ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 60, legge 22
 novembre 1981, n. 689 promosso con ordinanza emessa il 25 agosto 1997
 dal pretore di Lucca, sez. distaccata di Viareggio,  iscritta  al  n.
 774 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  20 maggio 1998 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   Il pretore di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, ha sollevato,
 in  riferimento  all'art.  3   della   Costituzione,   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  60  della  legge 24 novembre
 1981, n. 689 nella parte in cui esclude che le  sanzioni  sostitutive
 si  applichino al reato di commercio di sostanze alimentari nocive di
 cui all'art.  444 del codice penale.
   Secondo il giudice a quo il principio di  uguaglianza  risulterebbe
 vulnerato per l'irragionevole disparita' di trattamento riservata, ai
 fini  dell'applicazione  delle  sanzioni  sostitutive,  ai  reati  di
 adulterazione o contraffazione di cose in danno della salute pubblica
 (di cui all'art. 441 del codice penale) e di commercio di  medicinali
 per  i  quali non sia stata rilasciata o sia stata sospesa o revocata
 l'autorizzazione del Ministero della sanita' (di  cui  al  d.lgs.  29
 maggio  1991,  n. 178), i quali non sono esclusi dal regime di cui si
 discute  benche'  ledano  il  medesimo  bene  giuridico  (la   salute
 pubblica)  e  siano  assoggettati  ad un trattamento sanzionatorio di
 pari o maggiore rigore, rispetto al reato di  cui  all'art.  444  del
 codice  penale  (si  richiamano,  al riguardo, le sentenze n. 249 del
 1993, n. 254 del 1994 e n. 78 del 1997).
   Nel giudizio non si e' costituita la parte privata ne' ha  spiegato
 intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                        Considerato in diritto
   1.  -    Il  giudice  a quo dubita, in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, della legittimita' dell'art. 60 della legge 24 novembre
 1981, n. 689, nella parte in cui esclude che le sanzioni  sostitutive
 si  applichino  al  reato  di commercio di sostanze alimentari nocive
 previsto dall'art. 444 del codice penale.
   La violazione del principio di eguaglianza sarebbe conseguente alla
 previsione preclusiva contenuta nella norma  denunciata,  cui  fa  da
 riscontro  la  possibilita'  di  accesso  al  regime  delle  sanzioni
 sostitutive relativamente a fattispecie di reato, che non soltanto si
 inseriscono nella medesima tipologia di beni  ed  interessi  protetti
 dalla  norma  penale  (la  categoria  dei  delitti di comune pericolo
 mediante frode) ma che, alla stregua delle pene  edittali  comminate,
 presentano un tasso di gravita' ancor maggiore.
   Piu'  in  particolare, mentre per il reato di commercio di sostanze
 alimentari nocive  (contestato  nel  caso  di  specie),  pur  essendo
 comminata  la  reclusione  da  sei  mesi  e  tre  anni e la multa non
 inferiore a lire centomila, la  possibilita'  di  sostituzione  della
 pena  e'  esclusa, una identica disposizione ostativa non e' prevista
 per il reato di adulterazione di cose in danno della salute  pubblica
 (punito  con  la  pena della reclusione da uno a cinque anni e con la
 multa non inferiore a lire seicentomila)  e  per  la  contravvenzione
 contemplata  dall'art.  23 del decreto legislativo 29 maggio 1991, n.
 178, che punisce, fra 1'altro, con 1'arresto da due mesi ad un anno e
 con 1'ammenda da lire dieci milioni a lire cento milioni il commercio
 di medicinali per i quali non sia stata  rilasciata  l'autorizzazione
 da  parte  del Ministero della sanita' ovvero 1'autorizzazione stessa
 sia stata sospesa o revocata.
   2. - La questione e' fondata.
   3.  - Questa Corte ritiene necessario ribadire "che il regime delle
 esclusioni  oggettive  dalle  sanzioni  sostitutive  quale  delineato
 dall'art.    60  della legge 24 novembre 1981, n. 689, rispondeva, al
 momento della sua introduzione, ad una precisa ratio  di  prevenzione
 generale"  (v.,  da  ultimo,  sentenza n. 78 del l997); una ratio che
 sembra ormai essersi dissolta in conseguenza di  novazioni  normative
 nel   frattempo   intervenute   e   che  hanno  profondamente  inciso
 sull'assetto complessivo del microsistema, senza che  ad  esse  abbia
 corrisposto una operazione di adattamento del regime preclusivo.
   La  soglia di rottura della disciplina complessiva dei divieti deve
 ascriversi  a  due  eventi  normativi,  non  accompagnati  da   alcun
 riassetto della materia.
   In  primo  luogo,  l'entrata  in  vigore  del  codice del l988 che,
 aumentando  il  novero  dei  reati  di  competenza  del  pretore,  ha
 determinato,  anche attraverso l'utilizzazione della procedura di cui
 all'art. 444 e seguenti dello stesso codice ed i conseguenti  effetti
 "premiali" di essa, l'applicazione delle sanzioni sostitutive a reati
 olim  di  competenza  del  tribunale  e, dunque, non iscrivibili - in
 forza dell'espresso disposto  dell'art.  54,  allora  vigente,  della
 legge  n.  689  del  1981  -  nell'elenco delle esclusioni oggettive.
