LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 561/1997 r.g. depositato in data 11 marzo 1997, presentato dal sig. Raffaele Battiati, nato a Terricciola (Pisa) il 14 agosto 1936, ivi residente in via XX Settembre n. 40, rappresentato e difeso dal rag. Antonio Ghelardoni, e domiciliato nel suo studio in Pisa, via Zerboglio n. 4, avverso cartella esattoriale n. 7400025 dell'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Pontedera, relativa a Irpef per l'anno 1990. Ritenuto in fatto Il ricorrente ha proposto ricorso per l'annullamento della cartella esattoriale relativa a recupero Irpef/1990 quale somma erroneamente rimborsata ai sensi dell'art. 45 del d.P.R. n. 602/1973 per complessive L. 3.628.890. L'iscrizione a ruolo scaturisce dal fatto che l'ufficio non ha riconosciuto oneri portati in deduzione nel quadro "P" del modello 740, relativi ai contributi Enpaf (Ente nazionale assistenza farmacisti) perche' non idoneamente documentati per L. 6.950.196 e perche' non ritenuti di competenza per L. 837.000. Il ricorrente e' titolare di una farmacia ed e' quindi tenuto al versamento di un importo pari allo 0,90% del totale lordo dei medicinali forniti agli assistiti in regime di assistenza diretta, dagli istituti ed enti erogatori dell'assistenza di malattia. Il contributo viene obbligatoriamente trattenuto dall'ente in sede di pagamento delle forniture effettuate dalle farmacie ed e' versato trimestralmente all'Enpaf entro il giorno 15 del mese successivo al compimento di' ogni trimestre. Tale obbligo e' scaturito a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 395 in data 11 luglio 1977 che ha convertito in legge il d.-l. n. 187 del 4 maggio 1977. Qgni mese il farmacista spedisce all'ente erogatore di competenza (la regione) il prospetto di liquidazione ricette il quale espone, tra le varie trattenute effettuate, anche lo 0,90% calcolato sull'importo lordo. Il ricorrente sostiene, a dimostrazione di quanto dedotto nel quadro "P" del modello 740 per l'anno di imposta 1990, che la sommatoria degli importi corrispondenti alla voce "trattenuta Enpaf" corrisponde esattamente all'ammontare delle detrazioni. Quanto all'importo di L. 837.000, lo stesso non e' stato ammesso in deduzione perche' non ritenuto di competenza in quanto riferentesi a trattenute Enpaf su prospetti di liquidazione ricette per i mesi di novembre e dicembre 1987; il ricorrente sostiene che per quell'anno, avvalendosi delle disposizioni di cui all'art. 2, nono comma, del d.-l. n. 853/1984, convertito in legge n. 17/1985, determinava il reddito di impresa non in base al criterio di competenza, come previsto dal primo comma dell'art. 74 del d.P.R. n. 597/1973, ma in base al criterio dei ricavi conseguiti, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, ridotto di determinate percentuali di costi forfettizzati. Non avendo riscosso gli importi relativi ai mesi di novembre e dicembre, non li ha conteggiati nel volume di affari dell'anno in cui erano indicati, ma in quello della effettiva riscossione, ossia il 1990. L'ufficio controdeduce sostenendo che nel mod. 740 relativo al 1990 il contribuente non ha allegato una sufficiente documentazione a sostegno di quanto asserito; afferma che buona parte dei versamenti effettuati all'Enpaf non possono essere considerati, secondo un criterio di cassa, relativi al 1990, ma all'anno successivo. Contesta il fatto che i versamenti siano intestati non al ricorrente, ma alla farmacia. Ritiene che, ai sensi dell'art. 2, undicesimo comma, della c.d. legge Visentini-ter, la cui lettura deve integrare il nono comma, dello stesso articolo, i ricavi si considerano conseguiti quando le operazioni sono state o avrebbero dovuto essere registrate o annotate ai fini dell'Iva. Con una memoria illustrativa il ricorrente sostiene che l'ufficio, ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, avrebbe dovuto, a pena di decadenza, notificare al contribuente la cartella esattoriale entro e non oltre il 31 dicembre del 1993, in quanto il procedimento