IL VICE PRETORE
   Ha emesso  la  seguente  ordinanza  sciogliendo  la  riserva  nella
 procedura  esecutiva n. 15194/94 promossa da avv. Fulvio Ricca contro
 il comune di Pozzuoli, nonche' Ente Poste italiane;
   Ritenuto che:
     con ordinanza del  22  febbraio  1995  questo  pretore  rimetteva
 davanti  la  Corte  costituzionale la legittimita' dell'art. 11 della
 legge n. 68/1993 nelle sue varie articolazioni, e cioe':  art.  1-bis
 "inammissibilita'  delle  esecuzioni  forzate presso soggetti diversi
 dal  tesoriere"  art.    4-bis  "presso  le  sezioni  decentrate  del
 bancoposta e della sezione di tesoreria dello Stato" in quanto queste
 norme  pongono  gli  enti  pubblici territoriali in una situazione di
 privilegio rispetto ai debitori privati, con  palese  violazione  dei
 principi ex art. 3 e 24 Cost.;
     con   ordinanza  del  3  aprile  1996,  la  Corte  costituzionale
 rimetteva a questo pretore la questione perche'  la  norma  dell'art.
 11/1-bis  era  stata  soppressa  dall'art. 123 del d.lgs. n. 77/1995,
 omettendo pero'  di  pronunciarsi  sulla  questione  di  legittimita'
 dell'art.  11,  punto  4-bis,  della  stessa legge n. 68/1993, che si
 inserisce nella legge n. 720/1984 (norme sulla tesoreria unica).
   La questione appare ancora rilevante  nel  procedimento  di  specie
 perche'  una  norma  successiva, dal contenuto peraltro assolutamente
 identico, non puo' incidere sulla procedibilita' della esecuzione  di
 specie  perche'  promossa  in  violazione di norme cogenti al momento
 della notifica dell'atto di pignoramento.
   Non  pare  dubbio  che  le  norme  censurate  di  costituzionalita'
 appaiono in tutta la loro illogicita' e manifesta incostituzionalita'
 alla  luce  del  costante  orientamento  della Corte costituzionale e
 della Corte di cassazione.
   Infatti e' ormai pacifico  nella  giurisprudenza  di  tali  massimi
 Collegi  che, davanti ad una sentenza di condanna la p.a. si trovi in
 una posizione paritetica a quella del  privato  cittadino  e  che  le
 somme  depositate  presso  un  istituto  di  credito  possano  essere
 pignorate, salvo che una specifica disposizione di legge od  un  atto
 amministrativo dia loro una univoca e precisa destinazione a pubblico
 servizio,  e  siano  quindi  legittimamente  sottratte  alla garanzia
 generica ex art. 2740 c.c. ed art. 2910 c.c.
   La norma dell'art. 11, della legge n. 68/1993, punti 1-bis e 4-bis,
 censurata  di  costituzionalita'  ha  la  peculiarita'   di   rendere
 assolutamente indisponibili, con vizio rilevabile d'ufficio, le somme
 degli  enti  pubblici  territoriali  in regime di tesoreria unica sol
 perche' depositate presso l'allora Ministro delle poste  e  confluite
 nella contabilita' speciale di tali enti.
   Il  sistema  creato dal legislatore con le norme dell'art. 11/1-bis
 (riconfermato senza soluzione di continuita' nell'art. 113, comma  1,
 d.lgs.  n.  77/1995)  ed  il  punto  4-bis,  inserito  nella legge n.
 720/1984, e' assolutamente irrazionale perche' impone al creditore di
 un  ente  pubblico  un  modus   procedendi   assolutamente   atipico,
 costringendolo  a  ricercare  somme  utilmente  pignorabili presso un
 soggetto, il tesoriere, che difficilmente puo' rendere  dichiarazione
 positiva. Nel contempo, al creditore dell'ente territoriale, in netta
 violazione  degli artt.  3 e 24 Cost., viene preclusa la possibilita'
 di pignorare i beni del patrimonio disponibile dell'ente e le entrate
 proprie dello stesso che, pur avendo natura privatistico, si  trovano
 presso soggetti diversi dal tesoriere.
