ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale  degli  articoli  84,  85,
 169,  secondo  comma,  208  e  309  del  codice di procedura civile e
 dell'articolo 104, secondo comma, del regio decreto 18 dicembre 1941,
 n. 1368 (Disposizioni per    l'attuazione  del  codice  di  procedura
 civile),  promossi con cinque ordinanze, la prima emessa il 20 giugno
 1995, e le altre quattro il 24 agosto 1995  dal  pretore  di  Milano,
 rispettivamente iscritte ai nn. 278, 557, 558, 559 e 560 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 nn. 22 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 25  febbraio  1998  il  giudice
 relatore Francesco Guizzi.
   Ritenuto  che  nel  corso  di  una  causa  civile, avente a oggetto
 l'opposizione a un decreto  ingiuntivo,  all'udienza  dell'11  maggio
 1995, fissata per l'escussione di alcuni testimoni, i difensori delle
 parti dichiaravano di aderire allo sciopero degli avvocati;
     che il pretore di Milano, trovandosi nella necessita' di decidere
 se  le  parti  fossero  o  meno  decadute dall'assunzione delle prove
 orali, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97 e  101,  secondo
 comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  208 del codice di procedura civile,  nella  parte  in  cui
 preclude   al  giudice  la  declaratoria  di  decadenza  in  caso  di
 astensione dei procuratori delle  parti  dalle  udienze,  attuata  in
 difformita'  dalle  prescrizioni e modalita' di cui alla legge n. 146
 del 1990;
     che, secondo  il  rimettente,  la  Corte  costituzionale  avrebbe
 escluso,  sin  dal  1975,  che  la  "protesta"  dei  difensori  possa
 qualificarsi ai sensi dell'art. 40 o dell'art. 41 della Costituzione;
     che, peraltro, la situazione di fatto sarebbe tale  da  integrare
 il  pericolo  paventato  dalla Corte con la sentenza n. 114 del 1994,
 essendosi  verificata  la  "paralisi  dell'esercizio  della  funzione
 giurisdizionale, con conseguente grave compromissione di fondamentali
 principi";
     che   la   "protesta"  non  costituirebbe  legittimo  impedimento
 all'assunzione di testimonianze;
     che, infatti, l'astensione  dalle  udienze  andrebbe  qualificata
 come  sciopero,  in  base  alla  legge  12 giugno 1990, n. 146 (Norme
 sull'esercizio  del  diritto  di  sciopero   nei   servizi   pubblici
 essenziali   e   sulla   salvaguardia   dei   diritti  della  persona
 costituzionalmente  tutelati.  Istituzione   della   Commissione   di
 garanzia   dell'attuazione   della   legge),  la  quale  detta  varie
 prescrizioni, fra cui  il  congruo  preavviso  e  le  limitazioni  di
 durata, nella specie non  sussistenti;
     che,  interpretando  la "protesta" dei lavoratori autonomi, quali
 sono da considerare  nell'espletamento  della  loro  professione  gli
 avvocati  e  i  procuratori  legali,  s'imporrebbe il controllo delle
 modalita' di esercizio di essa alla luce dei principi  costituzionali
 tendenti a garantire il rispetto dei diritti della persona;
     che  pur  risultando  negativo siffatto riscontro, l'art. 208 del
 codice di procedura civile non consente di  dichiarare  la  decadenza
 dall'acquisizione di prove, atteso che tale effetto deriva solo dalla
 mancata   presentazione   delle   parti   all'udienza   fissata   per
 l'escussione dei testi, nulla prevedendo  con  riguardo  al  caso  in
 esame;
     che la disposizione censurata sarebbe lesiva dell'art. 3, perche'
 disciplinerebbe in modo identico due situazioni diverse;
     che   violerebbe  altresi'  l'art.  97,  recando  danno  al  buon
 andamento   dell'amministrazione   giudiziaria   per   le   oggettive
 difficolta' che crea al giudice nell'organizzazione delle gia' scarse
 risorse  del  proprio  ufficio,  e  l'art.  101, secondo comma, della
 Costituzione, permettendo alle parti di disporre,  dei  tempi  e  dei
 modi del processo, senza alcun controllo da parte del giudice;
     che,   di   fatto,   si  rimetterebbe  la  decadenza  al  diritto
 potestativo delle parti e dei loro difensori;
     che la questione sarebbe rilevante, perche' solo  se  fondata  il
 pretore  potrebbe  dichiarare  l'intervenuta  decadenza  delle  parti
 dall'assunzione di ulteriori prove orali;
     che nel  corso  di  altra  causa  civile,  avente  a  oggetto  il
 risarcimento  dei danni da sinistro stradale, i difensori affermavano
 di astenersi dall'udienza, in data 17 maggio 1995, e  il  pretore  di
 Milano  sollevava,  in  riferimento  agli  artt. 3, 97 e 101, secondo
 comma, della Costituzione, questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 208 del codice di procedura civile e dell'art. 104, secondo
 comma,  delle  disposizioni  per l'attuazione dello stesso codice, di
 cui al regio decreto n.   1368 del 1941, con  la  stessa  motivazione