di rettifica, da farsi, appunto entro l'anno successivo alla dichiarazione, diviene pubblico e ricorribile con la notifica dell'iscrizione a ruolo. Preliminarmente eccepisce che la cartella, emessa ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, e' stata notificata oltre i termini di legge. Ritenuto in diritto Deve essere preliminarmente esaminata la rilevanza dell'eccezione relativa alla decadenza ex art. 36-bis. L'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 dispone che gli uffici delle imposte (...) procedono entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione alla liquidazione delle imposte dovute. Dottrina e giurisprudenza hanno lungamente dibattuto sulla ordinatorieta' ovvero perentorieta' del termine di cui trattasi. Come noto, il d.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920, all'art. 2, aggiungeva l'art. 36-bis al d.P.R. n. 600/1973. L'originaria formulazione del 36-bis non prevedeva alcun termine entro il quale l'operazione di riesame delle dichiarazioni rese dal contribuente dovesse essere conclusa, essendo considerato, nella sua ratio, l'intervento dell'ufficio come un atto di tutela delle ragioni del fisco, ma anche, e soprattutto, di ausilio al contribuente. Successivamente, il d.P.R. 27 settembre 1979, n. 506, mutando la precedente normativa, in ordine a cio' che e' consentito all'ufficio in sede di liquidazione dell'imposta, ha, nella riformulazione dell'art. 36-bis, confermato il termine, per tale liquidazione, del 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. La modifica legislativa dette originariamente luogo a comprensibili difficolta' ermeneutiche sia nella giurisprudenza delle commissioni tributarie di merito, che in quella della commissione centrale. Dopo un primo momento di disorientamento, si e' andata formando una giurisprudenza univoca nel senso della perentorieta' del termine per l'iscrizione a ruolo. La commissione tributaria centrale, con la sentenza 27 ottobre 1994, n. 3513, confermando l'orientamento espresso da numerose commissioni di primo e secondo grado, ribadi' la perentorieta' del termine. Sottolineo' che l'art. 36-bis prevede un particolare procedimento di rettifica delle dichiarazioni dei redditi, diverso dall'accertamento ex art. 38 e segg. La commissione contestava, nella fattispecie, la prospettazione dell'ufficio che, a suo dire, distingueva surrettiziamente tra procedimento di rettifica e liquidazione della maggior imposta con iscrizione a ruolo, mentre la distinzione andava operata tra rettifica ex art. 36-bis e accertamento ex art. 38 e segg. Il procedimento di rettifica, da farsi entro l'anno successivo alla dichiarazione a pena di decadenza, avviene interamente nell'ambito dell'ufficio e diviene pubblico e ricorribile solo con la notifica dell'iscrizione a ruolo. Distinguere tra procedimento di rettifica, da farsi entro l'anno, e correlativa iscrizione a ruolo della maggiore imposta rettificata, che potrebbe avvenire nel quinquennio, vanificherebbe di fatto l'istituto della rettifica, eliminando la difesa del contribuente che non puo' dimostrare in alcun modo che la rettifica e' stata effettuata nell'anno e solo l'iscrizione a ruolo molto tempo dopo, nel quinquennio, e che quindi la rettifica e' stata effettivamente tempestiva. Ne' si comprenderebbe perche' l'amministrazione, che avesse, come generalmente sostenuto, effettuato la rettifica nell'anno fissato dalla legge, tardi poi fino a cinque anni nell'iscrivere a ruolo la maggiore imposta rettificata. La Centrale affermava inoltre che, oltretutto, una tale tardivita' nell'iscrizione a ruolo comporterebbe anche una responsabilita' della stessa amministrazione per interessi e rivalutazione sulla maggior somma dovuta dal contribuente per la rettifica della sua dichiarazione. La commissione concludeva nel senso che, cosi' operando, gli uffici dell'amministrazione finanziaria mascheravano la propria incapacita' a rispettare i termini provvedendo alla rettifica, nella maggior parte dei casi, a termini ormai