ha pronunciato la seguente Ordinanza nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace) promossi con due ordinanze emesse il 6 agosto ed il 7 novembre 1997 dal pretore di Fermo sui ricorsi riuniti proposti da Parrino Vincenzo ed altri e da Di Carlo Mario ed altri contro il Ministero di grazia e giustizia, iscritte ai nn. 677 e 894 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1997 e n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1998; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1998 il giudice relatore Fernanda Contri. Ritenuto che con ordinanze emesse il 6 agosto e il 7 novembre 1997 il pretore di Fermo, nel corso di due procedimenti promossi da alcuni giudici di pace per ottenere la condanna del Ministero di grazia e giustizia al pagamento della indennita' giudiziaria prevista a favore dei magistrati ordinari dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), in quanto tale norma prevede un compenso che si reputa inadeguato per l'attivita' svolta dai giudici di pace; che le censure del rimettente si basano sulla considerazione della preminenza costituzionale della funzione giudiziaria e della rilevanza che l'opera dei giudici di pace assume nell'amministrazione della giustizia, nonche' sull'assunto della impossibilita' di concorrere alla funzione giudiziaria per il cittadino che non fruisca di redditi diversi e ulteriori rispetto all'indennita' che gli sarebbe corrisposta quale giudice di pace; che, ad avviso del rimettente, l'inadeguatezza del compenso costituisce un impedimento di fatto all'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quei soggetti che non fruiscono di redditi aggiuntivi, in violazione del principio di eguaglianza, in quanto si creerebbero due categorie: quella degli abbienti, che possono concorrere alla funzione giurisdizionale, e quella dei non abbienti, che sono estromessi da tale funzione, non essendo percettori di altri redditi e non potendo svolgere altra attivita' lavorativa per il gravoso e costante impegno che richiede l'ufficio di giudice di pace; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilita' o comunque per l'infondatezza della questione. Considerato che i giudizi, aventi ad oggetto una medesima questione, possono essere riuniti per essere decisi con un unico provvedimento: che nei giudizi a quibus, come risulta dalle ordinanze di rimessione, le parti chiedono il pagamento dell'indennita' di funzione giudiziaria, prevista dall'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27; che il pretore rimettente solleva invece questione di legittimita' costituzionale afferente alla inadeguatezza del compenso stabilito a favore dei giudici di pace dall'art. 11 della legge n. 374 del 1991; che la questione, nei termini in cui e' posta, e' manifestamente inammissibile, in quanto la denunciata inadeguatezza del compenso stabilito dall'art. 11 della legge n. 374 del 1991 - che le parti, per quanto risulta dall'ordinanza, nemmeno prospettano - e' del tutto priva di rilevanza ai fini della decisione sulle domande attrici, relative all'accertamento della sussistenza del diritto dei giudici di pace ad ottenere l'indennita' attribuita ai magistrati ordinari. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.