 dell'ordinanza che precede;
     che  nel  corso di due ulteriori cause civili, avendo i difensori
 delle parti aderito all'astensione  dalle  udienze  proclamata  dagli
 organismi associativi degli avvocati e procuratori legali, il pretore
 di  Milano  - accertata la rilevanza - sollevava, in riferimento agli
 artt. 3, 97 e 101, secondo comma, della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  309  del codice di procedura
 civile nella parte  in  cui  impedisce  al  giudice  di  ordinare  la
 cancellazione  della  causa  dal  ruolo,  qualora  l'astensione dalle
 udienze dei procuratori sia attuata in difformita' dalle prescrizioni
 e modalita' di cui alla legge n. 146 del 1990;
     che, in combinato disposto  con  l'art.  181,  primo  comma,  del
 codice di procedura civile, l'art. 309 prevede la cancellazione della
 causa  dal  ruolo  quale conseguenza della mancata comparizione delle
 parti ad una udienza successiva alla prima;
     che, tuttavia, nel  caso  esaminato  i  procuratori  delle  parti
 sarebbero  comparsi solo fisicamente, senza compiere alcuna istanza o
 attivita' processuale;
     che, pertanto, la disposizione  censurata  violerebbe  -  per  le
 medesime  ragioni  illustrate  sopra - gli artt. 3, 97 e 101, secondo
 comma, della Costituzione;
     che, infine, nel corso di  una  causa  civile  avente  a  oggetto
 l'opposizione  a  un  decreto  ingiuntivo,  i sostituti dei difensori
 delle parti, non muniti di procura scritta, dichiaravano, all'udienza
 del 16 maggio 1995, di aderire all'astensione in corso degli avvocati
 e procuratori legali;
     che  il  pretore  di  Milano,  con  ordinanza del 24 agosto 1995,
 sollevava tre distinte questioni di  legittimita'  costituzionale  in
 rapporto di subordinazione conseguenziale;
     che,  innanzitutto,  il  rimettente  dubita,  in riferimento agli
 artt. 3 e 24 della Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  84  del  codice  di  procedura  civile  nella parte in cui
 "consente al procuratore di farsi sostituire  mediante  delega  orale
 anziche' scritta";
     che,  in  base quanto premesso dal giudice a quo, la disposizione
 denunciata riflette  una  prassi,  immemorabile,  instauratasi  negli
 uffici giudiziari;
     che  il vulnus ai precetti costituzionali consisterebbe, in primo
 luogo, nell'ingiustificata disparita' di  trattamento  fra  la  parte
 sostanziale  del  processo  -  la  quale  deve  sempre  conferire per
 iscritto la procura alle liti - e il suo procuratore, che puo' invece
 farsi sostituire in udienza da qualsiasi collega  senza  l'osservanza
 della forma prescritta; e, in secondo luogo, per l'opposta previsione
 contenuta  nell'art.  108 delle disposizioni di attuazione del codice
 di procedura civile, con l'espressa e ineludibile richiesta,  per  la
 prova delegata, della procura scritta;
     che,  inoltre,  si  profilerebbe un contrasto con l'art. 24 della
 Costituzione, perche' la citata  interpretazione  precluderebbe  alla
 parte  di  esercitare  il  diritto  inviolabile  alla  difesa tecnica
 mediante la designazione scritta del sostituto del proprio  difensore
 impedito;
     che  la  questione  sarebbe  rilevante, perche' - qualora venisse
 riconosciuta illegittima la prassi delle  "deleghe orali" - la  causa
 andrebbe  cancellata  dal ruolo, non essendo comparsi all'udienza ne'
 le parti, ne' difensori nominati con atto scritto;
     che, il pretore di Milano ha sollevato, con la stessa  ordinanza,
 altra  questione,  relativa  all'art.  309  del  codice  di procedura
 civile,  in  relazione  ai  medesimi  parametri  e  con   le   stesse
 motivazioni esposte al paragrafo 3;
     che  infine  ha  sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 41,
 secondo  comma,  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  85  e 169, secondo comma, del codice di
 procedura civile, nella parte in cui  non  consentono  di  depositare
 personalmente  il  fascicolo  di  causa  a  chi  si sia costituito in
 giudizio  mediante  un  procuratore  che   aderisca   alla   protesta
 collettiva,  e  per  converso non permettono al giudice di fissare un
 termine per l'effettuazione del deposito;
     che, ad avviso del rimettente, non e' censurabile la  scelta  del
 procuratore  di  non  depositare  il  fascicolo,  sebbene  esponga il
 proprio assistito alle conseguenze d'un giudizio sfavorevole  per  la
 impossibilita'  che  siano  valutate le prove documentali: di qui, la
 rilevanza della questione;
     che l'astensione dalle udienze di uno  dei  difensori  non  puo',
 infatti,  essere  attratta nella previsione di cui all'art. 115 delle
 disposizioni di attuazione del codice di procedura civile che  regola
 il grave impedimento, ma puo' esserlo, piuttosto, in quella dell'art.