scaduti, termini stabiliti per legge per l'accertamento. Le rettifiche, pertanto, apparivano fatte tardivamente e quando ormai era avvenuta la decadenza; ne conseguiva che l'iscrizione a ruolo che da tali rettifiche conseguiva, era affetta da nullita'. Del resto, anche codesta Corte costituzionale, nell'ordinanza n. 430 del 7 aprile 1988, aveva dichiarato che la liquidazione ex art. 36-bis e' operata sulla base delle dichiarazioni presentate, mediante un mero riscontro cartolare, nei casi eccezionali e tassativamente indicati dalla legge, vertenti su errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili (senza la necessita' di alcuna istruttoria), che l'amministrazione finanziaria ha il potere-dovere di correggere anche a vantaggio del contribuente. Si tratta, pertanto, di un'attivita' di carattere "tecnico" che rientra pur sempre nel quadro delle attivita' di' accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria, ma che non puo' essere messa sullo stesso piano del controllo di merito della congruita' del reddito dichiarato. Prova ne e' che l'eventuale rettifica della dichiarazione non comporta per il contribuente alcuna sanzione connessa all'infedelta' della dichiarazione (appunto perche' non di infedelta' si tratta; la riliquidazione dell'imposta dovuta attiene infatti ad elementi che stanno all'origine della dichiarazione, e cioe' gli oneri deducibili, le detrazioni, le ritenute, i crediti di imposta ed il calcolo della stessa. La commissione tributaria centrale, nella sentenza prima richiamata, affermava addirittura la responsabilita' del funzionario competente per il danno causato all'erario dalla tardiva riscossione. Senza arrivare alle estreme conseguenze cui perviene la commissione centrale nella citata sentenza, si puo' tuttavia condividere l'interpretazione di taluni giudici di merito (commissione tributaria di I grado di Vicenza, sez. I, dc. n. 256 del 2 marzo 1994 e commissione II grado di Vicenza, sez. II, dec. 22 giugno 1995) secondo cui l'interpretazione di ritenere ancorata alla facolta' di iscrizione a ruolo, nel termine quinquennale successivo delle imposte iscrivibili ai sensi dell'art. 36-bis, darebbe sbocco ad una presunta violazione di costituzionalita', per palese contrasto con l'art. 10, secondo comma, punto 6, della legge delega n. 825/1971. Precedentemente la commissione tributaria di I grado di Benevento, sez. I, con la decisione n. 47 del 21 marzo 1990, era arrivata alla conclusione che dovesse accogliersi il ricorso del contribuente per tardiva liquidazione dell'imposta, in mancanza dell'indicazione della data dell'avvenuta liquidazione nella cartella esattoriale, soprattutto quando il lasso di tempo trascorso fino alla consegna del ruolo all'ex Intendenza di finanza faccia presumere l'inosservanza del termine piu' breve assegnato al fisco per l'operazione propedeutica. Si condivide anche l'orientamento di parte della dottrina che ha sostenuto (E. Grossi, L'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973..., su Il Fisco, n. 1/1996) che si deve tener conto della filosofia globale posta a fondamento dell'originaria disciplina riguardante la materia, atta a sostenerla sul piano della razionalita' ordinamentale, disciplina che si e' tentato di ricostruire storicamente, volta a raggiungere proprio la finalita' espressa come auspicio. L'art. 36-bis, che risulta dalla stratificazione legislativa successiva al suo primitivo disegno, non sembra sfuggire al sospetto di irrazionalita' e di vulnus al diritto di difesa del contribuente, il quale non solo non conosce le ragioni della modifica apportata all'imponibile da lui dichiarato, ma non conosce nemmeno l'ammontare rettificato in tempi ragionevolmente brevi, nonostante le accresciute potenzialita' dell'amministrazione dopo l'istituzione dei centri di servizio. E' pertanto evidente che non si possa consentire il procrastinarsi di un assetto normativo eversivo rispetto all'esigenza di far salve le ragioni di speditezza dell'intervento correttivo del fisco sul dichiarato, ma