IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la  seguente  ordinanza sulla questione di legittimita'
 costituzionale sollevata dal p.m. in relazione all'art. 513, comma 1,
 c.p.p. cosi' come  modificato  dall'art.  1,  legge  n.  267/97,  per
 violazione  degli  artt.  1,  3, 101 e 112 della Costituzione nonche'
 degli artt. 1 e 6, commi   1 e 5, legge  n.  267/97,  per  violazione
 degli artt. 101 e 112 della Costituzione;
   Sentite le altre parti;
                             O s s e r v a
   In  data  25  marzo  1998, l'imputato Romeo Paolo, nato il 6 giugno
 1962 dichiarava  di  avvvalersi  della  facolta'  di  non  rispondere
 all'esame  in  dibattimento  ed  il p.m. chiedeva l'acquisizione e la
 lettura ai sensi dell'art. 513 c.p.p. dei verbali degli interrogatori
 resi  dal  predetto  imputato  al  p.m.  nella  fase  delle  indagini
 preliminari anche nella parte riguardante le dichiarazioni indizianti
 valutabili a carico degli altri coimputati;
   La  difesa  tutta  non ha prestato il consenso di cui all'art. 513,
 comma 1, c.p.p.;
   Il  p.m.,  a  tal  punto,  sollevava  questione   di   legittimita'
 costituzionale  nei  termini  di  cui in epigrafe, sottolineandone la
 rilevanza nell'ambito del presente procedimento e  la  non  manifesta
 infondatezza;
   Quanto  alla  rilevanza, il tribunale ne ritiene la sussistenza con
 riferimento esclusivo all'art. 513, comma 1,  c.p.p.  essenso  questa
 l'unica   norma   applicabile   in   concreto   nella  presente  fase
 dibattimentale ed evidenziando in  proposito  che  la  prospettazione
 accusatoria  si  fonda  quasi esclusivamente sulle dichiarazioni rese
 dal coimputato Romeo Paolo, di modo che la parziale inutilizzabilita'
 delle  stesse  comporterebbe   un   radicale   pregiudizio   per   la
 ricostruzione  dei  fatti  oggetto  di decisione, incidendo sulla res
 judicanda, dal momento che i  residuali  elementi  di  prova  fungono
 prevalentemente da riscontro alle dichiarazioni in questione;
   Con  riferimento,  poi, alla non manifesta infondatezza dei profili
 di incostituzionabilita' dell'art. 513, comma 1, c.p.p., la norma  in
 questione  si  appalesa  in  contrasto, in primo luogo, con l'art.  3
 della Costituzione: ed infatti, l'attuale regime normativo -  facendo
 divieto   di   utillizzazione,   nei  confronti  dei  coimputati  non
 consenzienti, delle dichiarazioni  rese,  nel  corso  delle  indagini
 preliminari,  dal  coimputato  che  in  dibattimento, poi, si avvalga
 della facolta' di non rispondere - crea una  evidente  disparita'  di
 trattamento  in  rapporto  alla  medesima  situazione  che  pero'  si
 presenti allorche', pur essendo, come nel caso di specie, in corso il
 procedimento di primo grado all'entrata in  vigore  della  disciplina
 novellata,  sia stata, pero', gia' disposta la lettura, nei confronti
 degli altri imputati  e  senza  il  loro  consenso,  dei  verbali  di
 dichiarazioni  rese  dalle  persone  indicate dall'art. 513 c.p.p. al
 p.m., alla polizia giudiziaria da questi delegata o  al  giudice  nel
 corso  delle  indagini  preliminari  o  dell'udienza  preliminare; ed
 invero  l'art.  6,  legge  n.  267/97,  consente,  ove  le  parti  lo
 richiedano, la citazione di coloro che tali dichiarazioni hanno reso,
 ma   senza   prevedere   alcuna   comminatoria  di  inutilizzabilita'
 allorquando  tali  soggetti  si  avvalgano  della  facolta'  di   non
 rispondere  ovvero  non si siano presentati, purche' l'attendibilita'
 delle dichiarazioni rese nel corso  delle  indagini  preliminari  sia
 confermata  da  altri elementi di prova, non desunti da dichiarazioni
 rese al p.m., alla  polizia  giudiziaria  da  questi  delegata  o  al