 85  che  disciplina  la rinuncia alla procura compiuta dal difensore,
 non essendo l'astensione degli avvocati dalle udienze esercizio  d'un
 diritto  costituzionale  (qual'e'  lo  sciopero), bensi' soltanto una
 libera scelta,  ovvero  una  volontaria  omissione,  civilisticamente
 qualificabile come rinuncia al mandato;
     che  l'art.  85 del codice di procedura civile - non imponendo al
 giudice la verifica della conoscenza, acquisita dal litigante,  circa
 l'astensione  del  proprio  procuratore dall'udienza - si porrebbe in
 contrasto con quei precetti costituzionali che permettono alla  parte
 di provvedere in altro modo alla propria difesa;
     che  vi sarebbe lesione degli artt. 3 e 24 della Costituzione per
 le medesime ragioni in precedenza  indicate;
     che,  in  particolare,  ove  non  sia  ravvisata  disparita'   di
 trattamento  dalla  Corte,  si  dovrebbe sospettare di illegittimita'
 costituzionale la disposizione processuale nel suo insieme, in quanto
 non riconosce efficacia alla rinuncia  al  mandato  difensivo  e  non
 impone   che   ne  sia  data  tempestiva  notizia  alla  parte  prima
 dell'udienza in cui sara' dichiarata; e  in  tal  caso,  non  essendo
 possibile  valutare  se  la  parte  sia  stata adeguatamente posta in
 condizione di provvedere alla sostituzione, risulterebbe preclusa  al
 giudice  anche la possibilita' di disporre un rinvio utile alla parte
 per esplicare in concreto le proprie difese  (la  disciplina  dettata
 per le ipotesi di morte o impedimento del procuratore ex art. 301 del
 codice di procedura civile costituirebbe il tertium comparationis);
     che  analoghe  considerazioni  varrebbero per l'art. 169, secondo
 comma, del codice di procedura civile, nella parte in  cui  vieta  la
 fissazione  di  un  termine,  successivo  all'udienza di discussione,
 perche'  avvenga  il  deposito  del  fascicolo  non  effettuato   dal
 difensore,  senza  distinguere  fra  le possibili ragioni del mancato
 adempimento;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per
 l'infondatezza o per l'inammissibilita' delle questioni sollevate.
   Considerato che vengono  all'esame  della  Corte  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale:
     degli  artt.  208  del  codice  di procedura civile, 104, secondo
 comma, delle disposizioni per l'attuazione di esso, di cui  al  regio
 decreto  n.  1368  del 1941, e 309 del medesimo codice, sollevate per
 lesione degli artt. 3, 97 e 101, secondo comma, della Costituzione;
     dell'art.  84  del  codice  di  procedura  civile,  sollevata  in
 riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;
     degli  artt.  85  e  169,  secondo comma, del codice di procedura
 civile, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 41, secondo comma,  della
 Costituzione;
     che   tutte   le   ordinanze   di  rimessione  presuppongono  una
 valutazione dell'astensione degli avvocati  dalle  udienze  ai  sensi
 delle previsioni contenute nella legge n. 146 del 1990;
     che  questa  Corte,  con  la sentenza n. 171 del 1996, successiva
 alle cinque ordinanze di rimessione, ha  dichiarato  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 2, commi 1 e 5, della legge n. 146 del 1990,
 nella  parte  in cui non prevede, nel caso dell'astensione collettiva
 dall'attivita' giudiziaria degli avvocati, l'obbligo  di  un  congruo
 preavviso  e di un ragionevole limite temporale dell'astensione e non
 prevede, altresi', gli strumenti idonei ad assicurare le  prestazioni
 essenziali,   nonche'   le   procedure  e  le  misure  conseguenziali
 nell'ipotesi di inosservanza;
     che  con  detta sentenza, e le successive ordinanze nn. 106 e 105
 del 1998 e 318 e 273 del 1996, si e' gia' chiarito come  la  liberta'
 dei  professionisti  non sia assoluta, spettando al giudice il potere
 di bilanciare i valori in conflitto, si' da far  recedere  -  se  del
 caso   -  quella  liberta'  a  fronte  di  valori  costituzionalmente
 rilevanti;
     che, pertanto, appare opportuno disporre  la  restituzione  degli
 atti  al  medesimo  giudice,  affinche',  alla  luce del nuovo quadro
 normativo, valuti se le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.