ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10 del decreto legge 1 dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del ministero), convertito in legge 29 gennaio 1994, n. 71, promosso con ordinanza emessa l'11 aprile 1996 dalla Corte dei conti sezione giurisdizionale per la regione Puglia, nel giudizio di responsabilita' di Pasquale Leo, iscritta al n. 758 del registro ordinanze 1997, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 1997. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 22 aprile 1998 il giudice relatore Piero Alberto Capotosti. Ritenuto che la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Puglia, nel corso di un giudizio di responsabilita' promosso dal Procuratore regionale nei confronti di un impiegato dell'ente "Poste Italiane" con ordinanza dell'11 aprile 1996, ha sollevato d'ufficio, in fattispecie esauritasi anteriormente alla trasformazione di detto ente in societa' per azioni, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 (recte, art. 10, comma 1), del d.-l. 1 dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del ministero), convertito nella legge 29 gennaio 1994, n. 71, nella parte in cui devolve all'autorita' giudiziaria ordinaria ogni controversia concernente il rapporto di lavoro dei dipendenti di detto ente, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione; che il Collegio rimettente sostiene che la norma censurata, interpretata alla luce dell'orientamento della Corte di cassazione, assunto come diritto vivente, secondo il quale non rientrano nella giurisdizione della Corte dei conti le azioni di responsabilita' nei confronti degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici economici qualora esse abbiano ad oggetto "atti posti in essere, come nella fattispecie, nell'ambito della gestione con strumenti privatistici", si pone in contrasto con l'art. 103, secondo comma, della Costituzione; che, osservano i giudici a quibus, nonostante la Corte costituzionale abbia piu' volte affermato che la giurisdizione della Corte dei conti ha un carattere di generalita' meramente tendenziale e non assoluto e che la sua concreta attribuzione e', quindi, riservata al legislatore, la soluzione realizzata dalla disposizione censurata non appare ragionevole, in quanto l'interesse tutelato dall'azione di responsabilita' risulta efficacemente garantito soltanto attraverso un processo connotato dall'iniziativa officiosa e dalla partecipazione del pubblico ministero, qual e' appunto quello che si svolge innanzi al giudice contabile; che, a loro avviso, la norma denunziata viola anche l'art. 3, primo comma, della Costituzione, interpretato come espressivo del canone "di coerenza dell'ordinamento giuridico", dato che gli artt. 58, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142 ed 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 stabiliscono il principio secondo cui spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulle controversie concernenti "tutti gli enti pubblici anche economici, sia in materia di responsabilita' amministrativa che di responsabilita' contabile"; che il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, e' intervenuto nel giudizio innanzi a questa Corte, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata; che, ad avviso della difesa erariale, l'identificazione della giurisdizione attribuita alla Corte dei conti rientra nella discrezionalita' del legislatore, sicche' la scelta operata con la norma denunciata non e' censurabile sotto il profilo della legittimita' costituzionale e comunque essa ha realizzato una soluzione ragionevole in quanto, a seguito della trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico, il rapporto di lavoro dei dipendenti ha assunto natura privatistica e cio' permette anche di fare ricorso ad efficaci strumenti di tutela dell'interesse dell'ente "Poste Italiane" peraltro soggetto, per gli aspetti inerenti alla "gestione finanziaria", al controllo della Corte dei conti, in virtu' della previsione dell'art. 5 del d.-l. n. 487 del 1993; che, conclude il Presidente del Consiglio dei Ministri, la censura riferita all'art. 3, primo comma, della Costituzione, e' parimenti infondata, in quanto muove dall'erronea premessa che spetta alla Corte dei conti la giurisdizione sulle controversie concernenti la responsabilita' dei dipendenti di tutti gli enti pubblici, anche di quelli economici. Considerato che i giudici a quibus dubitano, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 1, del d.-l. n. 487 del 1993, disposizione che disciplina la fattispecie sottoposta al loro esame; che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte - richiamata dallo stesso Collegio rimettente - il precetto dell'art. 103, secondo comma, della Costituzione stabilisce il carattere della tendenziale e non assoluta generalita' della giurisdizione della Corte dei conti (ex plurimis, sentenze n. 24 del 1993; n. 641 del 1987; n. 129 del 1981; n. 102 del 1977), sicche' la sua concreta attribuzione richiede l'interpositio legislatoris, all'esito di valutazioni che non toccano soltanto gli aspetti procedimentali del giudizio, ma investono la stessa disciplina sostanziale della responsabilita' (per tutte, sentenze n. 385 del 1996; n. 24 del 1993; n. 773 del 1988); che la norma denunziata, attribuendo alla autorita' giudiziaria ordinaria "le controversie concernenti il rapporto di lavoro di diritto privato" dei dipendenti dell'ente "Poste Italiane" appare meramente esplicativa di un principio in ogni caso derivante dalla espressa configurazione data all'ente ed ai rapporti di lavoro dei dipendenti del medesimo; che, infatti, gli articoli 1, comma 1, e 6, comma 2, del d.-l. n. 487 del 1993, rispettivamente qualificano le "Poste Italiane" come ente pubblico economico ed il rapporto di lavoro dei dipendenti come "di diritto privato" configurazioni recepite dallo statuto dell'ente e dal contratto collettivo nazionale, in forza dei quali il rapporto di lavoro evocato nel giudizio a quo viene disciplinato dalle norme del codice civile (art. 17, comma 1 dello statuto dell'ente) anche relativamente alla responsabilita' "per i danni prodotti dal dipendente all'Ente" (art. 35, comma 2, del CCNL); che, dunque, nel caso di specie - nel quale, secondo la prospettazione dell'ordinanza di rimessione, si tratta proprio della responsabilita' cagionata all'ente da un dipendente legato da un rapporto di lavoro di diritto privato, per atti non riconducibili all'esercizio di pubbliche funzioni - la contestata giurisdizione non solo non puo' dirsi attribuita alla Corte dei conti da norme costituzionali, ma la scelta del legislatore neppure appare irragionevole ed e' anzi coerente con la disciplina del rapporto, secondo il criterio generale dell'art. 409, numero 4, cod. proc. civ., il quale riserva all'autorita' giudiziaria ordinaria le controversie concernenti i "rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attivita' economica"; che il Collegio rimettente prospetta, inoltre, la violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione indicando quali tertia comparationis le fattispecie regolate dagli articoli 58, comma 1, della legge n. 142 del 1990 ed 1 della legge n. 20 del 1994 i quali, disciplinando rispettivamente la responsabilita' degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, nonche' l'esercizio dell'azione di responsabilita' nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, tutti espressamente sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, si riferiscono a situazioni palesemente disomogenee rispetto a quella all'esame dei giudici a quibus, che concerne invece il rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti di un ente pubblico economico; che l'attribuzione all'autorita' giudiziaria ordinaria delle controversie concernenti il rapporto di lavoro dei dipendenti dell'ente "Poste Italiane", derivando dalla natura dell'ente e dal tipo di rapporto di lavoro ed essendo altresi' coerente con il criterio generale stabilito dal gia' richiamato art. 409, numero 4, cod. proc. civ., costituisce puntuale applicazione del canone di razionalita' dell'ordinamento che, dunque, erroneamente si eccepisce sia stato leso; che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.