IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Ha emesso la seguente ordinanza.
   Con  decreto  del  5  maggio  1998 il magistrato di sorveglianza di
 Caltanissetta rigettava l'istanza  di  permesso-premio  avanzata  dal
 detenuto    La   Franca   Salvatore.   Contro   tale   provvedimento,
 notificatogli il 14  maggio  1998,  alle  ore  16,45,  il  La  Franca
 proponeva,  il  15  maggio 1998, alle ore 15,45, tempestivo reclamo a
 questo tribunale di sorveglianza. Pervenuto il  reclamo  in  data  20
 maggio  1998  veniva  fissata  l'udienza camerale del 27 maggio 1998,
 onde provvedere tempestivamente alla decisione dello  stesso  reclamo
 entro i dieci giorni prescritti dall'art. 30-bis, quarto comma, o.p.
   Cio' premesso.
                             O s s e r v a
   Non  vi  e'  dubbio  che  nel  sistema  delineato  dall'ordinamento
 penitenziario  il  permesso-premio   costituisca   non   solo   parte
 integrante    del   trattamento   rieducativo,   e   incentivo   alla
 collaborazione del detenuto con l'istituzione  carceraria,  ma  anche
 strumento  di rieducazione poiche' consente un iniziale reinserimento
 del  condannato  nella  societa'.  Tanto  e'  vero  che,  secondo  il
 principio della progressivita',  il  permesso-premio  puo'  diventare
 funzionale  all'affidamento  in  prova  al servizio sociale allorche'
 dalla regolare fruizione dello stesso  permesso,  e  dalla  eventuale
 reiterazione   del   beneficio,   in   considerazione  dei  progressi
 rieducativi conseguiti, possano trarsi univoci e utili  elementi  per
 la concessione dell'affidamento. Pertanto, il permesso-premio, di cui
 all'art.   30-ter   o.p.,   si  differenzia,  nettamente  e  in  modo
 significativo, dal permesso per necessita' di cui all'art. 30,  o.p.,
 in  quanto  quest'ultimo  non e' connaturato alla regolare esecuzione
 della pena, potendo essere concesso  anche  prima  del  passaggio  in
 giudicato  della  sentenza.  Essendo,  pertanto,  il  permesso-premio
 momento peculiare e significativo della  esecuzione  della  pena  non
 puo'  esso  non  mutuare  quelle  garanzie  di giurisdizionalita' del
 procedimento  volute  dallo  stesso  legislatore,  come   si   evince
 chiaramente  dal punto 96, dell'art. 2, della legge di delegazione 16
 febbraio 1987, n. 81, il quale assicura l'osservanza di tale garanzie
 anche nella fase di  esecuzione,  con  riferimento  ai  provvedimenti
 concernenti le pene.
   Gia' in precedenza la Corte costituzionale, con la sentenza n.  53,
 del 16 febbraio 1993, ebbe a dichiarare - anche se ad altro proposito
 -  la  illegittimita'  costituzionale  degli  artt.  236, comma 2 del
 d.lgs.  8 luglio 1989, n. 271, 14-ter, commi primo, secondo e  terzo,
 e  30-bis,  della  legge 26 luglio 1975, n. 354, in quanto tali norme
 non consentono l'applicazione  degli  artt.  666  e  678  c.p.p.  nel
 procedimento   di  reclamo  avverso  il  decreto  del  magistrato  di
 sorveglianza che esclude dal  computo  della  detenzione  il  periodo
 trascorso dal detenuto in permesso-premio.
   Ma anche nel procedimento di reclamo in materia di permesso-premio,
 appare  altrettanto  manifesta la illegittimita' costituzionale degli
 artt. 236, comma 2, d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, 30-ter,  penultimo
 comma, e 30-bis, quarto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, in
 quanto,  sia  nel caso di reclamo del detenuto avverso il diniego del
 permesso-premio, sia  in  quello  di  reclamo  del  p.m.  avverso  la
 concessione  dello stesso permesso, lo stretto spatium deliberandi di
 giorni dieci dalla ricezione  del  reclamo,  entro  il  quale  dovra'
 provvedersi,   ovviamente,   anche   alla   fissazione  dell'udienza,
 all'acquisizione,   se   del   caso,   di   sommarie    informazioni,
 all'eventuale rinvio della trattazione, allorche' le informazioni non
 siano  ancora  pervenute e infine alla decisione del reclamo, oltre a
 provocare  una  convulsa  e   spesso   incompleta   istruttoria   del
 procedimento  non  consente  l'applicabilita'  degli  artt. 666 e 678
 c.p.p.,  e  pertanto,  la  regolare  vocatio  in  jus  del   detenuto
 reclamante e del suo difensore di fiducia.
