IL PRETORE
   Esaminati gli atti e sciogliendo la riserva;
                             O s s e r v a
   Quanto segue in fatto e in diritto:
     1) Con ricorso depositato in data 16 marzo 1998, il  sig.  Rapali
 Enrico  esponeva  di  aver  inviato  alla sede della Bank Americard a
 mezzo del servizio postale,  in  data  27  dicembre  1997,  un  plico
 contenente un assegno bancario tratto sull'istituto bancario S. Paolo
 di  Torino; il titolo, che doveva servire ad estinguere un debito del
 ricorrente avverso la medesima Bank Americard, era stato  emesso  per
 l'importo  di  L.  300.000  e vi era stata apposta la clausola di non
 trasferibilita'; senonche', in data 23 gennaio  1998,  l'assegno  era
 stato  presentato all'incasso da certo sig. Fiumara Claudio, alterato
 in varie parti; invero la data di emissione era stata cancellata e vi
 era stata sostituita quella del 22 gennaio 1998, cosi' come  il  nome
 del  prenditore,  che risultava essere al momento dell'incasso quello
 di certo sig. Castronuovo Massimiliano; ancora, era stata  cancellata
 la  clausola  di  non trasferibilita', e sul titolo comparivano varie
 girate (come ultimo giratario era appunto  indicato  il  citato  sig.
 Fiumara); l'importo risultava infine essere di L. 2.300.000, e non di
 L. 300.000; il S. Paolo, rilevati il furto e la contraffazione, aveva
 trasmesso  l'assegno  al  notaio Bertani, il quale in data 29 gennaio
 1998 aveva levato il protesto indicando  espressamente  l'intervenuta
 contraffazione  del  titolo;  il  sig. Rapali riteneva quindi di aver
 diritto all'emissione di un provvedimento ex art. 700  c.p.c.  idoneo
 ad  impedire  la  pubblicazione, nel Bollettino edito dalla Camera di
 commercio ex legge n. 77/1955, del protesto relativo  all'assegno  in
 questione; il periculum in mora era costituito dal pregiudizio che la
 pubblicazione  avrebbe  arrecato al buon nome e all'immagine morale e
 sociale del ricorrente (che era iscritto all'albo professionale degli
 ingegneri) nonche' dalla probabilita'  che  la  pubblicazione  stessa
 avrebbe  negativamente  influito  sull'attivita' (specie nei rapporti
 con le aziende di credito) di una societa' della quale  il  medesimo,
 sig. Rapali era amministratore; sotto il profilo del fumus boni iuris
 si   faceva   notare  l'evidente  illegittimita'  della  circolazione
 dell'assegno de quo, dalla quale  conseguiva  l'indebita  levata  del
 protesto  nei confronti del ricorrente; il giudizio veniva instaurato
 nei confronti della Camera di commercio di Torino  nonche'  del  sig.
 Fiumara;  la  causa  di  merito  veniva  indicata  nella richiesta di
 accertamento  dell'illegittimita'  del  protesto  in  questione,  con
 conseguente  condanna  del sig. Fiumara a risarcire i danni derivanti
 dalla presentazione  del  titolo  all'incasso  nonostante  l'evidente
 alterazione.
   Non si costituiva nessuno dei due convenuti.
   All'udienza  del  30  marzo  1998  il sig. Rapali forniva ulteriori
 precisazioni sui fatti indicati in ricorso; veniva poi sentita  quale
 persona  informata  sui  fatti  la  sig.ra  Bosso  Renata, dipendente
 dell'istituto bancario S. Paolo di Torino (che confermava  l'evidente
 alterazione   del   titolo);   alla  stessa  udienza  questo  pretore
 tratteneva la causa a riserva.
     2) E' fin troppo noto il contrasto dottrinale e giurisprudenziale
 esistente nella nostra materia.
   A fronte di chi ammette, in ipotesi simili  a  quella  per  cui  e'
 causa,  il  ricorso  alla  tutela  d'urgenza  ex  art. 700 c.p.c. per
 impedire che il protesto venga pubblicato nel bollettino edito  dalla
 Camera  di  commercio  ex  legge n. 77)1955, vi e' chi nega in radice
 tale possibilita'.