 Significativa,  al  riguardo,   la   situazione   quasi   paradossale
 concernente 1'esclusione dell'applicazione delle pene sostitutive per
 il  reato  di lesioni colpose commesso con violazione delle norme per
 la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative  all'igiene  del
 lavoro  ed,  in  forza  dell'aumento  della  competenza pretorile, la
 concedibilita' delle dette  sanzioni  in  caso  di  omicidio  colposo
 provocato  da  identiche  violazioni.  Una  distonia subito avvertita
 dalla  Corte  che,  con  sentenza  n.   249   del   l993,   dichiaro'
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 60 della legge n. 689 del
 l981, appunto "nella parte in cui stabilisce che le pene  sostitutive
 non  si  applicano  al  reato previsto dall'art. 590, secondo e terzo
 comma,  del  codice  penale,  limitatamente  ai  fatti  commessi  con
 violazione  delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro
 o  relative  all'igiene  del  lavoro,  che  abbiano  determinato   le
 conseguenze  previste  dal  primo  comma,  n.  2, o dal secondo comma
 dell'art. 583 del codice penale".
   In secondo luogo, la "novellazione" della legge 24  novembre  1981,
 n.  689,  ad  opera del d.-l. 14 giugno l993, n. 187, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 12 agosto l993, n. 296; e  cio'  sotto  un
 duplice  ordine  di  profili.  Sia  attraverso  la  previsione  della
 estensione quoad poenam  della  possibilita'  di  applicazione  delle
 sanzioni   sostitutive   (un   anno   anziche'   sei   mesi   per  la
 semidetenzione,  sei  mesi  anziche'  tre  mesi   per   la   liberta'
 controllata,  tre  mesi anziche' un mese per la pena pecuniaria); sia
 attraverso l'abrogazione del citato art.  54 della legge n.  689  del
 l981,  cosi'  da  sopprimere  la  disposizione  che riservava al solo
 pretore  l'applicabilita'  delle  sanzioni  sostitutive.    Tanto  da
 consentire  l'accesso  a  tali  sanzioni anche a reati di particolare
 gravita', pure tenendo conto della riduzione "premiale"  in  caso  di
 accesso alla procedura del "patteggiamento".
   4.  -  D'altro  canto,  che l'art. 60 non fosse stato conformato in
 modo  da  far  fronte  a  novazioni  legislative  anche   di   ordine
 strettamente  sostanziale  era  stato  presagito  dagli  studiosi sin
 dall'entrata in vigore della legge n.689 del 1981. Si  era,  infatti,
 posto  subito  in  dubbio che il catalogo delle esclusioni, delineato
 con la previsione di fattispecie di reato indicate nominatim, avrebbe
 potuto   comportare   effetti   destabilizzanti    all'interno    del
 microsistema  (v.,  ancora, al proposito, la sentenza n. 78 del l997)
 ove  si  fosse  verificata  l'introduzione  di   nuove   fattispecie,
 finalizzate  alla  protezione della medesima categoria di interessi e
 caratterizzate da un grado di gravita'  pari  o  maggiore  di  quello
 relativo a reati ricompresi nel divieto e, quindi, non assoggettabili
 al  regime  preclusivo,  se  non  si  fosse  intervenuti attraverso i
 necessari adattamenti legislativi, il piu' delle volte, peraltro,  di
 non agevole praticabilita'.
   Un  evento  che  non avrebbe mancato di avverarsi come risulta, fra
 1'altro,  comprovato  dalle  numerose   denunce   di   illegittimita'
 costituzionale  aventi  ad  oggetto  1'art. 60 della legge n. 689 del
 1981, sempre additandosi tertia comparationis sopravvenuti.
   In tale prospettiva la Corte, con sentenza n. 254 del 1994, ebbe  a
 dichiarare  1'illegittimita'  costituzionale dell'art. 60 della legge
 n. 689 del 1981 "nella parte in cui esclude che le  pene  sostitutive
 si  applichino  ai  reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10
 maggio  1976,  n.   319,   in   materia   di   tutela   delle   acque
 dall'inquinamento".    Il tutto - peraltro in un settore normativo in
 cui il divieto rispondeva, attesi gli interessi tutelati, a canoni di
 assoluta razionalita' - in forza di  ipotesi  di  reato  sopravvenute
 alla   norma   coinvolta   nella   dichiarazione   di  illegittimita'
 costituzionale proprio per "1'identica obiettivita'  giuridica  delle
 fattispecie".
   Analogamente,  con  la  gia'  menzionata sentenza n. 78 del 1997 e'
 stata dichiarata 1'illegittimita' costituzionale dell'art.  60  della
 legge  n.  689  del  1981,  nella  parte  in  cui esclude che le pene
 sostitutive si applichino ai reati previsti  dall'art.  452,  secondo
 comma,  del  codice penale. E cio' per 1'utilizzazione di due termini
 di comparazione:  1'uno costituito dall'art. 23, comma 3, del decreto
 legislativo 29 maggio 1991, n. 178, 1'altro  rappresentato  dall'art.
