ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  14
 novembre   1997   dal  giudice  dell'udienza  preliminare  presso  il
 Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria nel procedimento  penale
 a  carico  di S.F. ed altri, iscritta al n. 42 del registro ordinanze
 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  6,
 prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  17 giugno 1998 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Il  Tribunale  per  i  minorenni  di  Reggio  Calabria,   in
 composizione  e  con  funzioni  di giudice per l'udienza preliminare,
 solleva, con ordinanza del 14  novembre  1997,  in  riferimento  agli
 artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, 27, secondo
 comma  e  101  della  Costituzione,  questione  di  costituzionalita'
 dell'art. 34, comma 2, cod.  proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non
 prevede   che   non  possa  partecipare  al  collegio  per  l'udienza
 preliminare  del  processo  penale  minorile  il   giudice   che   in
 precedenza, nel medesimo procedimento, abbia fatto parte del collegio
 del  riesame  o  dell'appello  avverso  ordinanze  in  tema di misure
 cautelari personali (artt. 309 e 310 cod. proc. pen.).
   2. - Nel giudizio a quo si verifica, appunto, che il Presidente del
 collegio rimettente e' lo stesso  magistrato  che  in  precedenza  ha
 fatto  parte  del  tribunale  che  ha deciso - favorevolmente - sulla
 richiesta di riesame di un'ordinanza con la quale era stata  disposta
 la  misura  della  custodia  cautelare in carcere nei confronti di un
 imputato.
   La questione, osserva il giudice a  quo,  e'  rilevante,  influendo
 sulla   composizione   del   collegio   chiamato   alla   trattazione
 dell'udienza preliminare.
   3. - La questione e' motivata  attraverso  un  duplice  richiamo  a
 precedenti  pronunce  di  incostituzionalita':  a)  da  un lato, alla
 sentenza  n.  311  del  1997,  che  ha  dichiarato   l'illegittimita'
 costituzionale  della  norma ora ulteriormente impugnata, nella parte
 in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione  di  giudice  per
 l'udienza  preliminare  nel  processo  penale  a  carico  di imputati
 minorenni per il giudice per  le  indagini  preliminari  che  si  sia
 pronunciato  in ordine a una misura cautelare personale nei confronti
 dell'imputato; b) dall'altro, alle sentenze nn. 131 e 155  del  1996,
 che  hanno  riconosciuto  la  forza  pregiudicante, rilevante ai fini
 dell'incompatibilita', alla partecipazione al collegio del riesame (o
 dell'appello) de  libertate,  analogamente  alla  pronuncia  iniziale
 sulla misura, di competenza del giudice per le indagini preliminari.
   Il   coordinamento   tra   le   decisioni   citate   conduce   alla
 prospettazione,  da  parte  del  rimettente,   della   questione   di
 costituzionalita' dell'art.  34, comma 2, cod. proc. pen. nella parte
 in  cui  esso non prevede l'incompatibilita' alla funzione di giudice
 dell'udienza preliminare nel processo penale minorile, per il giudice
 che si sia pronunciato in ordine a una misura cautelare personale nei
 confronti  dell'imputato  nell'ambito dei procedimenti incidentali di
 riesame o di appello, ex artt. 309 e  310  cod.  proc.  pen;  con  il
 limite,  per  quest'ultimo  rimedio,  di  una  pronuncia  resa non su
 aspetti puramente formali del provvedimento impugnato.
                        Considerato in diritto
   1. - Il giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per  i
 minorenni di Reggio Calabria dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art.  34,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,  nella parte in cui non
 prevede  che  non  possa  partecipare  all'udienza  preliminare   del
 processo  penale  minorile,  concorrendo  a  comporne il collegio, il
 giudice che, in precedenza, come componente del tribunale del riesame
 (art. 309 cod.  proc. pen.), si sia  pronunciato  sull'ordinanza  che
 dispone una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato.
   In   tale   caso,  ad  avviso  del  rimettente,  si  configura  una
 compromissione  dell'esigenza  di  imparzialita'  del  giudice,   con
 violazione  dei  parametri  costituzionali  invocati  (artt. 3, primo
 comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, 27, secondo comma,  e  101
 della Costituzione).
   2. - La questione e' fondata.
   2.1.  -  Come  questa  Corte  ha ripetutamente affermato, a partire
 dalla sentenza n. 432  del  1995,  il  principio  costituzionale  del
 "giusto  processo"  comporta  l'esigenza  di escludere che uno stesso
 giudice-persona fisica possa pronunciarsi, nel medesimo  procedimento
 e  nei  confronti  dello  stesso  imputato,  sia  in  sede  cautelare
 personale  sia  in   sede   di   giudizio   conclusivo   sul   merito
 dell'imputazione.    La   sostanziale   duplicazione   di   attivita'
 decisionali, del medesimo o di analogo  carattere,  che  verrebbe  in
 tali   casi   a   verificarsi,   costituirebbe   infatti  ragione  di
 "pregiudizio", effettivo o potenziale, per la funzione decisoria  del
 giudice,  relativamente  alla  pronuncia  sul  merito dell'ipotesi di
 accusa che lo stesso giudice e' chiamato a rendere. Nel rapporto  tra
 valutazioni   sull'assunzione   di   misure   cautelari  personali  e
 valutazioni sul merito della contestazione si e'  cosi'  riconosciuta
 una  sostanziale  sovrapposizione,  quanto  ai  rispettivi  ambiti  e
 contenuti. Si e' pertanto estesa anche a tale relazione tra attivita'
 processuali la garanzia dell'imparzialita', cui e' rivolta  la  norma
 dell'art.  34,  comma  2,  cod.  proc.  pen., che prevede le cause di
 incompatibilita' allo svolgimento della funzione di "giudizio" (oltre
 alla citata sentenza n. 432 del 1995, sentenze  nn.  131  e  155  del
 1996).
