IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha emesso la seguente ordinanza per questione di legittimita' costituzionale, artt. 23 e segg. legge cost. 11 marzo 1953, n. 87; Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato; Esaminata la richiesta del p.m., pervenuta in data 20 gennaio 1998, di emissione di decreto penale di condanna per il reato di cui all'art. 37 d.P.R. n. 547/55 accertatato in data 4 settembre 1997 dagli imputati Rafanelli Marcello, Rafanelli Renato e Rafanelli Daniele in atti generalizzati; Rilevato che la richiesta in esame e' relativa ad un accertamento eseguto in data 26 agosto 1997 da personale della u.o. prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro della U.S.L. n. 3/zona Valdinievole; Che, in particolare, nel corso dell'accertamento eseguito in data 26 agosto 1997 nei locali della ditta degli imputati e' emerso che questi, quali soci della s.n.c. "Scopificio Vivian" di Rafanelli Marcello C., pur svolgendo la ditta dagli stessi gestita un'attivita' rientrante nel punto n. 57 del d.m. 16 febbraio 1992, "non e' in possesso del relativo certificato di prevenzione incendi"; Rilevato, ancora, che a seguito dell'accertamento l'organo di vigilanza pur rilevando la violazione dell'art. 37 del d.P.R. n. 547/55, non ha ritenuto di impartire prescrizioni ai sensi dell'art. 20 del d.lgs. n. 758/1994 "... in quanto trattasi di reato gia' consumato e non ottemperabile, pertanto il contravventore non potra' pagare in via amministrativa ed e' stato comunque avvertito che potra' usufruire dell'istituto dell'oblazione" (v. CNR n. 234/1997 di prot. del 9 settembre 1997); Rilevato, pertanto, che il p.m. in assenza di prescrizioni da parte dell'organo di vigilanza ed in difetto di sospensione del relativo procedimento penale ex art. 23, comma 1, d.lgs. n. 758/1994 ha presentato la richiesta di emissione di decreto penale di condanna per il reato oggetto di accertamento; Ritenuto, ad avviso di questo g.i.p., che tale situazione processuale prospetti dubbi di legittimita' costituzionale relativamente all'art. 21, comma 2, d.lgs. cit. che, infatti, consente all'organo di vigilanza di ammettere il contravventore a pagare in sede amministrativa, entro il termine di 30 giorni una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa, il tutto pero' "Quando risulta l'adempimento della prescrizione". Ritenuto, infatti, che tale disposizione normativa si appalesi in contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost.; O s s e r v a Il capo II del d.lgs. n. 758/1994, in ottemperanza "parziale" alla delega conferita con legge 6 dicembre 1993, n. 499, disciplina un procedimento definito come misto, ovvero amministrativo penale, per la definizione delle contravvenzioni accertate dagli organi di vigilanza in materia di prevenzione infortuni. La prassi ispettiva relativa alla legislazione in materia era fondata, antecedentemente all'introduzione di tale procedimento misto, su alcune disposizioni contenute fondamentalmente negli artt. 9/10 del d.P.R. 19 marzo 1955, n. 520, recante "Disposizioni riguardanti l'ispettorato del lavoro, sulla riorganizzazione centrale e periferica del Ministero del lavoro e della previdenza sociale". In particolare l'art. 9 del d.P.R. cit. prevede che, in caso di constatata inosservanza di norme di legge la cui applicazione e' affidata all'ispettorato del lavoro, quest'ultimo organo ha la facolta', ove lo ritenga opportuno, valutate le circostanze del caso, di "diffidare" con apposita prescrizione il datore di lavoro fissando un termine per la regolarizzazione. Orbene, l'interpretazione dell'istituto della "diffida" - che l'art. 21 della legge n. 833/1978, istitutiva del S.S.N., ha esteso agli operatori di vigilanza delle U.S.L. per la legislazione sulla sicurezza del lavoro - ha generato un contrasto nella giurisprudenza della suprema Corte risolto solo a seguito di una sentenza delle ss.uu. penali. Un primo filone giurisprudenziale, infatti, riteneva che la facolta' di diffida non fosse alternativa all'obbligo di denunzia del fatto-reato che e' perfetto sin dal momento del primo accertamento e perseguibile per il principio dell'officialita' dell'azione penale. Tale orientamento, in particolare, riteneva che la "diffida" di per se' consistesse in un formale avvertimento a rimuovere le situazioni pregiudizievoli riscontrate, senza che essa, o l'ottemperanza da parte del datore di lavoro, potesse influire sulla procedibilita' o punibilita' del commesso reato (v., ex multis: Cass. pen., 24 aprile 1990, imp. Diddi; Cass. pen., 27 giugno 1986, n. 12284, imp. Ciari). Un secondo e piu' recente filone giurisprudenziale, invece, d'accordo con la dottrina piu' avvertita, ha inteso la "diffida" non come strumento meramente sollecitatorio ma, piuttosto, come strumento atto all'eliminazione di situazioni di pericolo nell'interesse dei lavoratori, sicche' dalla prevalenza accordata a tale interesse si e' desunto dal sistema il principio per il quale la diffida costituisse condizione per il promovimento e la prosecuzione dell'azione penale, mentre la tempestiva ottemperanza alla diffida da' luogo ad una sorta di absolutio ab osservatione iudicii (v., nel senso dell'alternativita' tra "diffida" e azione penale, ex multis: Cass. pen., 9 aprile 1990 n. 7016, imp. Fasoli; Cass. pen., 24 settembre 1991 n. 10498, p.m. in proc. Casarini; nello stesso senso, anche Corte cost. 12 luglio 1967, n. 105 ed, ancora, Corte cost. 9 giugno 1971, n. 125). A seguito, tuttavia, dell'arresto giurisprudenziale della suprema Corte con la sentenza n. 3171 del 27 feb-braio 1992 (imp. Bergamini), si rendeva necessario l'intervento chiarificatore delle ss.uu. della suprema Corte che, infatti, oltre a ribadire le argomentazioni proprie del primo filone giurisprudenziale, hanno assegnato carattere decisivo alla constatazione per cui nell'art. 9 del d.P.R. n. 520/55 manca una espressa previsione della sospensione dell'azione penale in caso di diffida e dell'estinzione del reato per effetto dell'ottemperanza alla diffida stessa. La conclusione, quindi, e' stata quella di ritenere che la "diffida" consiste in un mero formale avvertimento a rimuovere le situazioni pregiudizievoli riscontrate e che esaurisce i suoi effetti sul piano amministrativo. Con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 758/1994, pero', il legislatore ha tentato di colmare il vuoto interpretativo creto dalle ss.uu. del 1993, disponendo espressamente per il futuro l'inapplicabilita' delle norme in materia di diffida e di disposizione per le contravvenzioni in materia di lavoro (art. 25, comma 1, d.lgs. cit.).