anche quello del contribuente a non vedersi, a distanza di anni, notificare i supplementi di imposta, in ipotesi, anche errati e/o, comunque, non suffragati da esplicita motivazione. L'autore citato evidenziava inoltre come la grave omissione di un'informazione sulle ragioni delle rettifiche dell'imponibile dichiarato, soprattutto quando l'informazione della stessa entita' della variazione all'imponibile medesimo giunga a distanza di anni, assuma aspetti tanto piu' inquietanti, nel vigore di una normativa, tutta a vantaggio della trasparenza amministrativa, quale e' quella portata dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. Questo collegio condivide la prospettazione (G. D'Angela, Corriere tributario n. 13/1996) secondo cui l'interpretazione sistematica dell'art. 36-bis non puo' essere certamente condizionata dal fatto che il fisco, a fronte di una interpretazione favorevole alla applicazione del termine previsto dall'articolo citato, si troverebbe in notevoli difficolta' di carattere operativo. E' pertanto da sostenere l'interpretazione secondo cui sarebbe illogico sotto il profilo giuridico prevedere un termine breve per la liquidazione e un termine lungo per l'iscrizione a ruolo e la notifica della cartella esattoriale realizzando cosi' una vistosa e grave scissione delle due fasi della liquidazione e della riscossione dell'imposta, quanto ai termini in cui le due operazioni dovrebbero essere effettuate. Ad avviso di questo collegio non e' distinguibile ne' separabile il procedimento di rettifica (da concludersi entro l'anno successivo alla dichiarazione) e quello della liquidazione della maggiore imposta e relativa iscrizione a ruolo, dal momento che tale distinzione non e' prevista da alcuna norma; a differenza di quanto, invece, si verifica nell'ambito delle norme che disciplinano l'imposizione indiretta, in cui l'atto della riscossione deve essere preceduto dalla notifica di un avviso di liquidazione, quale atto autonomamente impugnabile rispetto al titolo esecutivo esattoriale (ex art. 16 del d.P.R. n. 636/1972). E' dunque infondata la distinzione tra liquidazione delle imposte ed iscrizione a ruolo. Lo sdoppiamento dei termini (l'uno secondo il 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 e l'altro secondo l'art. 17 del d.P.R. n. 602/1973) entro i quali vanno eseguite le due operazioni a cura degli uffici, provocherebbe una vanificazione di fatto del contenuto e della ratio dell'art. 36-bis, dal momento che se venisse accolta tale distinzione nessuna prescrizione cogente costringerebbe gli uffici a verificare le dichiarazioni nei termini brevi di cui al 36-bis, ne' permetterebbe ai contribuenti di verificare che tali termini siano stati effettivamente rispettati. La Corte di cassazione, sez. I, sentenza n. 7088 del 29 luglio 1997, da ultimo, ha definitivamente pronunciato ribadendo che il ricorso alla liquidazione ex art. 36-bis da parte degli uffici e' giustificabile solo per l'effettuazione di un controllo di carattere esclusivamente formale, che tuttavia puo' comportare una riliquidazione dell'imposta dovuta e che, appunto per questo, presenta un innegabile carattere accertativo. La maggiore imposta accertata, aumentata degli interessi e delle soprattasse, viene iscritta a ruolo direttamente, senza preventiva notifica di un avviso di accertamento (art. 7 del d.P.R. n. 787/1980), prescritta invece quando la rettifica della dichiarazione consegue ad un'attivita' accertativa dell'ufficio svolta sulla base di dati diversi da quelli desumibili dalle dichiarazioni (artt. 42 e 43 del d.P.R. n. 600/1973). In tal caso, afferma la Cassazione, l'iscrizione a ruolo non ha carattere riproduttivo, ma innovativo, poiche' rappresenta l'atto con il quale il contribuente e' posto a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale; di qui l'esigenza, non rilevabile quando il ruolo e' meramente riproduttivo di un atto precedente, di renderlo edotto dei motivi per i quali l'iscrizione e' stata effettuata. Esigenza, peraltro, che il