   Secondo altra parte della  giurisprudenza,  poi,  il  risultato  di
 impedire  la  pubblicazione  del  protesto  puo'  venire praticamente
 raggiunto anche sospendendo ex art. 700 c.p.c. l'efficacia  esecutiva
 del  titolo  di credito (cfr. pret. Taranto, 21  luglio 1991, in Foro
 It. 1992, I, 971).
   Vi e' infine  discordanza  pure  sull'individuazione  dei  soggetti
 passivi dell'azione, ritenendosi talvolta che sia necessario chiamare
 in causa anche (o solo) la Camera di commercio, e altre volte il solo
 presentatore  del  titolo  (cfr.  trib.  Catanzaro, 7 aprile 1995, in
 banca, borsa 1995, 491).
     3) Per impostare con chiarezza  i  termini  della  questione,  e'
 indispensabile svolgere subito una importante considerazione.
   Nonostante  il  tenore  letterale  di  varie  pronunce, non si puo'
 affatto ritenere che in genere - nelle fattispecie analoghe a  quella
 ora in esame - sia illegittima la levata del protesto.
   Semmai,  cio'  che  stride  con  il comune senso di giustizia e' il
 fatto che il protesto venga pubblicato  nel  bollettino,  di  talche'
 viene  reso  "di  pubblico dominio" un mancato pagamento che potrebbe
 essere interpretato come indice di una cattiva volonta' del debitore,
 ma che invece era nel caso di specie del tutto giustificato.
   Orbene, giova ripetere che in tutti questi  casi  il  protesto  era
 stato  tuttavia  legittimamente levato, ricorrendone le condizioni di
 legge.
   Basti pensare che, in base alla l.a. (ma il discorso e' analogo per
 quanto  concerne  la  l.c.),  il  protesto  non  e'  altro   che   la
 constatazione  con  atto autentico del rifiuto del pagamento (art. 45
 l.a.), e serve unicamente per poter esercitare l'azione di regresso.
   Ora, e' fin troppo evidente che il rifiuto del pagamento  (seppure,
 com'e'  ovvio,  assai  spesso derivi semplicemente dalla mancanza dei
 fondi) puo' essere peraltro determinato dalle piu' svariate  ragioni:
 nei  rapporti diretti sono proponibili anche le eccezioni causali ma,
 piu' in generale, occorre ricordare che  vi  sono  diverse  eccezioni
 proponibili  nei  confronti  di  qualunque  possessore  (v. art. 1993
 c.c.), quali la falsita' della firma, ecc.; le ipotesi di alterazione
 dell'assegno sono poi espressamente regolate dall'art. 68 l.a.
   E'  chiaro,  a  questo  punto,  che  il protesto deve essere levato
 qualunque sia il motivo del rifiuto  del  pagamento:  invero,  da  un
 lato,  il  portatore  e'  obbligato  ad  eseguire  il  protesto  (per
 esercitare e) per  mantenere  l'azione  di  regresso  agli  obbligati
 aggrediti (v. art. 52 l.a.) e, dall'altro, la l.a. non prevede alcuna
 ipotesi  in  cui  sia possibile evitare il protesto in funzione delle
 eccezioni  proposte  dal  debitore  (tanto  e'  vero  che,  ai  sensi
 dell'art. 63 l.a., il protesto deve contenere tra l'altro le risposte
 avute all'atto della richiesta di pagamento).
   Consegue  da  quanto finora detto che anche nell'ipotesi per cui e'
 causa (alterazione del testo dell'assegno) il protesto doveva  essere
 levato,  di  talche'  non puo' essere neppure posta in discussione la
 sua legittimita'.
     4) Da quanto finora esposto emergono in tutta evidenza le ragioni
 di coloro che negano radicalmente  la  possibilita'  di  impedire  la
 pubblicazione di un protesto sul relativo bollettino.