 441 del codice penale, entrambi rivelatori della irrazionalita' di un
 sistema   che  consente  1'applicazione  del  regime  delle  sanzioni
 sostitutive per reati di maggiore gravita' rispetto a  quelli  per  i
 quali vige 1'esclusione.
   E'  da  notare  che  questa  Corte  ha dovuto procedere alle citate
 declaratorie di illegittimita' costituzionale nella specifica materia
 delle   esclusioni   oggettive   dall'applicabilita'   di    sanzioni
 sostitutive,  in  rigorosa osservanza del principio costituzionale di
 eguaglianza e superando il proprio generale  indirizzo  volto  a  non
 interferire nelle scelte legislative in materia sanzionatoria, che la
 hanno  piu'  volte portata a ritenere riservata al potere legislativo
 la valutazione di quelle esigenze di prevenzione generale che possono
 indurre alla esclusione degli autori di determinati reati  da  taluni
 beneficii   di   ordine   penale.     Ed  infatti,  nella  situazione
 diacronicamente determinatasi nel campo  delle  sanzioni  sostitutive
 nei  modi  sopra  ricordati, non e' ipotizzabile una scelta razionale
 del  legislatore,  trattandosi  all'evidenza  di   ineguaglianze   ed
 irragionevolezze   derivanti   esclusivamente   da   interventi   non
 coordinati e da totale  assenza  di  interventi  di  riassetto  della
 materia,  divenuti  doverosi  a  seguito della modificazione di altri
 aspetti del quadro legale.
   5. - L'ordinanza di rimessione si richiama proprio alla sentenza n.
 78  del  1997,  da  ultimo  citata,  relativa all'art. 452 del codice
 penale. E rileva che, mentre per il reato di  cui  all'art.  444  del
 codice  penale  (oggetto  dell'imputazione  nel  giudizio  a  quo) e'
 preclusa 1'applicazione delle pene sostitutive, per il reato previsto
 dall'art.  441 dello stesso codice (oltre  che  per  quello  previsto
 dall'art.23 del decreto legislativo n. 178 del 1991), appartenente ai
 delitti di comune pericolo mediante frode ed assoggettato ad una pena
 di  maggiore  gravita',  la concessione di tali sanzioni e' viceversa
 divenuta possibile.
   Ed  in  effetti  "un  contributo  decisivo",   tale   da   palesare
 "l'incongruenza     della     norma    denunciata,    deriva    dalla
 irragionevolezza" qui scaturente da un tertium comparationis  interno
 al  sistema  del  codice. Ben diverso e' infatti il peso del richiamo
 all'art. 441 del codice penale, che punisce con la reclusione da  uno
 a  cinque  anni  e  con  la  multa  non inferiore a lire seicentomila
 chiunque adultera o contraffa', in  modo  pericoloso  per  la  salute
 pubblica,   cose   destinate  al  commercio  diverse  dalle  sostanze
 alimentari; "un reato la cui pena e' sostituibile", a  differenza  di
 quanto previsto dall'art. 444 dello stesso codice, che punisce con la
 reclusione  fino  a  tre  anni  e  con  la multa non inferiore a lire
 centomila chiunque detiene per commercio, pone  in  commercio  ovvero
 distribuisce per il consumo alimentare sostanze nocive.
   6.  -  Ancora  una  volta, dunque, questa Corte si vede costretta a
 richiamare il legislatore ad una  complessiva  revisione  del  regime
 delle  esclusioni oggettive delle sanzioni sostitutive che elimini le
 distonie piu' volte rilevate,  ribadendo  come  una  parcellizzazione
 degli interventi demolitori rischi di produrre ulteriori incongruenze
 nel   sistema.  Un  rischio  avvertito  soprattutto  considerando  la
 funzione di prevenzione generale  delle  dette  esclusioni  che,  una
 volta  rimosse,  potrebbero rivelare, in mancanza degli indifferibili
 interventi legislativi ai quali questa Corte ha fatto  reiteratamente
 appello,  come la funzione perseguita dalla legge n. 689 del l981 sia
 ormai, in notevole parte, venuta meno.
   In particolare, e' da rilevare che  lo  stato  di  disordine  e  di
 incertezza  che  ad  opera  di  mancati  interventi legislativi si e'
 venuto a creare nel delicato settore dei reati, dolosi come  colposi,
 di  comune  pericolo  rischia  di  compromettere la linea di tendenza
 volta ad una particolare protezione dei beni  offesi  da  tali  reati
 anche  dal  punto  di  vista della prevenzione generale: effetto, che
 come nel caso  in  esame,  si  produce  non  per  consapevole  scelta
 legislativa,   ma  per  incongruenze  derivanti  dal  sovrapporsi  di
 interventi non coordinati.