legislatore ha recepito laddove prescrive, al secondo comma dell'art. 36-ter, che nella cartella debbono essere indicati i motivi che hanno dato luogo alla liquidazione. Anche se, continua giustamente la cassazione, tale esigenza non puo' certo dirsi del tutto soddisfatta, dal momento che l'informazione viene realizzata mediante il ricorso a formulari stereotipati e del tutto inidonei a descrivere in modo esauriente le ragioni della rettifica e ad assolvere quindi il ruolo di una effettiva motivazione. La Cassazione pone l'accento sul fatto che il citato d.P.R. n. 596/1979 ha riformulato entrambe le disposizioni (l'art. 17 e il 36) e sottolinea che, in base al terzo comma dell'art. 17, le imposte devono essere iscritte a ruolo entro il 31 dicembre dell'anno sucessivo a quello in cui l'accertamento e' divenuto definitivo. La Suprema Corte revoca cosi' in dubbio l'obiezione dell'amministrazione finanziaria secondo cui l'art. 36-bis ha natura procedimentale e nessuna norma esplicitamente disponga la natura perentoria del termine. E giustamente illustra che la qualificazione del termine in questione come ordinatorio anziche' come perentorio, del resto propria del diritto processuale piu' che di quello sostanziale, e tutt'altro che risolutiva, posto che i termini ordinatori possono essere prorogati solo prima della scadenza (art. 153 c.p.c.) e che, pertanto, il loro inutile decorso produce gli stessi effetti preclusivi di quelli perentori. Ne' maggior rilievo assume la circostanza che la sua inosservanza non sia stata espressamente sanzionata dal legislatore con la decadenza. Il diritto pubblico e' infatti caratterizzato dalla presenza di poteri il cui esercizio da parte di chi ne e' titolare non e' libero, ma sottoposto dalla legge a limiti volti a garantire il soddisfacimento di finalita' di carattere istituzionale. Ne consegue che il silenzio della legge non e' sufficiente per escludere la perentorieta' del termine di cui all'art. 36-bis Tanto piu', aggiunge la cassazione, che le attivita' accertative sono per legge vincolate al rispetto di rigorosi termini di decadenza, la cui esistenza e' da considerare pertanto connaturata al loro svolgimento, a tutela del buon andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione, oltre che degli interessi dei contribuenti. Ne', tantomeno, come rettamente osserva la Corte, varrebbe replicare che il termine dell'art. 36-bis e' riferito alla sola liquidazione dell'imposta e che non vi sarebbe motivo di escludere la legittimita' dell'iscrizione a ruolo effettuata dopo l'inutile decorso del termine, purche' entro quello piu' ampio stabilito dall'art. 17 del d.P.R. n. 600/1973. E' infatti agevole controbattere che la determinazione del debito di imposta, ex art. 36-bis, non ha rilievo autonomo rispetto alla fase che attiene al concreto soddisfacimento della pretesa tributaria, non essendo prevista, a differenza dell'ipotesi in cui la rettifica consegue ad un controllo sostanziale ex art. 43, l'emanazione di un formale e autonomo atto di liquidazione dell'imposta di cui sia possibile verificare la tempestivita'. Tale atto, infatti, e' l'iscrizione a ruolo che si atteggia quale atto conclusivo del procedimento accertativo, ponendo l'esigenza, non rilevabile quando il ruolo e' meramente riproduttivo di un atto precedente, di rendere edotto il contribuente delle ragioni sulle quali si fonda la pretesa erariale. In altri termini, in questo caso, l'iscrizione a ruolo non e' l'atto conseguenziale alla notifica dell'avviso di accertamento, bensi', di fatto, l'atto di accertamento. Ne consegue che detto atto debba essere notificato entro il termine breve del 36-bis e non entro quello lungo di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 602/1973, anche perche' cio' comporta l'aggravio di interessi per il contribuente; cio' che il legislatore ha inteso evitare. Da tutto quanto premesso consegue inequivocabilmente che il termine di cui all'art. 36-bis e' stabilito a pena di decadenza, e concerne l'iscrizione a ruolo delle maggiori imposte liquidate a seguito del controllo formale della dichiarazione espletata ai sensi di tale disposizione. Tale, inequivocabilmente, l'assetto normativo e interpretativo sul quale si e' inserito, con effetto eversivo e dirompente, l'art. 28 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (c.d. collegato alla finanziaria per il 1998) il quale, titolato "norma interpretativa", dispone che il primo comma dell'art. 