   La  soluzione  della  proposta  questione  di  costituzionalita' si
 riduce pertanto  alla  verifica  dell'esistenza,  nella  specie,  del
 rapporto   tra  una  valutazione  incidentale  in  tema  di  liberta'
 personale e una successiva attivita' valutativa di  merito  da  parte
 del giudice.
   2.2.  - Quanto all'attivita' valutativa sul "tema cautelare" che si
 compie in sede di riesame,  nessun  dubbio  puo'  sorgere  sulla  sua
 idoneita'  a  costituire  un fattore di pregiudizio rilevante ai fini
 dell'incompatibilita':  la  cognizione  demandata  al  Tribunale  del
 riesame  ex  art.  309  cod.  proc.  pen. e' piena, di legittimita' e
 merito, non e' condizionata alle prospettazioni di parte, e  consente
 ogni  possibile decisione (di conferma o di riforma o di annullamento
 dell'ordinanza  cautelare),  senza  limiti  di  devoluzione  e  senza
 vincoli  derivanti  dalla  motivazione  del  provvedimento oggetto di
 riesame.
   Alla  stregua  di tali caratteri del riesame disciplinato dall'art.
 309  cod.  proc.  pen.,  questa  Corte   ha   pertanto   riconosciuto
 l'assimilazione  della funzione che in esso si esplica a quella della
 adozione  della  misura  limitativa  della  liberta'  personale,   in
 entrambi  i  casi  dovendosi effettuare un giudizio prognostico sulla
 responsabilita' penale secondo il parametro  dei  "gravi  indizi"  di
 colpevolezza,  nella  prospettiva  di una consistente probabilita' di
 condanna dell'imputato e, addirittura, della  sua  sottoposizione  in
 concreto  a  una  pena (sentenza n. 131 del 1996, punti 3.2 e 3.3 del
 diritto).
   2.3. - Quanto alla funzione che  il  giudice  rimettente  considera
 pregiudicata,  si  deve ribadire che, diversamente da quanto numerose
 volte  osservato  da  questa   Corte   circa   la   caratterizzazione
 esclusivamente processuale dell'udienza preliminare che si svolge nel
 processo  penale  ordinario  (in  ultimo,  ordinanze nn. 191 e 91 del
 1998), nell'udienza preliminare  del  processo  penale  a  carico  di
 imputati  minorenni il giudice e' chiamato a una funzione sicuramente
 qualificabile come "giudizio", poiche' egli  puo'  adottare  un'ampia
 gamma  di  pronunce  conclusive  del  processo,  altrimenti riservate
 all'organo  del  dibattimento,  alcune  delle  quali   contengono   o
 presuppongono   l'affermazione   di   responsabilita'   dell'imputato
 (sentenza n. 311 del 1997, punto 3 del diritto).
   E'  dunque  in  ragione  della  natura  delle  decisioni,  e  delle
 correlative  valutazioni affidate al giudice dell'udienza preliminare
 nel  processo  minorile  che  la   previsione   dell'incompatibilita'
 contenuta  nell'impugnato  art.  34,  comma  2, cod. proc. pen., deve
 essere ora estesa ai rapporti tra la partecipazione al  collegio  del
 riesame  e  la  successiva  partecipazione al collegio costituito per
 l'udienza preliminare.
   3.  -  Il  giudice  rimettente  solleva   altresi'   questione   di
 legittimita'  costituzionale della disposizione impugnata nella parte
 in cui essa non prevede come causa di incompatibilita' la  precedente
 partecipazione  al  collegio dell'appello in tema di misure cautelari
 personali (art.  310 cod. proc. pen.). Tale questione e' pero'  priva
 di  rilevanza  nel  giudizio  a  quo,  rispetto  al quale la funzione
 pregiudicante e' consistita nella trattazione del riesame.
   Tuttavia, la norma anzidetta - stante l'identita' della funzione di
 giudizio in sede di riesame e in sede di  appello  sotto  il  profilo
 della  loro  forza  pregiudicante il giudizio sul merito dell'ipotesi
 accusatoria, salva la limitazione di cui si dice di seguito (sentenza
 n. 131 del 1996) e stante l'esistenza, quindi, della medesima ragione
 d'incostituzionalita' - ha da essere dichiarata  incostituzionale  in
 applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
   Anche  nel giudizio di appello de libertate, infatti, nonostante le
 differenze di  disciplina  rispetto  al  riesame,  possono  compiersi
 quegli   apprezzamenti   sui   profili   di  merito  che  determinano
 l'insorgere di una causa di incompatibilita' al giudizio.  Come  gia'
 in  precedenza  osservato,  peraltro, la simmetria tra i due mezzi di
 controllo dei provvedimenti in tema di misure cautelari vale, ai fini
 del regime dell'incompatibilita', solo in quanto attraverso l'appello
 il giudice sia chiamato a un sindacato su aspetti sostanziali  e  non
 puramente  formali  dell'ordinanza che ne e' oggetto (sentenza n. 131
 del 1996 citata, punto 3.4 del diritto; sentenza  n.  155  del  1996,
 punto  4.3 del diritto). La dichiarazione di incostituzionalita' deve
 essere pertanto contenuta in questi limiti.