LA COMMISSIONE TRIBUTARIA Ha pronunciato la seguente ordinanza a fronte del ricorso r.g.r. n. 3849/96 proposto da Paternoster Giovanni contro le Imposte dirette di Trento; Paternoster Giovanni tramite ricorso depositato il 13 dicembre 1996 adiva la Commissione tributaria di 1 grado di Trento, impugnando ritualmente la cartella esattoriale n. 6800021 dell'Ufficio imposte dirette di Trento. La presente decisione interveniva senza previa pubblica udienza. La cartella impugnata reca una pretesa fiscale di L. 1.434.000 a titolo di soprattasse e interessi per mancato e/o ritardato pagamento di acconti Ilor ed Irpef, correlati alla dichiarazione redditi 1990 presentata nel 1991. Oltre a contestare l'addebito il contribuente eccepisce l'intervenuta decadenza dell'ufficio che ha azionato la pretesa in base allo art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 tramite cartella notificata il 30 agosto 1996, ergo oltre il termine di decadenza di cui allo stesso art. 36-bis, previsto al 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, nella specie al 31 dicembre 1992. Ritenuto L'eccezione di decadenza sopra riportata ha carattere pregiudiziale ed assorbente rispetto all'eccezione di merito: ne appare percio' indubbia la rilevanza in causa. La natura decadenziale del surricordato termine di cui all'art. 36-bis trovava concorde la giurisprudenza (Comm. trib. centrale 1994/3513 e 1995/1605; Corte suprema di cassazione 1997/7088 e 12442). Senonche' l'art. 28 della legge 1997 n. 449 ha sancito - sotto l'epigrafe di "norma interpretativa" - che il termine de quo "non e' stabilito a pena di decadenza". Il collegio ritiene di dover sollevare d'Ufficio il dubbio, non manifestamente infondato, circa la legittimita' costituzionale di detto art. 28, alla luce della ripartizione delle attribuzioni tra potere legislativo e potere giudiziario, nonche' alla luce dell'art. 3 della Costituzione. La dottrina pressoche' unanime, ha sottolineato che il citato art. 28 non ha avuto, ne' poteva avere la finalita', propria delle norme di interpretazione autentica, di eliminare ragionevoli perplessita' esegetiche (vedi Corte costituzionale n. 187/1981). Infatti la richiamata giurisprudenza era consolidata nel ribadire gli effetti decadenziali del mancato rispetto del termine contemplato dall'art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973. Ne' l'amministrazione poteva ragionevolmente confidare di trovare consenso - ad esempio presso le sezioni unite della Cassazione - alla tesi, quantomeno paradossale, secondo cui al piu' breve termine di cui all'art. 36-bis era confidata la funzione, meramente interna all'ufficio, di liquidare il dovuto, ed al piu' lungo termine (di circa 5 anni) di cui all'art. 17 d.P.R. n. 602/1973 quella di procedere alla riscossione. L'art. 28 in discussione mira in realta' a "salvare" le numerose pratiche, compromesse dall'inefficenza dell'amministrazione, ma il collegio si chiede, e chiede all'On.le Corte costituzionale se detto fine giustifica il mezzo, idoneo ad innestare un conflitto costituzionale, di tale portata, incoraggiando pro futuro il malcostume, di interferire, tramite spregiudicati sviamenti di potere da parte del legislatore, sulle decisioni, e sugli stessi giudicati, del potere giudiziario. Ulteriori perplessita' l'art. 28 citato propone circa il rispetto del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione (v. Corte costituzionale n. 155/1990 e n. 397/1994). Ritenuta rilevante in causa e non manifestamente infondata la questione della legittimita' dell'art. 28 della legge n. 449/1997, in relazione alla ripartizione dei poteri, tra potere legislativo e potere giudiziario, nonche' in rapporto all'art. 3 della Costituzione;