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, nel testo da applicare sino alla data stabilita nell'art. 16, del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, deve essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non e' stabilito a pena di decadenza. Tale disposizione e' palesemente illegittima per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, della Costituzione, per l'irrazionalita' insita nella definizione della ordinatorieta' del termine di cui all'art. 36-bis citato e l'ingiustificata compressione del diritto ad agire e difendersi del contribuente, nonche' con gli artt. 97 e 113 Cost. Ad avviso di questo collegio, infatti, una cosi' grave compressione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., e piu' specificamente, della tutela giurisdizionale dei diritti contro gli atti della pubblica amministrazione, incondizionatamente garantita dall'art. 113, e' sproporzionata rispetto all'esigenza di consentire all'amministrazione finanziaria lo svolgimento dei propri compiti ed assume il carattere di privilegio ingiustificato. Il sistema di garanzie offerto dagli artt. 24 e 113 Cost., infatti, e' tale da colpire non solo l'esclusione della tutela giurisdizionale, soggettiva ed oggettiva, ma anche qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o anche difficile l'esercizio (Corte costituzionale, sent. 23 novembre 1993, n. 406). La commissione tributaria provinciale di Brindisi, con sentenza 27 gennaio 1998, depositata il 26 febbraio, ha richiamato l'attenzione sul fatto che la Cassazione, nella citata sentenza n. 7088 del 29 luglio 1997, ha ribadito che proprio le attivita' accertative sono vincolate a rigorosi termini di decadenza a tutela del buon andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione, oltre che degli interessi dei contribuenti. La commissione ha concluso nel senso che l'art. 28 del collegato alla finanziaria va coordinato con l'art. 154 c.p.c. che prevede che il giudice, prima della scadenza, puo' abbreviare o prorogare, anche d'ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non puo' avere una durata superiore al termine originario. Non puo' essere consentita ulteriore proroga, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato. La lettura incrociata della norma civilistica e di quella del collegato consente al collegio tributario di ritenere che, se e' pur vero che l'inosservanza del termine ordinatorio non determina la decadenza, e' altresi' verso che questa si verifica allorche' il termine, prima della scadenza, non sia stato prorogato. Tale lettura consente il "superamento" dell'art. 28 del collegato. Ad avviso di questo collegio, invece, tale disposizione e' palesemente illegittima sotto il profilo illustrato e per quanto di seguito espresso. Risulta violato, infatti, anche l'art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza che impone il rispetto di un rapporto di uguaglianza delle parti nel rapporto tributario. Ma, soprattutto, e sotto questo profilo questo collegio concorda con quanto rilevato dalla commissione tributaria di Brindisi, la disposizione appare in palese violazione dell'art. 97 Cost., primo comma, il quale individua nella imparzialita' dell'amministrazione uno dei principi essenziali cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l'organizzazione dei pubblici uffici. Alla salvaguardia di tale principio debbono necessariamente collegarsi tutte le norme, anche tributarie, che disciplinano i rapporti dei cittadini con il fisco che deve ad essi garantire la legittimita' del proprio operato e la parita' di trattamento.