  potrebbe essere consentito scusare
 l'ignoranza della legge  penale  per  l'impossibilita'  di  conoscere
 tutte   le  norme  del  t.u.l.p.s.  e  del  relativo  regolamento  di
 esecuzione.
   Infatti nei casi in esame l'arma e' gia' regolarmente denunziata  e
 questo  particolare  non  e'  certo  trascurabile perche' il soggetto
 imputato ben  puo'  difendersi  affermando  che  e'  consapevole  del
 precetto  penale  che  impone    l'obbligo  di  denunciare l'arma - e
 difatti l'arma e' regolarmente denunciata - ma di non sapere  che  la
 denunzia  debba  essere  rinnovata,  ne' si puo' pretendere che tutti
 sappiano interpretare le norme penali e  ritenerle  responsabili  per
 non  avere  saputo  interpretare  delle  norme che spesso sono oscure
 anche per gli esperti.
   Del  resto  le  norme di cui si eccepisce l'incostituzionalita' non
 contengono con chiarezza il precetto penale in questione,  nel  senso
 che  nessuna  norma  stabilisce che la denunzia dell'arma deve essere
 ripetuta, ricavandosi cio' solo indirettamente da  parte  di  chi  e'
 esperto di diritto.
   Il  nuovo  detentore  di  un'arma  ha  l'obbligo  di farne regolare
 denuncia ex art 38 t.u.l.p.s., ma il precetto penale non e' certo  di
 intuitiva conoscibilita' per cui l'errore degli eredi e' inevitabile.
   Tuttavia  il  principio  della scusabilita' dell'errore inevitabile
 per la sua genericita' e discrezionalita' potrebbe  essere  applicato
 solo da quei giudici dotati di una certa sensibilita'.
   Peraltro  trattandosi di un principio applicabile in casi concreti,
 non puo' ricavarsene un principio  di  ordine  generale,  perche'  se
 cosi'  e'  tanto  vale  dichiarare  l'incostituzionalita' della norma
 denunciata, nei termini sopra  precisati.
   Le norme devono  essere  chiare  per  potere  essere  applicate  in
 maniera  uguale  da  tutti,  non  potendosi lasciare al magistrato la
 responsabilita' di fare dottrina o  giurisprudenza  sulla  pelle  dei
 cittadini.
   Sarebbe  poi auspicabile che cotesta Corte non decidesse affermando
 che trattasi di una scelta legislativa e quindi di  un  problema  del
 legislatore,  perche',  fino a quando non sara' emanata una norma che
 prevede un reato contravvenzionale per i casi in cui  l'arma  risulti
 regolarmente  denunciata  dal  de  cuius,  il fatto verra' sanzionato
 dagli artt. 10 e 14, legge 74, n. 497, ed e' per  questo  che  se  ne
 denunzia  la  illegittimita'  costituzionale,  in quanto prevedono un
 medesimo trattamento sanzionatorio per casi  che  sono  completamente
 diversi tra loro con violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    Qui  non  si  tratta  di  graduare le responsabilita' a seconda la
 pericolosita' dei soggetti o la gravita' del fatto,  qui  vi  e'  una
 vera  e  propria disparita' di trattamento dei cittadini rilevante ai
 sensi dell'art. 3 della Costituzione.
   Non si puo' infatti fare riferimento a graduazione di pena oppure a
 attenuanti generiche o all'attenuante del fatto lieve, perche'  anche
 il  trattamento  piu'  favorevole  sarebbe  iniquo. La soluzione deve
 essere adottata in linea generale stabilendo  che  in  tutti  i  casi
 analoghi a quello in esame si verte in una ipotesi contravvenzionale.
   In  definitiva  colui  il quale detiene un'arma gia' denunziata dal
 congiunto deve essere esente da responsabilita' o tutt'al piu' punito
 a titolo di colpa per non  essersi  informato  presso  le  competenti
 autorita'  di  p.s. in merito agli obblighi conseguenti alla morte di
 un congiunto detentore di armi regolarmente  denunziate,  ovvero  con
 una   sanzione amministrativa per non avere tempestivamente segnalato
 agli organi di polizia il possesso dell'arma  ereditata.