 giudice   nel   corso   delle  indagini  preliminari  o  nell'udienza
 preliminare, di cui sia stata data lettura  ai  sensi  dell'art.  513
 c.p.p.  nel  testo  previgente.  Disparita'  che appare piu' evidente
 nelle  ipotesi,  come  nel  caso  di  specie,  non  ricadenti   nella
 previsione del comma 2, dell'art. 6, citata legge, in cui il p.m. non
 ha  nemmeno  la possibilita' di richiedere l'incidente probatorio, ai
 sensi dell'art.  6, comma 1, legge 267/97, essendo il  processo  gia'
 nella  fase  dibattimentale  al  momento dell'entrata in vigore della
 nuova normativa;
   Altro profilo di contrasto  con  il  citato  art.  3  e  111  della
 Costituzione,  per  irragionevolezza  della disposizione normativa in
 esame,  puo'  individuarsi  nel  divieto   di   utilizzazione   della
 dichiarazione  resa,  nei  confronti dei coimputati non consenzienti,
 dall'imputato che in dibattimento non sia comparso o si  sia  avvalso
 della  facolta'  di  non rispondere, in quanto preclude al giudice di
 valutare, con cognizione di causa, gli elementi di prova esistenti  a
 carico  del  chiamato  in correita'; infatti, data la natura di prova
 complessa (dichiarazioni + riscontro) che la  chiamata  in  correita'
 assume  ex  art.  192,  comma 3, c.p.p., la sottrazione dell'elemento
 basilare   costituito   dalla   dichiarazione   accusatoria,    rende
 probatoriamente   insignificanti   gli   elementi   "satellitari"  di
 riscontro,  resi  "orfani"  della  prova  dichiarativa   alla   quale
 accedono,  e  fatti  oggetto  di  valutazione  isolata  dal  contesto
 dichiarativo entro il quale, soltanto,  assumono  significazione;  in
 tal  modo  viene  preclusa  al  giudice  ogni  possibilita'  di reale
 apprezzamento delle prove a carico, complessivamente  esistenti  agli
 atti del procedimento, valutabili appieno invece solo con riferimento
 alla  posizione  del chiamante in correita'; va, percio', evidenziato
 che la vigente normativa  contrasta  con  il  principio,  individuato
 dalla  Corte  costituzionale,  di  non  dispersione della prova - nel
 quale il pur rilevante principio di oralita' trova il  suo  limite  -
 imponendo,  appunto, di derogare al metodo dialettico quando la prova
 non possa, di fatto, prodursi oralmente, vale a dire quando  non  sia
 compiutamente e genuinamente acquisibile col metodo orale;
   Quanto   alla   non   manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' dell'art. 513, comma  1,  c.p.p.  con  riferimento  agli
 artt.  101,  111 e 112 della Costituzione, occorre evidenziare che la
 disposizione normativa che si assume  in  contrasto  con  i  suddetti
 principi  costituzionali  rende le dichiarazioni confessorie rese non
 solo al p.m. ma anche al giudice  delle  indagini  preliminari  nella
 forma  dell'interrogatorio  ex  artt.  64  e  65,  c.p.p., pienamente
 utilizzabili  in  senso   autoaccusatorio   mentre   per   la   parte
 eteroaccusatoria,   la   valenza  processuale  viene  subordinata  al
 consenso all'utilizzazione in dibattimento prestato dal  chiamato  in
 correita'  ed,  in  quanto  tale,  portatore dell'interesse contrario
 all'utilizzazione della prova, creando una evidente sperequazione tra
 le parti processuali che va ad incidere pesantemente sulla conoscenza
 del giudicante, cui viene impedita una  valutazione  complessiva  del
 materiale  probatorio,  fatto  conoscere  ad libitum ora nell'una ora
 nell'altra  parte  ed   impedendo   cosi',   facendo   dipendere   la
 disponibilita'  di  una  prova dalla volonta' del coimputato, il fine
 primario ed ineludibile del processo penale che non puo' che rimanere
 quello della ricerca della verita'.