   Invero,  secondo  questa opinione, la legittimita' della levata del
 protesto indipendentemente dal  motivo  del  rifiuto  del  pagamento,
 unita  alla  considerazione  che l'art. 1, legge n. 77/1955 impone la
 pubblicazione di tutti i  protesti  indistintamente  (le  ipotesi  di
 cancellazione  del nome del protestato ex art. 3, quarto comma, legge
 n. 77/1955 sono chiaramente relative ad errori o vizi nella procedura
 di levata del protesto; e non alle  eccezioni  opposte  dal  debitore
 cartolare),  non  consentono  di ritenere ammissibile la richiesta di
 non pubblicare un protesto correttamente levato (cfr.  pret.  Roma  5
 novembre 1984 e 28 febbraio 1986, in Foro It. 1987, I, 291).
   La stessa posizione era stata peraltro espressa dalla suprema Corte
 nelle sentenze meno recenti.
   Nella  importante  pronuncia n. 2936 del 18 ottobre 1974 (in Giust.
 Civ. 1975, I, 271), la Corte aveva infatti ritenuto legittimi sia  il
 protesto  sia  la  sua pubblicazione nei casi di falsita' della firma
 del traente (affermando il  principio  che  il  protesto  non  doveva
 essere   levato  contro  il  correntista  solo  nell'ipotesi  in  cui
 l'assegno  fosse  stato  sottoscritto  con  un  nome  chiaramente   e
 totalmente  diverso da quello del titolare del conto corrente, mentre
 doveva essere protestato il correntista sia nell'ipotesi  in  cui  la
 firma   falsa  fosse  illeggibile,  sia  nell'ipotesi  in  cui  fosse
 leggibile l'effettivo nome del correntista medesimo).
   Secondo  il  supremo  Collegio,  la  soluzione  "...  che  potrebbe
 apparire  iniqua nei confronti del correntista derubato si giustifica
 tuttavia su di un piano di politica legislativa considerando  che  la
 legge  di regola ha la funzione di dirimere un conflitto di interessi
 e che  nella  specie  l'art.  62,  l.  ass.  dal  quale  deriva  tale
 interpretazione,  nel conflitto di interesse del correntista e quello
 dei terzi giratari, ha dato la prevalenza a quest'ultimo, in aderenza
 ai principi  di  rigore  formale  che  presiedono  alla  circolazione
 cartolare..." (sostanzialmente nello stesso senso Cass. 1683/1968).
     5)   Piu'  di  recente,  la  suprema  Corte  ha  tuttavia  mutato
 completamente indirizzo.
   La  nuova  opinione  si  fonda  essenzialmente   su   una   opzione
 interpretativa  fatta  propria  da  numerose  pronunce dei giudici di
 merito (v. trib.  Verona 1 luglio 1994, in Giur.  merito  1995,  743;
 pret. Genova 10 giugno 1988, in Giur. merito 1989, 1154; pret. Forli'
 10 aprile 1987, in Giur. merito 1988, 20): si suole infatti affermare
 che,  nelle  ipotesi  in  cui  il  portatore  del  titolo  non poteva
 legittimamente richiedere il  pagamento  al  debitore  cartolare,  la
 stessa levata del protesto sarebbe illegittima.
   In  buona  sostanza, se il portatore non aveva il diritto a valersi
 del titolo  sono  illegittime  anche  le  conseguenze  (il  protesto)
 derivanti dalla presentazione all'incasso.
   Da quanto appena detto il Supremo Collegio (con la pronuncia a s.u.
 n. 1612 del 3 aprile 1989, in Giust. Civ. 1989, I, 1043) ha tratto la
 conseguenza che "... poiche' un protesto illegittimo contrasta con la
 verita'  dei fatti e lede l'onore del protestato, incidendo sulla sua
 stessa identita' morale e sociale, non par dubbio che la persona lesa
 da un protesto illegittimo non solo ha il diritto  di  valersi  della
 rettifica,  ma  anche  di  impedire  il compiersi della lesione della
 verita' e del suo onore, ricorrendo alla tutela apprestata  dall'art.
 700 c.p.c. ..." (v. anche Cass. 12144/1990, 8983/1990 e 4297/1990).
     6)  l'orientamento  interpretativo  appena descritto, a parere di
 questo pretore, non puo' tuttavia considerarsi condivisibile.