   In   particolare,   tale  sistema  individua  un  vizio  rilevabile
 d'ufficio quando si aggrediscono le somme  affluite  in  contabilita'
 speciale che si trovano presso l'E.P.I.
   Questa  norma  appare  di analogo contenuto a quella dell'art. 157,
 del d.P.R. n. 156, del 29 marzo 1973.
   Infatti, dopo la trasformazione del Ministero delle P.T. in  E.P.I.
 S.p.a.  e  le  sentenze n. 187/1995, ed altra di pari contenuto della
 Corte   costituzionale    che    ha    dichiarato    l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  157, primo comma, del d.P.R. n. 156 del 29
 marzo   1973   in   quanto:   "si   trattava   di    un    privilegio
 dell'amministrazione  postale solitamente giustificato con il rilievo
 dell'esigenza  di  evitare  intralci  nella  gestione  del  servizio,
 impedendo  l'esercizio  da  parte  di  singoli  creditori  di  azioni
 cautelari o esecutive".
   Secondo la sentenza della Consulta,  questo  privilegio  e'  venuto
 meno  con  la  trasformazione  dell'amministrazione  postale  in ente
 pubblico economico, ora in S.p.a., con la conseguenza che venuta meno
 la differenza tra sistema pubblico e privato, la norma  censurata  si
 traduceva  in  un  privilegio  ingiustificato dei titolari di crediti
 iscritti in libretti postali (o di c.c.p.), i quali vengono sottratti
 al principio dell'art. 2740, primo comma, c.c.
   Se cio' e' vero,  le  norme  dell'art.  11/1-bis,  della  legge  n.
 68/1993,   appaiono   perfettamente  identiche  a  quelle  dichiarate
 incostituzionali,  in  quanto  hanno  operato   una   discriminazione
 ingiustificata  a  favore di una particolare categoria di correntisti
 postali (gli enti in tabella A), senza che cio' sia finalizzato  alla
 funzione pubblica da essi svolta.
   Si  deve  considerare  inolte che la p.a., nel sistema voluto dalla
 giurisprudenza piu' volte richiamata,  e'  un  soggetto  posto  sullo
 stesso  piano del privato, per cui il diritto positivo che ad essa si
 applica e' quello del codice di rito e quindi non pare logico che  da
 parte del legislatore possano ancora essere dettate norme procedurali
 peculiari che privilegino la p.a.
   Le  norme  censurate dell'art. 11/1-bis, della legge n. 68/1993, ed
 ora art. 113, d.lgs. n. 77/1995, si pongono anche in contrasto con il
 principio del giudice naturale ex art. 25 Cost., perche'  sottraggono
 al creditore di un ente pubblico la possibilita' di escuterlo laddove
 questi  abbia  beni  e crediti utilmente pignorabili, e cioe' che non
 siano  sottratti  alla  espropriazione  forzata  in  virtu'  di   una
 specifica  disposizione  di  legge o atto amministrativo che dia loro
 una univoca destinazione ai fini pubblici dell'ente.
   Inoltre   il   diritto   di   difesa  e'  violato  perche'  i  vizi
 riconducibili alle norme censurate prescindono dagli  schemi  dettati
 dal  codice  di  rito il quale agli artt. 615 e ss. c.p.c., prescrive
 con quali forme e con quali termini siano proponibili le  opposizioni
 agli atti esecutivi.
   Le  norme  che oggi vengono censurate di costituzionalita' hanno la
 loro rilevanza nel  procedimento  de  qua,in  quanto,  essendo  stata
 proposta   opposizione,   sono   di   impedimento  all'emissione  del
 procedimento di assegnazione somme.
   Bisogna altresi' evidenziare che la Consulta ha omesso di fatto  di
 pronunciarsi  sulla  questione,  emettendo una ordinanza che non pare
 esaustiva delle legittime aspettative del cittadino.
   Il lungo tempo trascorso ed inutilmente perso ha inciso sul diritto
 del  creditore  che  ha  visto  vanificare  il  proprio  diritto  sul
 presupposto  errato  dell'abrogazione  di  norme  che  invece  non e'
 avvenuta.