ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1996 dal Tribunale di Rovereto, iscritta al n. 682 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1997. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 7 aprile 1998, il giudice relatore Carlo Mezzanotte. Ritenuto che con ordinanza del 22 novembre 1996 il Tribunale di Rovereto ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a svolgere le funzioni di giudice del dibattimento per il giudice che abbia respinto la richiesta di applicazione della pena avanzata ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. da un correo dell'imputato sottoposto al suo giudizio per i medesimi reati; che, ad avviso del remittente, nella fattispecie ricorrerebbero le medesime ragioni che hanno indotto questa Corte a pronunciare la sentenza n. 371 del 1996, in quanto il tribunale, nel respingere la richiesta di applicazione della pena avanzata dal coimputato, avrebbe espresso una valutazione di responsabilita', sia pure incidentale, sui fatti contestati, che potrebbe condizionare il suo successivo giudizio nei confronti dell'altro concorrente nei medesimi reati; che nel giudizio innanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata. Considerato che, successivamente alla proposizione della questione oggetto del presente giudizio, questa Corte, con la sentenza n. 331 del 1997 ha dichiarato inammissibile identica questione di costituzionalita', rinviando alle sue pronunce nn. 306, 307 e 308 del 1997 per l'individuazione dei limiti entro i quali il principio del giusto processo postula la previsione di un'ipotesi di incompatibilita' e chiarendo che "se la forza pregiudicante si sprigioni non da una sentenza, ma, come si assume essere avvenuto nel caso di specie, da un'ordinanza adottata in un procedimento diverso (di custodia cautelare nei confronti del correo ovvero di reiezione della richiesta di applicazione della pena) lo strumento di tutela non puo' essere ravvisato in ulteriori sentenze additive sull'art. 34, ma deve essere ricercato nell'area degli istituti dell'astensione e della ricusazione, anch'essi preordinati alla salvaguardia della terzieta' del giudice"; che l'ordinanza in epigrafe non introduce nuovi profili ed argomentazioni rispetto a quelli gia' esaminati da questa Corte, tali da indurre a diverso avviso; che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.