   Invero  l'equazione:  illegittima  presentazione   del   titolo   -
 illegittimo  protesto si fonda su un presupposto contrario al vigente
 diritto positivo,  e  cioe'  sul  presupposto  che  il  protesto  non
 dovrebbe  essere  levato  qualora siano fondate le eccezioni proposte
 dal debitore cartolare al quale viene richiesto il pagamento.
   Senonche' tale soluzione, per quanto  sopra  esposto  sub  3),  non
 appare  accettabile:  la  l.a.  impone  infatti di levare il protesto
 indipendentemente dalla natura e  dalla  fondatezza  delle  eccezioni
 sollevate  all'atto  della richiesta formale di pagamento, di talche'
 una eventuale azione per impedire la pubblicazione del protesto  puo'
 allo  stato essere ammessa solo in ipotesi residuali, e cioe' qualora
 vengano in rilievo delle fattispecie riconducibili alla illegitimita'
 o alla erroneita' della levata del protesto  (si  pensi  all'ipotesi,
 esaminata  da  Cass.  2936/1974  cit.,  in cui sia levato il protesto
 contro  il  correntista  anche  se  l'assegno  trafugato  sia   stato
 falsamente  sottoscritto  con  un nome di fantasia, oppure al caso in
 cui  sia  stato  indicato  nel  bollettino   il   nome   del   legale
 rappresentante   della   societa',   quale   persona  fisica  che  ha
 sottoscritto il titolo, in caso di protesto levato contro la societa'
 medesima: cfr. trib. Firenze, 25 marzo 1997  in  Giur.  merito  1997,
 692).
   La tesi interpretativa in esame, pur dettata da esigenze equitative
 ampiamente  meritevoli  di tutela, non puo' quindi essere seguita, in
 quanto contraria al diritto positivo.
     7) A questo  punto,  occorre  ribadire  una  considerazione  gia'
 svolta piu' sopra.
   Cio'  che  risulta  idoneo  ad  arrecare un pregiudizio al debitore
 cartolare che abbia fondate eccezioni da  opporre  al  portatore  del
 titolo,   non  e'  tanto  la  levata  del  protesto,  quanto  la  sua
 pubblicazione nel bollettino.
   Invero, e'  fatto  notorio  che  nella  coscienza  comune  e  nella
 considerazione  sociale  la  pubblicazione nel bollettino suona quasi
 come un marchio di inaffidabilita' dei  soggetti  interessati  (cosi'
 pret.  Genova  10  giugno 1988 cit.); per altro verso, e' altrettanto
 notorio che  le  informazioni  commerciali  normalmente  assunte  per
 valutare  la  solidita'  patrimoniale  di un soggetto fanno di regola
 riferimento anche alla eventuale pubblicazione di protesti.
   Un simile pregiudizio all'"onore" alla "identita' morale e sociale"
 del protestato (cfr. Cass. 1612/1989 cit.) puo' quindi essere ammesso
 non indistintamente, ma solo  qualora  sia  giustificato  da  ragioni
 altrettanto meritevoli di tutela.
   Per  altro  verso,  le  esigenze riconnesse al regime formale della
 circolazione dei titoli di credito non  sembrano  affatto  vanificate
 pur  riconoscendo  che  non  e'  necessaria  la  pubblicazione  di un
 protesto relativo ad un rifiuto legittimo di  pagamento:  per  quanto
 concerne  gli  obbligati  cartolari  di  quel  determinato titolo, la
 conoscenza del rifiuto appare adeguatamente  garantita  dal  disposto
 dell'art.   47 l.a. mentre la generalita' dei consociati ha interesse
 ad  una  adeguata  pubblicita'  non  dei  casi  in  cui  un  soggetto
 legittimamente  difende i propri interessi, bensi' delle sole ipotesi
 che possono evidenziare uno scarso affidamento  dei  soggetti  con  i
 quali si desidera contrattare.
     8)  Questo pretore, per tutto quanto finora esposto, dubita della
 legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e  3
 della   legge   n.   77/1955,  nella  parte  in  cui  si  prevede  la
 pubblicazione dei protesti legittimamente levati di  assegni  bancari
 anche  se  relativi  ad ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del
 pagamento da parte del soggetto protestato.