   Del  resto  la  giurisdizionalita'  di  tale  procedimento e' stata
 affermata, sia dalla Corte costituzionale (v. sent. n. 349 del  1993;
 1995  I,  448  e  227  del  1995;  1996  I  397)  che  dalla Corte di
 cassazione, la quale, con diverse e oramai univoche pronunce (v. sez.
 I, 2 febbraio 1996 in Ced Cass. n. 203889, sez. I, 21 febbraio  1996,
 ivi  n.  204187,  sez. I, n. 00702 del 7 marzo 1996; sez. I, n. 01153
 del 3 aprile 1996; sez. I,  n.  01535  del  20  aprile  1996)  si  e'
 espressa  per  la ricorribilita' delle decisioni emesse dai tribunali
 di sorveglianza in materia  di  reclami  per  permessi-premio  e  per
 l'applicabilita'  della  procedura di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p.
 Appunto per questo non si comprende come mai l'art. 30-ter, penultimo
 comma  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354,  per il quale devono
 osservarsi, per la decisione del reclamo al tribunale di sorveglianza
 in materia di permessi-premio, le procedure di cui  all'art.  30-bis,
 quarto comma, della stessa legge, norme entrambe rese applicabili, in
 subiecta  materia, dall'art. 236, secondo comma delle disposizioni di
 coordinamento e transitorie  del  c.p.p.,  approvate  con  d.lgs.  28
 luglio  1989,  n.  271,  non  consenta, a causa dello stretto spatium
 deliberandi di giorni 10, fissato dall'art.   30-bis,  quarto  comma,
 per la decisione del reclamo, la regolare vocatio in jus del detenuto
 reclamante, con le garanzie di cui agli artt.  666 e 678 c.p.p.
   Ritiene  conseguentemente  questo  tribunale  che  gli  artt.  236,
 secondo comma  delle  disposizioni  di  coordinamento  e  transitorie
 c.p.p.,  30-ter, penultimo comma, e 30-bis, quarto comma, della legge
 26 luglio 1975, n.  354,  siano  costituzionalmente  illegittimi  per
 contrasto:
     con  l'art. 3 della Costituzione, in quanto permettono un'assurda
 disparita' di trattamento tra il  detenuto  reclamante  e  gli  altri
 soggetti  istanti  nel  procedimento di sorveglianza, i quali godono,
 invece, delle garanzie di giurisdizionalita' assicurate  dagli  artt.
 666 e 678 c.p.p.;
     con  l'art  24,  secondo  comma  della  Costituzione, perche' non
 consentendo, nel procedimento di decisione del reclamo,  la  regolare
 vocatio  in jus del reclamante e del suo difensore di fiducia, ledono
 il diritto  alla  difesa  e  le  esigenze  del  contraddittorio,  con
 evidente  squilibrio  fra  le  posizioni  della difesa e dell'accusa,
 quest'ultima, invece, sempre rappresentata in tutte  le  udienze  dal
 p.g.,  il  quale,  ai  sensi  dell'art.  666,  n. 4, c.p.p., e' parte
 necessaria in tutti i procedimenti del tribunale di sorveglianza;
     con l'art. 27, terzo comma,  della  Costituzione,  in  quanto  la
 mancanza  di  garanzie  di  giurisdizionalita'  del  procedimento  di
 decisione del reclamo viola il principio della  funzione  rieducativa
 della pena.
   Ritiene,  pertanto,  il  tribunale  che  la  suddetta  questione di
 costituzionalita' non si appalesi infondata e che essa  debba  essere
 sollevata  d'ufficio,  previa  sospensione del procedimento in corso,
 non potendosi questo  definire  indipendentemente  dalla  risoluzione
 della questione predetta.