   Il sospetto di illegittimita' nasce dal possibile  contrasto  della
 normativa in esame con gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione.
   In particolare:
     nelle  ipotesi  de  quibus  il  diritto  del soggetto all'onore e
 all'identita' personale e morale non sembra adeguatamente tutelato ex
 art. 2 della Costituzione, atteso che la lesione  che  consegue  alla
 pubblicazione  (prevista dall'attuale formulazione dell'art. 1, legge
 n.  77/1955)  potrebbe  non  risultare  giustificata  a  seguito  del
 giudizio  di bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente
 rilevanti;
     la situazione di colui che venga protestato per mancanza di fondi
 appare assai diversa da quella di colui che rifiuta il pagamento  per
 legittimi   motivi,   di   talche'   la  sottoposizione  al  medesimo
 trattamento normativo sembra lesiva del principio di  uguaglianza  ex
 art. 3 della Costituzione;
     l'attuale formulazione degli artt. 1 e 3, legge n. 77/1955 appare
 ingiustamente  lesiva  dei diritti di difesa e cosi' contrastante con
 l'art. 24 della Costituzione, atteso che ora il  soggetto  protestato
 non gode di alcun soddisfacente strumento per la tutela di situazioni
 che,  al  contrario,  potrebbero  esserne degne (tanto e' vero che la
 giurisprudenza, per motivi  squisitamente  equitativi,  e'  giunta  a
 "dover"   interpretare   la   legge   secondo   l'impostazione  sopra
 evidenziata); per altro verso le eventuali azioni di risarcimento dei
 danni a disposizione del protestato potrebbero  rivelarsi  di  minima
 efficacia.
     9) La questione proposta e' rilevante nel presente giudizio.
   Invero  sembrano  sussistere nel caso di specie tutti i presupposti
 per l'esercizio dell'azione cautelare ex art. 700 c.p.c..
   A questo punto il sig. Rapali, qualora venisse riconosciuta fondata
 la presente questione di illegittimita' costituzionale, potrebbe aver
 diritto alla tutela richiesta.
   Al contrario, allo stato attuale della legislazione, questo pretore
 non  potrebbe  che  prendere atto del difetto del requisito del fumus
 boni iuris e rigettare la domanda atteso che, applicando al  caso  di
 specie  il  disposto  degli  artt.  1  e  3,  legge  n.  77/1955,  la
 pubblicazione del protesto (correttamente levato) risultava  doverosa
 e irrinunciabile.
   Ne  deriva  che  il  presente procedimento non puo' essere definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione (art.  23,  legge
 n. 87/1953).
   Ne' si potrebbe obbiettare che nel caso di specie sia sottoposta al
 giudice delle leggi una mera questione interpretativa.
   Invero  qui  non  si tratta di scegliere tra piu' possibili opzioni
 interpretative,  una   delle   quali   una   conforme   ai   precetti
 costituzionali;  viceversa, la legge n. 77/1955 non lascia spazio per
 alcuna interpretazione diversa da quella che impone la  pubblicazione
 di tutti i protesti indistintamente (purche' ritualmente levati).
   Neppure,  infine,  sembra  che  il  protestato possa raggiungere un
 risultato utile richiedendo la sospensione  dell'efficacia  esecutiva
 del  titolo  di  credito  (cfr.,  pret. Taranto 21 luglio 1991 cit.),
 ovvero richiedendo che il giudice ordini alla banca trattaria di  non
 levare il protesto (cfr. pret. Milano 8 novembre 1988 in banca, borsa
 1990,  pag.  415  e  pret.  Roma 27 luglio 1987, in Foro It. 1988, I,
 1808): si tratta invero di azioni la cui  esperibilita'  e'  alquanto
 contrastata,   utilizzabili  (anche  da  coloro  che  ne  riconoscono
 l'ammissibilita') solo in presenza di particolari presupposti, e  che
 appaiono  comunque  scarsamente  compatibili  con i principi generali
 sulla circolazione dei titoli di credito.
     10) La questione appare inoltre non manifestamente infondata.
   Sul punto bastera' richiamare le considerazioni finora svolte.
   Si puo' solo aggiungere che, oltretutto, per parte  della  dottrina
 la  pubblicazione  sul  bollettino dei protesti ha natura di sanzione
 amministrativa atipica.
   Se cosi' fosse ne uscirebbe ulteriormente rafforzato il sospetto di
 illegittimita' della normativa in  esame,  atteso  che  una  sanzione
 presuppone  la  commissione  di un fatto previsto come illecito dalla
 legge, mentre il rifiuto di pagare un titolo di credito  puo'  essere
 determinato da motivi degni di tutela.
   Deve essere svolta un'ultima riflessione.
   Profili  analoghi  a  quelli evidenziati nel presente provvedimento
 sono gia' stati esaminati dalla Corte costituzionale con la  sentenza
 n. 151 del 14-21 aprile 1994.
   Con  tale  sentenza  la questione proposta era stata dichiarata non
 fondata sulla base essenzialmente di due  ordini  di  motivi:  da  un
 lato,  l'art.  1, legge n. 77/1955 prevede che sul bollettino vengano
 pubblicate anche le  "dichiarazioni  di  rifiuto"  senza  contare  la
 possibilita'  per il debitore di far pubblicare sul bollettino stesso
 le rettifiche necessarie), di talche' il protestato avrebbe  comunque
 gli     strumenti     per     rendere    pubblica    l'incolpevolezza
 dell'inadempimento;  dall'altro  e'  stata  sottolineata  l'esistenza
 della giurisprudenza sopra citata, secondo la quale sarebbe possibile
 impedire la pubblicazione del protesto del debitore incolpevole.
   Orbene, ritiene questo pretore che i rimedi evidenziati dalla Corte
 non   siano   ancora   sufficienti   per   la   tutela   dei  diritti
 costituzionalmente garantiti.
   Invero,  per  un verso, lo stesso formarsi della giurisprudenza cui
 ha fatto riferimento il giudice delle leggi (giurisprudenza che, come
 sopra evidenziato, si fonda sulla forzatura di  ritenere  illegittimo
 il  protesto  del debitore incolpevole) dimostra che gli strumenti di
 cui alla legge n. 77/1955 (e in particolare  la  pubblicazione  delle
 dichiarazioni di rifiuto) sono avvertiti come del tutto insufficienti
 per la tutela del protestato.
   Per  altro  verso  una  ulteriore  espansione  e  diffusione  della
 giurisprudenza in  esame  rischia  paradossalmente  di  aggravare  il
 pregiudizio  arrecato  al debitore: basti pensare che, ove comparisse
 sul bollettino la  pubblicazione  di  un  protesto  giustificato  dal
 debitore  con  motivi  legittimi  in presenza di un orientamento come
 quello citato ormai  pacifico  e  costante,  il  fatto  stesso  della
 pubblicazione  potrebbe essere interpretato quale palese infondatezza
 dei motivi addotti (atteso che si potrebbe dubitare che  il  debitore
 non  sia  riuscito  o non si sia attivato per ottenere giudizialmente
 che il protesto non venisse inserito nell'elenco).
   In realta', a parere dello  scrivente,  la  questione  deve  essere
 meditata  alla luce della considerazione che ormai, per il quisque de
 populo,  la  pubblicazione  sul  bollettino  e'  considerata   indice
 dell'inaffidabilita'  del  debitore  e  puo'  comportare una serie di
 ripercussioni "a catena" sulla vita stessa dell'impresa: ne  consegue
 che  una  eventuale  dichiarazione  di illegittimita' della normativa
 sottoposta al vaglio della Corte (pur  portando  con  se',  con  ogni
 probabilita',  l'effetto  negativo  di  un incremento del contenzioso
 giudiziario) potrebbe forse contribuire a determinare anche il giusto
 effetto di vedere inseriti nell'elenco  i  soli  protesti  meritevoli
 della pubblicita'.
     11)   Viste   le   particolarita'  del  caso  di  specie,  appare
 ammissibile un provvedimento urgente che impedisca  la  pubblicazione
 del  protesto de quo durante la sospensione del presente giudizio per
 l'incidente di legittimita'  costituzionale  (cfr.  app.  Palermo  30
 giugno 1992, in Giust. civ. 1993, 2235).